Gbopera dedica questa intervista/approfondimento a due importanti collezionisti del mondo del balletto: Madison U. Sowell e Debra H. Sowell. Un incontro virtuale impegnativo, per mettere in luce i tesori di una collezione dal valore inestimabile. L’intento è quello di aprire a un pubblico più ampio i preziosi materiali che contrubuiscono alla ricostruzione della storia della danza
Madison U. Sowell, Professore Emerito di Letteratura Comparata ed ex-Vice Rettore di due Università statunitensi (Southern Virginia University e Tusculum University), e sua moglie Debra Hickenlooper Sowell, docente di Critica delle Arti e dello Spettacolo presso la Southern Virginia University, sono fra i massimi collezionisti mondiali di documenti e oggetti sulla danza teatrale pre-novecentesca. Insieme a Francesca Falcone e Patrizia Veroli hanno pubblicato due libri basati sulla Collezione Sowell: Il balletto romantico. Tesori della Collezione Sowell (Palermo: L’Epos, 2007) e Icônes du ballet romantique. Marie Taglioni et sa famille (Roma: Gremese, 2016). In un italiano perfetto ci raccontano la storia della loro collezione, nella quale si riversa l’amore per la danza (ma anche per l’Italia).
Come definireste la vostra passione?
La storia di ogni seria collezione di libri deve trattare di quella particolare malattia che affligge il collezionista, un virus felicemente diagnosticato dal nostro amico Mauro Giancaspro, ex-direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli, come “il morbo di Gutenberg”. Nel libro che ha pubblicato con questo titolo, egli traccia le fasi dell’infezione: sulle prime appare la bibliofilia, che è seguita dalla bibliomania e culmina nella “bibliofollia”.
Com’è nata?
(Madison S.) Noi ci siamo conosciuti come studenti universitari nell’ovest degli Stati Uniti. In quel periodo Debra studiava discipline umanistiche, letteratura francese e danza classica; io stavo studiando italiano, letteratura comparata e filosofia. Lei veniva dalla periferia di New York City, dove aveva avuto accesso ad alcuni dei migliori teatri e musei del mondo; io, d’altra parte, sono cresciuto nelle fattorie familiari e nella piantagione di cotone di mia zia nel Deep South (profondo sud degli Stati Uniti). In poche parole avevamo background molto diversi, ma ci piacevamo molto. Quando ci sposammo nel 1977, io studiavo lingue e letterature romanze alla Harvard University e Debra lavorava alla Harvard Theatre Collection dove catalogò una parte della collezione di George Chaffee e conobbe il grande collezionista Edwin Binney, 3rd (autore inter alia di Les Ballets de Théophile Gautier e Glories of the Romantic Ballet). Passammo il nostro viaggio di nozze in Italia, dove avemmo la fortuna di vivere in un incantevole appartamento fiorentino ricolmo di libri e antichità varie, dalle cui finestre, che davano sull’Arno, si poteva godere di una meravigliosa vista del Ponte Vecchio e, al di là del fiume, della cupola del Brunelleschi. Ricevemmo in regalo da una una zia una stampa ottocentesca sul balletto, che ci piacque molto. Poi incontrammo la contessa Daisy Mei Gentilucci, un’antiquaria che ci introdusse nel mondo barocco di Alfonso e Giulio Parigi, Jacques Callot e Stefano Della Bella e ci vendette le nostre prime “stampe di festa” (realizzate per le feste medicee), che fino ad allora erano conservate nella sua collezione privata. Non molto tempo dopo, sempre a Firenze, scoprimmo ed acquistammo una splendida litografia ottocentesca della ballerina Flora Fabbri Bretin. Fu così che ebbero inizio allo stesso tempo il nostro matrimonio e la nostra collezione, ambedue uno stimolante e felice passo a due.
Cosa comprende la collezione?
