Opera in cinque atti e sette quadri su libretto proprio, dal romanzo omonimo di Valerij Brjusov. Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 14 settembre 1955.
“A dicembre [1919] mi interessai e un nuovo soggetto: L’Angelo di fuoco dI Valerij Brjusov. Dopo le allegre e leggere Melarance sarebbe stato interessante metter mano alla passione che aveva sconvolto Renata: l’ambiente medievale, con Faust Vaganti e arcivescovi maldicenti, era anche allettante. Buttarmi adesso in un lavoro così impegnativo, non avendo nessuna prospettiva di concreta realizzazione, era superficiale. Forse inconsciamente prevaleva la caparbietà: un’opera non era andata, scriviamone allora un’altra. All’Angelo di fuoco, con grandi intervalli lavorai sette anni, mettendovi dentro molta musica, molta di più che nelle Tre Melarance, ma andò male. In parte era colpa del soggetto, che era difficile da trasformare in un libretto, come un racconto qualunque”. (M. R. Boccuni, Sergej Sergeevič Prokof’ev, Palermo, L’Epos, 2003, p. 189)
Con queste parole lo stesso Prokof’ev ricordò la genesi dell’Angelo di fuoco (Ognënnyi angel), scritto su un libretto che lo stesso compositore aveva tratto dall’omonimo romanzo storico di Valerij Jakovlevič Brjusov pubblicato a puntate dal 1907 al 1908 sulla rivista simbolista «La bilancia». La composizione dell’opera, originariamente in tre atti e undici quadri, procedette, però, piuttosto lentamente, in quanto, iniziata nel 1919, fu completata nel 1927. Per la sua prima rappresentazione l’Angelo di fuoco dovette attendere ben 28 anni senza che il compositore sia riuscito a vederla; la sua première postuma ebbe luogo, infatti, soltanto il 14 settembre 1955 al Teatro La Fenice di Venezia in occasione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea diretta da Nino Sanzogno e con Dorothy Dow nel ruolo della protagonista. L’opera, tuttavia, era già stata eseguita in forma di concerto e tradotta in francese al Théâtre des Champs-Elysées il 25 novembre 1953 diretta da Charles Bruck.
La vicenda è ambientata in Germania nel XVI secolo.
Atto primo. Di ritorno dalle Americhe, il soldato Ruprecht (baritono)ha preso alloggio in una locanda dove, sul punto di andare a letto, sente le grida di una donna terrorizzata. Accorso in suo aiuto e trovatosi di fronte a una donna in preda a visioni demoniache, recitando il Libera me Domine e facendo con il pugnale il segno della croce, riesce a liberarla dalle presenze demoniache. Renata (soprano), così si chiama la donna, rinsavita, gli racconta la sua storia. All’età di otto anni le era apparso l’Angelo Madiel del quale si era innamorata essendo cresciuta vicino a lui, tanto che all’età di sedici anni gli aveva manifestato il desiderio di unirsi a lui. L’angelo, offeso da questa richiesta, era sparito in un’aureola di fuoco non prima di averla condannata ad una vita di mistica ossessione. Non rassegnatasi, la donna aveva cominciato a vagare alla ricerca dell’amato e un giorno aveva incontrato il conte Heinrich von Otterheim con il quale si era unita avendolo ritenuto, per la straordinaria somiglianza, l’incarnazione di Madiel. Lasciata dal conte dopo un anno di convivenza, la donna era partita alla sua ricerca. L’atto si conclude con la richiesta di Renata al soldato di aiutarla a trovarlo.
Atto secondo. I due partono alla ricerca del Conte e, dopo un tentativo di seduzione respinto dalla donna, si recano a Colonia dove Renata pensa che si possa trovare Heinrich sulla base di informazioni non confermate ottenute attraverso una seduta spiritica organizzata da Jakob Glock (tenore), amico del soldato. Intanto, mentre Ruprecht interpella, sempre con l’aiuto dell’amico Jakob, il filosofo, medico e alchimista Agrippa von Nettesheim (tenore) sui fenomeni paranormali, Renata ritrova il Conte che rifiuta di accoglierla in casa.
Atto terzo. Ruprecht, sulla strada del ritorno a casa, incontra, vicino all’abitazione del Conte, Renata che lo implora di vendicare l’affronto subito. Egli, sfidato, allora, a duello il Conte, viene ferito e curato da Renata che nel frattempo si dichiara innamorata di lui.
Atto quarto. Dopo un periodo di convivenza, Renata decide di ritirarsi in un monastero dove poter prendere i voti per salvare la sua anima, abbandonando Ruprecht il quale, andato alla sua ricerca, in una taverna s’imbatte in Mefistofele (tenore) e Faust (basso), artefice quest’ultimo di un prodigio sconvolgente; egli, infatti, per punire un garzone che aveva tardato a portargli il vino, lo taglia a pezzi e, dopo averlo divorato, lo vomita sul pavimento sano e salvo.
Atto quinto. Nel monastero giungono Mefistofele, Faust e Ruprecht per assistere alla cerimonia di consacrazione delle novizie, tra cui Renata, le quali, assieme alle monache, si rendono protagoniste di scene stravaganti e isteriche perché possedute da forze demoniache. Considerata colpevole, Renata è accusata presso l’Inquisitore (basso) il quale, giunto nel monastero, assiste ad uno sfrenato balletto delle suore e delle novizie. L’inquisitore, esercitando i suoi poteri di esorcista, cerca di allontanare le forze demoniache dal monastero ed emette nei confronti di Renata la condanna al rogo quale responsabile di ciò che è accaduto. Foto Archivio storico Teatro La Fenice di Venezia