Arena di Verona, Estate Opera Festival 2020
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Marco Armiliato
Maestro del Coro Vito Lombardi
Soprano Vittoria Yeo
Mezzosoprano Sonia Ganassi
Tenore Saimir Pirgu
Basso Alex Esposito
Wolfgang Amadeus Mozart: Requiem in re minore, per soli, coro e orchestra K.626, completato da Josef Leopold Eybler e Franz Xavier Süssmayr
Verona, 31 luglio 2020
È occorsa una drammatica pandemia globale per aprire le porte del palcoscenico areniano al Requiem di Mozart. L’idea inedita di eseguire questa eccelsa e misterica partitura tra le pietre normalmente consacrate al melodramma è fonte di profonda commozione, complice l’assetto sperimentale di questo Festival 2020, la luna quasi piena in cielo e la consapevolezza che, con ogni probabilità, si è trattato di un evento irripetibile. L’intenzione di ricordare le vittime italiane del coronavirus e di stringersi, in un abbraccio di note e di archi a tutto sesto, attorno ai familiari di quelle, invitati personalmente al concerto-memoriale, è stata esplicitata dalle parole di affettuosa partecipazione, di cordoglio e assieme di orgoglio per l’energie messe in campo per far sì che il cuore musicale di Verona non cessasse di battere, pronunciate dal sindaco Sboarina e rinforzate da quelle più escatologiche del Vescovo Zenti. L’onore di dirigere questa prima è toccato all’ottimo Marco Armiliato, direttore di chiara fama in ambito operistico in Italia e all’estero, e in particolare alla Staatsoper di Vienna, di cui è membro onorario. Armiliato sembra addentrarsi un poco alla volta nella selva delle emozioni sovrumane di cui quest’opera somma è bacino, quasi con una certa riverenza. Lo stacco dei tempi è tendente alla larghezza, scelta del resto obbligata onde poter gestire le distanze quasi siderali tra coro ed orchestra, eppure, attraverso di essa – come per fare di necessità virtù – Armiliato ha ripercorso con rinnovata consapevolezza le progressioni geniali, il contrappunto focoso e austero, le modulazioni sorprendenti a cui Mozart ci abitua. Pur nella religiosa compostezza della direzione, Armiliato non ha mancato di accendere le sacre micce del Dies irae o il tremore del Rex tremendae, e di esaltare le differenze dinamiche, fin quasi al parossismo, nel Confutatis. Da questa lettura, ci pare inoltre di desumere una comprensione sottile dell’architettura musicale e della sua interna tensione, prova ne è stata il Lacrimosa, bissato alla fine, eseguito con ottimo respiro e a pennellate ampie ma con inarrestabile direzione di frase. Coro e orchestra fanno un ottimo lavoro, nonostante le già citate e temibili distanze che li separano, l’uno disposto ad anello lungo il perimetro dell’arena, l’altra raccolta al centro – soluzione di grandissimo effetto visivo e stereofonico. L’amalgama del coro è forse superiore anche a quello degli strumenti – sarà forse la lontananza a costringere i singoli coristi ad un ascolto ancor più accorto di sé e della musica? La dizione è potente e chiara, i colori intensi e vividi. Sull’insieme, specialmente nelle fughe, chiudiamo un occhio.Il quartetto di solisti, seppur formato da nomi eccellenti, è l’anello debole del congegno, a riprova delle teorie olistiche: il tutto è più che la somma delle parti, e per fare un buon quartetto non bastano quattro (ottimi) cantanti. Il soprano sud coreano Vittoria Yeo, classe 1980, apprezzabile nei passaggi solistici per il timbro cristallino e penetrante, è stata parca di sfumature e decisamente soverchiante nelle parti quartettistiche. Del blasonato mezzosoprano Sonia Ganassi speriamo vivamente di avere altra occasione per ascoltarne la voce, del tutto coperta dai suoi colleghi più prossimi in ansia da prestazione open-air. Anche Saimir Pirgu, ci ha lasciati lievemente perplessi: Pirgu ha condotto il canto in maniera assai disomogenea, privilegiando le spinte improvvise a discapito dell’autentico legato, e producendo un campionario di suoni assolutamente tenorili ma del cui gusto rimaniamo dubbiosi. Il timbro personalissimo e molto attraente del basso Alex Esposito emergeva di quando in quando dalla descritta penombra sonora, confezionando linee melodiche decisamente belle ma ben poco in sintonia con l’insieme. Insomma, ci è sembrato che la barchetta dei solisti sia arrivata in porto solo grazie alle correnti placide e profonde del mare orchestrale e ai favorevoli venti corali…Se l’esecuzione del Requiem, in fin dei conti, ci ha emozionato anche per circostanze non strettamente musicali, l’Ave Verum concesso da Armiliato come primo bis è stato un’esperienza di godimento puramente estetico. Una ad una, le 46 battute del miracoloso mottetto sono sbocciate come rose inattese nel grembo dell’anfiteatro, lente e quasi mormorate, lasciando che fossero le linee ascendenti e discendenti a suggerire crescendi e diminuendi, senza aggiungere nulla, se non un filo di suono a quel che è già scritto (beati noi!). Lunghi applausi hanno richiamato più volte sul palcoscenico il Direttore e gli artisti, confermando il gradimento delle 2000 persone che quest’anno, in Arena, sono il massimo che si possa desiderare. Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona