“PLÁCIDO DOMINGO PER L’ARENA”
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Jordi Bernàcer
Baritono Plácido Domingo
Soprano Saioa Hernández
Giuseppe Verdi: Giovanna d’Arco (Sinfonia); “Per me giunto è il dì supremo… O Carlo, ascolta” (Don Carlo); “Tacea la notte placida”, “Udiste?… Mira, d’acerbe lagrime” (Il Trovatore); I Masnadieri (Preludio), Scena e Duetto Violetta e Germont (La Traviata);
Umberto Giordano: Fedora (Intermezzo); “La mamma morta” , Nemico della patria? (Andrea Chénier) ·
Verona, 28 agosto 2020
L’atteso ritorno di Plácido Domingo all’Arena di Verona, in una serata meteorologicamente instabile che di conseguenza hacon un pubblico numericamente inferiore rispetto ai biglietti venduti, non ha deluso le aspettative dei suoi sostenitori. L’artista madrileno nell’ormai definitiva veste baritonale si è presentato sul palcoscenico dell’anfiteatro forte del suo nuovo repertorio che va accrescendo di anno in anno. Con lui vi era il soprano madrileno Saioa Hernández mentre a dirigere l’Orchestra dell’Arena vi era Jordi Bernàcer a cui spettava il compito di collegare musicalmente tutti i numeri di un programma abbastanza corposo. Il maestro valenciano ha offerto tre brani strumentali mai eseguiti prima d’ora in Arena: la sinfonia da Giovanna d’Arco e il preludio da I masnadieri di Verdi oltre allo struggente intermezzo dalla Fedora di Giordano. Bene assecondato dall’orchestra veronese, ha impresso un ritmo vivace nella sinfonia evocandone la pura essenza patriottica tipica del Verdi prima maniera, soffermandosi invece sull’intenso afflato melodico dell’assolo di violoncello ne I masnadieri ben sostenuto dalla prima parte dell’orchestra. Saioa Hernández è un soprano di grande temperamento vocale e lo si è potuto udire; l’artista, subentrata ad Anna Netrebko nelle recite scaligere di Tosca, sarà presente al festival 2021 come Abigaille in Nabucco. Dotata di voce corposa e dal timbro caldo, con un repertorio che spazia dal Belcanto al giovane Verdi, da Puccini al Verismo (in passato anche Olympia de Les Contes d’Hoffmann) ha portato in scena una Leonora intensa e vocalmente appropriata con la celebre Tacea la notte placida (e relativa cabaletta) e l’altrettanto famosa (grazie anche al prestito concesso al cinema) La mamma morta, brano quest’ultimo che ha registrato un vibrante consenso di pubblico. Ha poi duettato con Domingo in Mira, d’acerbe lagrime (Il trovatore) e nella celebre scena del secondo atto de La traviata riuscendo ad infondere nel suo intervento tutti gli accenti di quel mirabile caleidoscopio emotivo che Verdi seppe trascrivere in musica per il personaggio di Violetta.
Veniamo finalmente al protagonista della serata. Davvero non riusciamo a comprendere come dopo cinquant’anni di carriera, festeggiati proprio nel luogo del suo debutto italiano, il celebre tenore abbia deciso di passare al registro baritonale. Nulla da eccepire sull’aspetto musicale ma dal punto di vista vocale siamo in presenza di un timbro ibrido con suoni comunque aperti negli acuti ed ancora inequivocabilmente tenorili. Così il suo Gèrard in Nemico della patria? e il Posa di O Carlo, ascolta ma anche il conte di Luna e Giorgio Germont risultano corretti sul piano musicale ma privi di quel giusto mordente scenico e vocale dovuti ad una conversione di registro rimasta incompleta e non bene definita. Decisamente molto meglio nei bis con la sua amata zarzuela che, a nostro avviso, gli indica la strada maestra se ancora vuole insistere a cantare. La sua preparazione musicale, la sua conoscenza delle lingue straniere, la sua lunga esperienza e l’ampio repertorio che ha toccato anche l’opera tedesca e francese potrebbero suggerirgli di votarsi alla produzione liederistica e alla musica da camera (e lì ci sarebbe un oceano in cui pescare, soprattutto con autori quali Granados, Moreno Torroba e Ponce, se vogliamo rimanere in ambito latino). Il suo interesse a ristudiare le opere interpretate per anni rileggendole da un’altra prospettiva potrebbe essere convogliato nella sua seconda attività, quella di direttore d’orchestra. Il tenore spagnolo rimane comunque uno dei più grandi cantanti lirici dal dopoguerra che proprio all’Arena ha consegnato delle autentiche pietre miliari come la Turandot e il Don Carlo del 1969 e Manon Lescaut del 1970. Forse proprio in nome di questi passati momenti di gloria il pubblico presente è stato particolarmente caloroso nel tributargli il consenso nell’attesa di vederlo sul podio per la serata conclusiva di questo festival che, partito in sordina e sulla carta sostanzialmente una scommessa, si è rivelato invece un’esperienza positiva ed un modello da seguire. Foto Ennevi©Fondazione Arena