Arena di Verona, Festival d’estate 2020
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Jader Bignamini
Maestro del Coro Vito Lombardi
Soprano Lisette Oropesa
Mezzosoprano Marina Viotti
Tenore Levy Sekgapane
Baritoni Mario Cassi, Alessandro Corbelli
Basso Roberto Tagliavini
Gioachino Rossini:”Semiramide”: Sinfonia, “Bel raggio lusinghier”, “La speranza più soave”; “Il barbiere di Siviglia”: “La calunnia è un venticello”, “Una voce poco fa”, “Largo al factotum”, “Cessa di più resistere”, “Freddo ed immobile… Mi par d’esser con la testa”; “La Cenerentola”: “Miei rampolli femminini”, “Nacqui all’affanno, al pianto”, “Un segreto d’importanza”; “Guglielmo Tell”: Sinfonia, “Resta immobile”, “Tutto cangia, il ciel s’abbella”.
Verona, 14 agosto 2020
È all’insegna di Gioachino Rossini il settimo appuntamento del Festival d’estate 2020 dell’Arena di Verona. Il pesarese non è certo uno dei compositori più rappresentati nell’anfiteatro veronese, a parte un certo numero di recite de Il barbiere di Siviglia, opera che anche in questo concerto si ritaglia il maggior numero di brani in programma. Spiace che il Coro areniano (preparato da Vito Lombardi), sebbene penalizzato da una collocazione scenograficamente bella, ma difficile per la resa musicale, non sia stato maggiormente coinvolto. Sarebbe stato interessante sentirlo ad esempio nella sinfonia dell’Ermione, o in estratti da L’Assedio di Corinto (“Divin profeta”), o dal Gugliemo Tell (i ballabili dell’atto I). La compagine areniana ha comunque fornito una prova accurata e precisa. Stesso discorso vale per l’orchestra. Chiamata ad affrontare le due grandi sinfonie di Semiramide e del Tell, ha mostrato un buon equilibrio sonoro e nelle dinamiche, grazie alla sicura e attentissima concertazione di Jader Bignamini: il maestro lombardo si è confermato un ottimo accompagnatore di voci, più che mai in questo repertorio, fatto di cadenze, agilità, che vede le voci sempre in primissimo piano (ancor più, come in questo caso, quando si ha a che fare principalmente con “belcantisti”). Sonorità dell’orchestra e del coro tenute sotto controllo così come il “respiro” con il canto, soprattutto. E veniamo agli interpreti della serata. Ha aperto la parte vocale del gala Lisette Oropesa: il soprano americano, scenicamente disinvolta e altrettanto brillante nel suo svettare sul pentagramma, affrontando le pagine da Semiramide (“Bel raggio lusinghier”) e dal Barbiere di Siviglia (“Una voce poco fa”) ci riporta un Rossini dal gusto “liberty”, funanbolico nelle variazioni, non “filologico”, ma di sicura presa sul pubblico. Tenore “leggero”, il sudafricano Levy Sekgapane, si è cimentato anche lui in Semiramide (“La speranza più soave”) e nel Barbiere di Siviglia (“Cessa, di più resistere”, grande scena di Almaviva, nel secondo atto, in genere tagliata nelle comuni esecuzioni dell’opera). Voce non certamente areniana, ma il giovane tenore, ha musicalità e grande senso dello stile (certo nell’aria del Barbiere, servirebbe uno slancio di maggior sostanza), registro acuto e sovracuto sicuri, precisione nelle fiorettature, nel ritmo e nella quadratura. Nella celebre “calunnia” del Barbiere, il basso Roberto Tagliavini non è un Basilio dalle sonorità “cavernose”, ma ben cantato e interpretato, senza cadere in stereotipi. Al contrario del baritono Mario Cassi, a parer nostro, che sembra un po’ troppo preoccupato di essere disinvolto a tutti i costi. Il suo “Largo al factotum” sembra eccedere in sonorità “di forza”, a scapito della leggerezza e brillantezza del brano. Negli altri brani solistici troviamo il veterano Alessandro Corbelli che ancora una volta nel “Miei rampolli femminini” de La Cenerentola, ci fa sentire cosa sia un buffo “cantante” e non un buffo “parlante”. Chapeau!
Sempre dalla stessa opera, nel rondò finale “Nacqui all’affanno” troviamo Marina Viotti: mezzosoprano acuto (che intelligentemente evita di gonfiare i centri, in una inutile imitazione del contralto rossininano), la cantante affronta il brano con eleganza e accuratezza. Tuttavia, un pizzico di slancio in più non avrebbe nuociuto. Pubblico non numeroso ma caloroso e partecipe. Dopo il grandioso finale dal Guglielmo Tell (coronato da fuochi pirotecnici), tre “bis”: la preghiera “Dal tuo stellato soglio” dal Mosè e la riproposta della stretta, “Mi par d’esser con la testa” del Barbiere e del finale del Tell. Efficaci, come sempre, le luci curate da Paolo Mazzon. Foto Ennevi per Fondazione Arena