È molto difficile precisare un numero esatto di pezzi, perché cambia di settimana in settimana con l’acquisto di novità e/o la vendita di duplicati. Comunque la parte strettamente iconografica è una raccolta di circa 4.000 immagini: essa non pretende di essere esustiva, né potrebbe mai esserlo. Molte di esse riguardano i più importanti spettacoli messi in scena in quattro secoli. I materiali iconografici in nostro possesso vanno dal Rinascimento all’alba del variety show, cioè dai primi anni ’90 del XV secolo, quando Hartmann Schedel pubblicava xilografie di coppie danzanti nella sua famosa Cronaca di Norimberga, alla fine degli anni ’60 del XIX secolo, quando diverse ballerine romantiche anche italiane si esibivano in America nel Black Crook (Il brigante nero). Parliamo di Maria Bonfanti, Rita Sangalli e Annetta Galletti e del coreografo Davide Costa. Cronologicamente le nostre prime opere stampate, pertanto, sono xilografie attribuite a Michael Wolgemut, maestro di Albrecht Dürer, mentre le ultime stampe sono state realizzate da diversi litografi romantici, tra cui i famosi A. E. Chalon, Victor Coindre, Achille Devéria, Godefroy Engelmann, Marie-Alexandre Menut-Alophe, John Brandard e Nathaniel Currier. Alcune centinaia di copertine illustrate di spartiti di musica da ballo d’epoca vittoriana, un certo numero di figurine di balletti e centinaia di fotografie di danseurs e danseuses del secondo Impero francese (tra cui più di 700 cartes-de-visite e foto stereoscopiche) completano la nostra collezione di immagini di danza teatrale, che è esclusivamente pre-novecentesca. Le pareti di casa sono coperte di ballerine famose e anche meno note, da Maria Medina Viganò a Marie Taglioni e da Emilie Bigottini a Geneviève Gosselin.
Quali sono le immagini più preziose della collezione?
La più celebre stampa del balletto romantico è probabilmente il Pas de Quatre (litografia di Maguire, da Chalon) con Carlotta Grisi, Marie Talgioni (nel centro), Lucile Grahn e Fanny Cerrito. L’immagine più preziosa della nostra collezione, tuttavia, non è una stampa ma una statuetta in bronzo di Marie Taglioni come La Silfide. L’abbiamo acquistata in un’asta a Vienna. Fu prodotta da Jean-Auguste Barre a Parigi nel 1837, anno in cui la Taglioni lasciò la capitale francese per San Pietroburgo; Barre la scolpì in suo onore e rappresenta la ballerina nel suo ruolo più famoso. La statuetta è l’accompagnamento perfetto di una mezzatinta (da Gabriel Lépaulle) che possediamo di Marie e di suo fratello Paul nella scena iniziale di La Sylphide.
Cos’altro comprende?
Assieme alle stampe e alla parte strettamente iconografica possediamo parecchie centinaia tra “libri di festa”, trattati di ballo, almanacchi teatrali, album illustrati, bozzetti di costume e materiali d’archivio che vanno da descrizioni delle cinquecentesche feste della famiglia De’ Medici a trattati scritti da Raoul Feuillet, John Weaver, Jean Baptiste Dufort, Pierre Rameau, Pablo Minguet e Yrol, Jean Georges Noverre, Giovanni-Andrea Gallini e Gennaro Magri. L’Ottocento è rappresentato da autori come Jean Berchoux, Jean-Etienne Despréaux, Carlo Blasis, Auguste Baron, Antonio Biosca, E. A. Theleur (Taylor), Francesco Regli, Théophile Gautier e altri famosi coreografi e maestri di ballo. Particolarmente importanti, e spesso sottovalutati, sono gli apporti offerti dagli almanacchi, che gettano una luce significativa sull’ambiente culturale in cui furono creati e interpretati certi balletti.
Cosa si intende per “almanacco”?
Nell’Ottocento veniva generalmente definito “almanacco” un libro che si produceva una volta all’anno. Esso poteva contenere elenchi, mappe o tavole con un calendario che indicava giorni, mesi di un anno specifico, oppure di una serie di anni. Di particolare interesse per gli storici, l’almanacco era un’opera per sua natura miscellanea, che spesso dava informazioni precise su vari argomenti. Per quanto riguarda gli almanacchi teatrali e tersicorei, pubblicati in Italia dagli anni Venti agli anni Quaranta dell’Ottocento, questi piccoli libri costituiscono per lo storico una fonte multidisciplinare di informazione su cantanti e opere, attori e rappresentazioni teatrali, danzatori e balletti, durante un periodo dell’era romantica che fu particolarmente ricco di produzioni teatrali. Ci siamo specializzati nel raccogliere questi piccoli libri, che nell’Ottocento erano in verità molto popolari.
Quali sono i pezzi più antichi?
Tra i libri più antichi in nostro possesso che trattano specificamente o esclusivamente la danza ci sono: Il Ballarino (Venezia, 1581) e Raccolta de’ balli (Roma, 1630) di Fabritio Caroso da Sermoneta, Nuove inventioni di balli di Cesare Negri (Milano, 1604) ed il rarissimo – praticamente introvabile –Libro di gagliarda di Livio Lupi da Caravaggio (Palermo, 1607). Questi quattro libri sono probabilmente i più preziosi della nostra collezione, ma ci sono anche rari trattati in lingue diverse dall’italiano, come lo spagnolo e il tedesco.
