Arena di Verona, Festival d’estate 2020
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Marco Armiliato
Soprano Anna Netrebko; Mezzosoprano Ekaterina Gubanova
Tenore Yusif Eyvazov; Baritono Ambrogio Maestri
In programma musiche: R.Leoncavallo, G.Verdi, F.Cilea, G.Donizetti, U.Giordano.
Verona, 1 agosto 2020
In principio fu il Rigoletto. Vogliamo partire dal finale per raccontare il terzo appuntamento del Festival d’Estate 2020 all’Arena di Verona, un festival chiamato con termine beneaugurante “Nel cuore della Musica”. E che appuntamento: l’attesissimo ritorno di Anna Netrebko dopo il grande successo nel Trovatore dello scorso anno, in una serata musicale godibilissima sotto l’aspetto musicale ed emozionale. Con lei l’inseparabile tenore Yusif Eyvazov, compagno di scena e di vita; a completare il quartetto vocale le voci del mezzosoprano Ekaterina Gubanova e il navigato baritono Ambrogio Maestri. Il concerto si è dunque concluso con il celebre Bella figlia dell’amore dal “Rigoletto”, nel quale le stelle dell’opera (era anche il titolo della serata) hanno fatto brillare la loro carica vocale e il loro solido magistero teatrale; uno dei brani d’opera più celebri ma anche un banco di prova impegnativo dal punto interpretativo e drammaturgico, ancor più difficoltoso da rendere nei due piani sonori in assenza di scene. Un evento, dunque, che dopo i doverosi omaggi delle prime due serate, si presentava smarcato da ogni celebrazione che non fosse quella della musica; il risultato è stato quello di un bel concerto contraddistinto da buon gusto e da una certa raffinatezza grazie soprattutto ad un pubblico sì ridotto all’osso ma attento, educato e consapevole di trovarsi in un tempio della musica.
Il programma si era aperto con il celebre Prologo da “Pagliacci” di Leoncavallo in cui Ambrogio Maestri, apparso rilassato e disinvolto, ha sfoderato una cantabilità generosa anche se non sempre impeccabile nell’intonazione. Decisamente meglio nel monologo di Gèrard Nemico della patria?! dove l’invettiva contro un destino che lo ha liberato dalla servitù sociale per renderlo servo della Rivoluzione ha assunto accenti di passione coinvolgente. Interessante il mezzosoprano Ekaterina Gubanova, avvezza al repertorio sia verdiano che wagneriano ma anche raffinata interprete della letteratura liederistica. Una voce di bella pasta (se pur con una certa tendenza a raccogliere un po’ troppo il suono nei centri) sia in Stride la vampa che nel grandioso O don fatale: la bellezza maledetta di Eboli, la cui condotta la condannerà alla vita monastica si gioca in un turbinìo di sentimenti contrastanti, secondo uno schema drammaturgico tanto caro a Verdi e ben reso dalla giovane cantante russa. Quanto a Yusif Eyvazov, è un tenore di buona voce, capace di trovare begli effetti (anche nel quartetto del Rigoletto) ma di tanto in tanto sembra brancolare al buio alla ricerca di dove girare il suono. V’è da dire che ha portato in scena due brani impegnativi quali O tu che in seno agli angeli (preceduto dall’ampio recitativo) e Ma se m’è forza perderti riuscendo comunque a condurli in porto dignitosamente; non meno difficoltoso l’improvviso di Chénier Un dì all’azzurro spazio nel quale il tenore ha ottenuto risultati convincenti. Ed eccoci giunti alla stella della serata, sulla quale pendevano le aspettative: Anna Netrebko è entrata nell’Arena con la fierezza gladiatoria di chi conosce la propria statura artistica e vocale. Qui risulta un poco difficoltoso tracciarne una valutazione obiettiva poiché si è presentata con un ampio ventaglio di arie stilisticamente differenti: non del tutto convincente nel duetto Adina/Dulcamara Quanto amore! Ed io spietata forse condizionato dalle nuove scelte di repertorio del soprano. Aveva esordito con Tu che le vanità, a nostro giudizio non privo di incertezze ma sempre con momenti di grande fascino; molto bene Io son l’umile ancella (se pur con Tutti uscite! espressivamente un po’ sopra le righe) che ha ottenuto ampio consenso di pubblico. A conclusione della serata il finale di Andrea Chénier, forse il momento lirico più intenso, capace di strappare sonori applausi; questo momento coinvolgente in cui Andrea e Maddalena/Idia Legray si avviano sereni al patibolo e che consacra il loro amore, riesce sempre a commuovere. Dal podio l’esperto Marco Armiliato ha tenuto le fila di un’orchestra già ampia e, suo malgrado, costretta al distanziamento eppure mai scollata ma ben coesa: ha offerto due momenti strumentali con le sinfonie da I vespri siciliani di Verdi e dal Don Pasquale di Donizetti (in quest’ultima ottimi i legni e gli strumentini) riuscendo sempre puntuale nell’accompagnamento dei cantanti. Pubblico non particolarmente numeroso ma prodigo di consensi.Foto Ennevi per Fondazione Arena