Leonard Bernstein (Lawrence, 25 agosto 1918 – Dakota, 14 ottobre 1990)
Leonard Bernstein e da molti anni un uomo celeberrimo e ora che lo hanno visto anche alla televisione, con quel suo bel volto virile, i modi simpatici e schietti, perfino quelli che si fermano alla “musica leggera ” hanno imparato a conoscerlo e ad ammirarlo. Bernstein, del resto, ha scritto anche molta musica di facile consumo e non è nemmeno un “decafonico” (termine, diventato quanto mai generico, senon addirittura dispregiativo, almeno in certi ambienti), porta bene i suoi 49 anni, parla correttamente, oltre l’inglese, il tedesco, il francese, l’italiano e il russo, e sembra di casa ovunque si trovi; ha poi una moglie molto carina (un’ex attrice cinematografica cilena), tre figli tra i quattordici e cinque anni di età, è un appassionato sciatore, ama bagni di mare e non disdegna, in qualsiasi paese del mondo, le oneste gioie della tavola.
Insomma ha tutto quello che occorre per essere catalogato fra i “simpatici”, fra quegli esseri fortunati che la natura mette in condizione di guardare il mondo con ottimismo e di espandere intorno una vera e propria gioia di vivere. In più ha anche la dote, davvero rara in un uomo delle sue condizioni, di non essere diventato un “Divo “: in America il nome di Bernstein è celebre almeno del 1943, sia come direttore di orchestra (la sua fama esplose quando sostituì occasionalmente Bruno Walter alla Filarmonica di New York) che come compositore di opere, commedie musicali e balletti; comincio a venire in Europa subito dopo la guerra, spesso presentandosi in uno stesso concerto come direttore d’orchestra, solista di pianoforte e compositore. Ma nonostante gli innumerevoli successi, anche oggi che un suo concerto costa un occhio della testa, è rimasto un uomo di cui si innamorano perfino le orchestre, e non soltanto le signore che ne seguono il gesto appassionato sul podio: è rimasto un musicista che volentieri conversa con tanti amici che lascia ovunque, un uomo senza “pose”, innamorato del mestiere che ha scelto, sensibile alla gioia e al dolore altrui come pochi altri.
Bernstein è tornato in Italia, per due concerti, dopo molti anni di assenza; e ancora una volta si è presentato alle orchestre italiane come dieci, quindici anni fa, meravigliando per la memoria straordinaria che gli consente di ricordarsi perfino i nomi di molti professori; e magari di dire a qualcuno, con tono familiare: “Ma lei è ingrassato… Capisco, qui l’Italia, con tutte le cose buone che avete!”. Perché Bernstein non parla sempre di musica, anche se davvero è un “impasto” infuocato di suoni e di ritmi il suo gusto della conversazione, la sua curiosità intellettuale, la sua carica di affetti sembra inesauribile, ma senza complicazioni intellettuali (in questo senso è il più “americano” dei grandi direttori d’orchestra), senza divisioni manichee di “buoni” e di “cattivi “e anche senza ombra di specializzazione.
Nel suo di repertorio di direttore figurano, difatti, i mondi più diversi e contraddittori; e anche se oggi eri considerato uno dei più attendibili, e forse il maggiore interprete di Mahler, nel suo modo profondamente accalorato e “romantico” di intendere la musica trovano posto gli artisti delle scuole più diverse. Per cui, senza sentirsi in contraddizione, egli ammira un musicista come Dallapiccola e continua a scrivere la sua piacevole musica “tonale”; convinto anzi, più di quanto non lo fosse quando era alle prime armi, che ci sia ancora molto da scrivere con la “regola dell’ottava”. “Io ora” diceva ad Antonio Veretti, col quale si è incontrato a Firenze e di cui è amico da molti anni “scrivo sempre musica molto semplice… molto tonale… non mi riesce che la musica tonale”. Ma contrariamente a quanto accadrebbe se un’affermazione del genere fosse fatta da un altro, nemmeno i più fanatici assertori dell’ineluttabile avvento della tecnica dodecafonica considerano il direttore americano un reazionario o un conservatore.
La musica, tutta la musica, è il suo mondo;ed egli vi si occupa con grande schiettezza e con profonda comprensione degli uomini che ci stanno dietro, si tratti del tormentato Mahler delle sinfonie o dell’appassionato e lucidissimo Berlioz delle confessioni di un Schumann ( di cui è interprete davvero straordinario) come del primo romanticismo di un Cherubini. Perché in fondo, pur avendo la fortuna di essersi formato professionalmente all’ombra di grandi direttori, Bernstein ha conservato il piglio di un musicista che è venuto dalla gavetta, per gradi congiunti.