Oltre all’età romantica, quale altro periodo copre la vostra collezione?
Dopo l’era romantica, è il XVII secolo a costituire l’altro nucleo principaledella nostra collezione: molti dei nostri libri sulle feste fiorentine provengono dalla collezione assai celebre di Giannalisa Gianzana Feltrinelli Barzini, la vedova di Carlo Feltrinelli, Sr., e successivamente moglie di Luigi Barzini, Jr. La sua biblioteca fu venduta in una serie di aste da Christie’s nel 1997 e nel 1998. Possediamo per esempio una quindicina di libri pubblicati nel 1608 in celebrazione del matrimonio di Ferdinando II de’ Medici e Maria Maddalena d’Austria ed essi provengono tutti dalla Collezione Feltrinelli.
E sul balletto italiano?
Per la storia del balletto italiano un nucleo importante della nostra raccolta consiste nei circa 1.200 libretti relativi a balli rappresentati in Italia tra il 1770 circa e gli ultimi anni dell’Ottocento. Il libretto più antico è Adone e Venere. Ballo pantomimo, di Giambattista Gianini, datato al 1777, anno in cui andò in scena al Nuovo Teatro della Città d’Alessandria. Mentre abbiamo acquistato da vari mercanti all’incirca la metà di questi preziosi libretti, talora singolarmente, talora due o tre alla volta, tutto il resto proviene da collezioni private e ha storie affascinanti. Circa duecento dei nostri libretti di balli facevano parte di una collezione costituita tra il 1820 e il 1835 da Gaetano De Angelis, primo mimo del Teatro di San Carlo di Napoli. Questa raccolta eccezionale contiene materiale di un’abbondanza e di un interesse realmente straordinari per la storia del balletto tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Quasi tutti i libretti descrivono spettacoli rappresentati a Napoli (la maggior parte al Teatro di San Carlo e qualcuno al Real Teatro del Fondo) tra il 1795 e il 1834. Due libretti (Rinaldo, ed Armida o sia La Conquista di Sionne e Capitan Sander nell’Isola Carolina) sono del 1788. Il primo di essi descrive l’azione relativa a un balletto andato in scena al Teatro Argentina di Roma e composto dal padre del celebre Salvatore Viganò, Onorato, che vi interpretava il ruolo principale; il secondo invece riguarda un balletto rappresentato al Teatro San Samuele di Venezia e composto da Domenico Ricciardi. Un altro piccolo gruppo di libretti descrive l’azione di balletti messi in scena alla Scala di Milano e al Teatro Carolino di Palermo, tra il 1807 e il 1824. Unultimo libretto, infine, è relativo a un balletto presentato a Livorno nel 1799 ed intitolato La Morte di Datirio usurpatore dell’Assiria ossia La Figlia dell’antro inalzata al trono. Fra i coreografi più frequentemente rappresentati ci sono Gaetano Gioja, Antonio Guerra, Louis Henry, Pietro Hus, Salvatore Taglioni, Armando Vestris e Salvatore Viganò. Più di trecento libretti invece provengono dalla favolosa collezione americana di George Verdak, lo scomparso danzatore del Ballet Russe de Monte Carlo e poi professore di danza alla Butler University di Indianapolis, in Indiana. Questa particolare raccolta di libretti, che abbiamo acquistato in toto, rappresenta ben ottanta coreografi che, durante il XIX secolo, avevano lavorato in tutta l’Italia. Debra ha pubblicato articoli su vari libretti della nostra collezione. Infine nella parte dell’archivio della famiglia di Giulio Viganò, figlio di Onorato e fratello di Salvatore, che abbiamo acquisito, figura tra i vari ritratti e passaporti anche una collezione di libretti. Essa consente di apprezzare il lavoro della terza generazione dei Viganò. Nel corso degli anni Debra ha inserito le informazioni di produzione dei libretti in un database di Access appositamente progettato che le consente di trovare modelli nel repertorio e tenere traccia delle carriere degli artisti e dei coreografi. Altri tesori italiani sono i bozzetti di costume realizzati per tre balletti di Antonio Cortesi (Marco Visconti, I Crociati a Damasco e I Figli di Eduardo), così come numerosi esempi di notazione coreografica di questo importante coreografo.
Qual è – per chi non la conosce – la principale funzione di queti materiali oggi?
