Christoph Willibald Gluck (1714-1787): “Écho et Narcisse” (1779)

Christoph Willibald Gluck (Erasback, 1714 – Vienna 1787)
La realizzazione di “Écho et Narcisse” – destinata ad essere l’ultimo nuovo titolo pensato da Gluck per la scena e a cui seguiranno solo alcuni rifacimenti (’”Iphigenia in Tauris” Vienna, 1781) – nasce in coincidenza a quella dell’”Iphigenie en Tauride”. Gluck doveva già avere il libretto al al suo arrivo a Vienna e quindi vi lavora contemporaneamente, fino al  ritorno a Parigi all’inizio del 1779. Pur nella differenza di fondo, alcuni elementi comuni si percepiscono fra i due titoli: primo fra tutti il definitivo superamento dei singoli stilemi nazionali in un nuovo e più organico modello, ma anche elementi di orchestrazione e trattamento della vocalità.
Nonostante questi elementi comuni, il destino delle due opere fu assai diverso. Andata in scena il 24 settembre 1779, Echo et Narcisse ebbe un successo assai tiepido ben lontano dai trionfi dell’Ifigenia, per sparire presto dalle scene. Non andò meglio alla versione riveduta proposta l’8 agosto 1780  che  ebbe solo per  otto recite.
L’accoglienza negativa di Écho et Narcisse fu una delle cause del definitivo allontanamento di Gluck da Parigi per trasferirsi stabilmente a Vienna, nonostante i tentativi della Regina di trattenerlo offrendogli il posto di istitutore musicale dei suoi figli.  Questa è di certo una partitura mancata e non sul piano musicale (non mancano i momenti di assoluto splendore degno delle migliori opere del maestro), ma su quello teatrale e drammaturgico cui il pubblico francese era per tradizione particolarmente attento.
La scelta di ritornare ad un dramma pastorale di gusto “antico” risultava ormai datata: sicuramente per Gluck rappresentava un’interessante occasione per tornare frequentare un genere frequentato negli anni precedenti la riforma e, al contempo, di mettere alla prova le proprie concezioni estetiche in un genere diverso dall’opera seria, sfidando le mutazioni di gusto. Il libretto poi è slentato e inconcludente sul piano teatrale; assai lontano dagli splendidi testi su cui Gluck aveva lavorato negli anni francesi: limite insuperabile per la piena riuscita del lavoro.
La musica è, comunque di livello alto così come l’orchestrazione, ricca e complessa come lavori maturi. Qui il tutto è declinato su un diverso orizzonte espressivo: non vi è solennità di “Alceste”, né la tensione drammatica dell’”Iphigenie en Tauride”, ma un’elegiaca malinconia dove spiccano i suoni e i colori della natura, come in “Divinité des eaux” (Atto I, scena 6) in cui il suono  “liquido” degli strumenti, o il raffinato contrappunto di “O chere et tendre amie” (Atto II, scena 2). Molto presenti i divertissements e i ballabili, dal gusto quasi popolaresco che contribuiscono ad evocare l’atmosfera arcadica complessiva.
Gluck non manca di autocitarsi, riadattando brani da altre opere. Qui ritroviamo brani da “La danza” del 1755, praticamente sconosciuta fuori dalla corte asburgica; o ancora  “Le belle immagini” da “Paride ed Elena” che, trasposto per tenore, diventa “Je ne pouis m’ouvrir ta froide demeure” (Atto II, scena 4). Chiaro poi il parallelismo formale fra il lamento funebre a Écho e gli interventi corali nell’analoga scena dell’Atto I di “Orfeo ed Euridice”.
Opera quindi molto interessante, ma che i limiti teatrali la  rendono poco  adatta alle scene. Totalmente dimenticata dopo una terza versione del 1781, l’opera è tornata alla luce solo nel 1987 al Festival di Schwetzingen con la direzione di René Jacobs, che cercato di ricostruire la prima versione di cui la partitura originale è andata perduta. 

La trama
Prologo. Il Tempio di Amore. Amour racconta ai la storia dell’amore fra Écho e Narcisse e di come questa sia stata spezzata da un incantesimo di Apollo, affermando al contempo di voler porre rimedio alla situazione.
Atto primo. E’ il giorno delle nozze fra Écho e Narcisse, la ninfa è però in ansia perché teme l’infedeltà dell’amato e chiede all’amico Cynire di indagare. Cercando lo sposo, Écho vede l’amato specchiarsi. Ingannato da Apollo, vede nella propria immagine quella di una bellissima dea delle acque da cui viene affascinato. Sconvolta per l’accaduto, Écho dichiara la propria volontà di morire.
Atto secondo. Écho sta morendo, ma Narcisse, vittima dell’incantesimo, non ode i gemiti della fanciulla. Solo quando entra nel tempio e vede la morente, tenta invano di salvarla.
Atto terzo. Le ninfe e i pastori celebrano i funerali di Écho. Narcisse, al colmo della disperazione, intende togliersi la vita con un pugnale. Mentre sta per incamminarsi verso il tempio per morire al fianco dell’amata le porte si spalancano e ne esce Écho resuscitata da Amour. Tutti festeggiano l’accaduto.

Questo video è testimonia la prima ripresa moderna dell’opera e fornisce un’occasione ancora unica per farsi una precisa idea dell’ultima opera gluckiana. René Jacobs rappresentava all’epoca quanto di meglio ci fosse in ambito di prassi filologica e senso dello stile e, in tal senso la prova dal Concerto Köln è ancora apprezzabile, così come la concertazione attenta e puntuale nell’evidenziare la bellezza sonora di molti momenti; il direttore impone una maggior vitalità all’insieme. Nel cast emerge una scarsa differenziazione timbrica tra le voci femminili che tendono tutte ad essere fra loro fin troppo simili e non sempre distinguibili. Peraltro, tutte risultano decisamente piacevoli. Sophie Boulin (Écho) spicca sia sul piano vocale, sia sul piano espressivo, conferendo autentica emozione alla scena della morte, pagina tra le più ispirate della partitura. L’apertura del III atto è uno dei momenti più riusciti dell’opera, con la voce della ninfa trasformata in eco, con una raffinatissimo gioco di piani sonori di grande suggestione. Le interpreti delle altre ninfe danno un efficace contributo al bellissimo addio di Echo “O chère et tendre amie” (Atto II, scena 2), in particolare Gertrud Hoffstedt (Egle) e l’Amour di Deborah Massel. Splendido il Narcisse di Kurt Streit dalla voce squillante e corposa e dalla grande eleganza formale che spicca nella sublime “Divinité des eaux” (ripresa dell’aria di Paride, pure perdendo fascino cantata da un tenore). Peter Gaillar meno accattivante timbricamente, si destreggia bene nell’impervia parte di Cynire, scritta per Legros, un’autentica aria di bravura come “Dissipe ce mortel effroi” (Atto III, scena 3). Ottima la prova del coro.