Nato a Lawrence, del Massachusetts, il 25 agosto 1918, fin da piccolo Bernstein mostrò quella istintiva propensione alla musica che si risconta di frequente in molte famiglie ebraiche di origini russe; ma non fu allevato come “enfant prodige “, e compì intensi e regolare studi con Walter Piston all’Università di Harvard, con Edward Burlingame e più tardi con Randall Thompson. Ebbe cioè un’educazione tipicamente americana, con alcuni dei più colti musicisti degli Stati Uniti; e ben presto fu conosciuto, oltre che come eccellente pianista, come un giovane di straordinario estro nella composizione e nella direzione d’orchestra. Ebbe la fortuna di essere notato dal grande Kussevitzki, e fu come suo “sostituto” che Bernstein debuttò nel 1942, a ventiquattro anni; poi venne il “colpo” di sostituire alla Filarmonica di New York Bruno Walter; e nel 1946, appena finita la guerra, il rampollo più “americano” delle giovani leve musicali degli Stati Uniti comincio a dare concerti anche all’estero, presentandosi spesso come direttore d’orchestra e pianista.
Fu un rincorrersi di successi, in campi diversi della pratica musicale. Il giovane che suonava in modo musicalissimo ed esuberante il concerto per pianoforte di Ravel era lo stesso che aveva composto The Age of anxiety e On the town e i balletti Fancy free e Facsimile; il musicista americano di Brass Music era quello che stupiva il pubblico europeo con le sue magistrali interpretazioni di Mahler e di Schumann; e mentre succedeva a Kussevitzki anche nella cattedra di direzione d’orchestra a Tanglewood, veniva poi in Italia, si tratteneva a Firenze per studiare la Medea di Cherubini, che il “Maggio” aveva scoperto, e con questa opera entrava – primo direttore americano nella storia del grande teatro – alla Scala di Milano, nel 1953. Più tardi, nel 1955, dirigerà la scala anche Bohème di Puccini e La Sonnambula di Bellini. La nomina nel 1958 a direttore stabile della Filarmonica di New York, da lui portata ora di uno splendore eccezionale anche in confronto con le meravigliose orchestre sinfoniche degli Stati Uniti, diradò le sue apparizioni europee. Ma intanto la sua opera West Side Story, del 1957, dopo i grandi successi a New York, aveva un’enorme fortuna in ogni parte del mondo, fin quasi a superare quelli di Porgy and Bess di Gershwin: per cui si può dire che il nome di questo musicista di origine russa diventasse, in ogni campo, l’emblema della vecchia e della nuova civiltà musicale americana, piena di nostalgia per l’Europa e pure fiera delle sue natura “leggera” come delle sue orchestre, della sua gioia di vivere e delle sue allucinazioni.
Quanto è tornato in Italia, molti si sono domandati se Bernstein avrebbe ripreso la strada di contatti più frequenti con le nostre orchestre e con i nostri teatri. Purtroppo sarà molto difficile, ora, con gli impegni che ha:Bernstein vuole anche vivere, stare con i suoi figli, fare dello sport, scrivere musica. Per quest’estate intanto, ha affittato una villa per la sua famiglia a Ansedoniai. A un temperamento come il suo, l’Italia deve apparire come una specie di termine di confronto, un punto del mondo dove la natura rende concrete molte delle emozioni che gli cerca nella musica e, quando si abbandona, e salta sul podio, e sembra che da un momento all’altro debba mettersi a gridare. Bernstein è un direttore in possesso di una grande tecnica, ma quando sul podio si agita indicando l’espressione ai vari settori dell’orchestra, talvolta con allunghi degni di un ballerino o di uno schermitore, non lo fa per impressionare il pubblico femminile: questo “suonatore di orchestre” davvero non riesce a contenersi, nella sua completa, entusiastica dedizione alla musica. Come è facile constatare, del resto, durante le sue prove. perché Bernstein è un grande “concertatore”, e mentre monta una qualsiasi composizione, tutti i mezzi sono adatti per farsi capire. (estratto da “Leonard Bernstein: lo schermidore delle orchestre” di Leonardo Pinzauti, Roma 1967)