Come la nostra collega Francesca Falcone, co-autrice de Il balletto romantico, ha osservato, «pochissimo è rimasto della danza teatrale dell’Ottocento. Per ricostruirne alcune linee teoriche e tecnico-stilistiche, sono fondamentali supporti quali l’iconografia, i libretti, le recensioni, le note coreografiche e, non ultimo, la trattatistica teorica e tecnica». Per i collezionisti di materiali di danza e, in generale , per i ballettomani, crediamo sia importante notare un’altra area della nostra raccolta: le locandine che contengono poesie di occasione. Stampate quasi sempre su carta, e talora su seta, queste opere estremamente effimere possono essere reperite in una grande varietà di forme, corrispondente alla loro diversa e possibile finalità: possono essere annunci di spettacoli, che in genere venivano affissi ai muri, oppure possono elencare i nomi degli interpreti di un balletto e, in tal caso, erano distribuite in teatro, nelle piazze o nelle strade. Su alcuni di questi volantini sono stampate poesie scritte in ammirazione di determinati artisti: essi venivano conservati in ricordo di ballerina, più spesso di ballerine, ma accadeva anche che venissero inseriti dentro i mazzetti di fiori che erano poi gettati sul palcoscenico ai piedi degli artisti alla fine dello spettacolo. Le locandine contengono spesso dati importanti relativi allo spettacolo, come le date e i nomi degli interpreti, e illustrano, o almeno lo fanno le poesie, l’idolatria cui era oggetto soprattutto la ballerina romantica, ma talora anche alcuni ballerini e coreografi (senza dimenticare che il fenomeno delle poesie gettate in scena avveniva nella stessa epoca anche per gli artisti del canto).
Quanto è stato difficile reperire i materiali?
Questa è una domanda che ci viene spesso posta, ma in questi termini: come hanno potuto due insegnanti le cui residenze primarie sono state nelle lontane Montagne Rocciose e nella Shenandoah Valley della Virginia, ben lontane dunque dai centri famosi per il balletto, raccogliere una collezione del genere, peraltro in anni in cui, quando non viaggiavano, si sono dedicati prioritariamente al loro lavoro, ma anche a tirar su una famiglia? La risposta è piuttosto semplice: facendo capo a una rete di venditori bene informati e diventando esperti di acquisti ad asta e online. In effetti, una pletora di esperti mercanti di libri e stampe ci ha assistito nell’aumentare e arricchire in modo significativo la nostra collezione. I negozianti francesi, inglesi e americani con cui siamo stati e siamo in contatto sono persino troppo numerosi perché noi possiamo menzionarli tutti in questa intervista. Ironicamente, per quanto ha a che vedere con i materiali italiani, quello che è forse il nostro pezzo iconografico più straordinario – i tre volumi della Raccolta di scene teatrali eseguite o disegnate dai più celebri pittori scenici in Milano (ca. 1825), in una rilegatura d’epoca e contenenti 300 acquatinte colorate a mano – ci è arrivata fortuitamente per il tramite di un venditore ambulante di libri usati. Negli Stati Uniti solo due copie complete della Raccolta figurano in cataloghi cartacei e online: una si trova alla Harvard University e l’altra alla University of Virginia.
Come utilizzate queste immagini?
Le immagini sono state utilizzate soprattutto come fonti di ricerche e illustrazioni per i nostri libri e varie pubblicazioni, sia nostre che di altri ricercatori. Come collezionisti e studiosi, oltre che ballettomani, noi abbiamo scelto di legare la disponibilità delle immagini alla vita della nostra collezione e ne abbiamo finora permesso la riproduzione gratuita per pubblicazioni varie ed erudite come la International Encyclopedia of Dance (a cura di Selma Jeanne Cohen), La Danza italiana in Europa nell’Ottocento (un ottimo volume a cura di José Sasportes e gentilmente dedicato “a Debra e Madison Sowell, raffinati collezionisti d’immagini di danza, ringraziandoli per la generosità nel condividere i loro tesori iconografici”) e la recente Storia della danza e del balletto (di Ornella Di Tondo, Flavia Pappacena e Alessandro Pontremoli). Le nostre iconografie figurano anche per le riviste italiane “Lancillotto e Nausica” e “Desideri preziosi”, nonché per l’edizione turca di “P Art and Culture Magazine” e la rivista australiana “Dance Australia”. Nel corso degli anni Debra ha associato immagini delle stampe con dati dei libretti per illustrare articoli su “Dance Chronicle” e “Dance Research Journal”, nonché presentazioni di conferenze per un pubblico diversificato.
In quale fase del “morbo di Gutenberg”, dunque, ritenete di essere?
Noi riteniamo di essere ancora nella fase intermedia, ma le nostre due figlie e i nostri colleghi ne dubitano. Infatti, un caro collega, il celebre storico dell’arte Giorgio Di Genova, preferisce descrivere la nostra afflizione con un altro termine coniato da un suo amico: “libridine”!