M.Ravel: “Shéhérazade”: “Asie”, “La Flûte enchantée”, “L’Indifférent”; S. Barber: “Andromache’s Farewell”, G. Bizet: “Comme autrefois dans la nuit sombre” (“Les Pêcheurs de perles”); Karol Szymanowski: “Pieśni księżniczki z baśni”: “Samotny księżyc”, “Słowik”, “Taniec”; Nikolaj Andreevič Rinskij-Korsakov: “Inno del Sole” (“Zolotoy petushok”); G. Puccini: “Tu che di gel sei cinta”, “Signore, ascolta!” (“Turandot), J. Massenet: “Dis-moi que je suis belle” (“Thaïs”). Seljan Nasibli (soprano), National Symphony Orchestra of Ukraine, Yalchin Adigezalov (direttore). Registrazione: Great Concert Studio of the National Radio Company of Ukraine, 4-7 dicembre 2017. 1 CD Naxos 8 579066 – 2020
L’Oriente con le sue seduzioni reali o immaginarie è stato uno dei grandi miti della cultura europea del XIX secolo. Mito che comincia con la generazione romantica attratta dalle sanguinarie e splendenti fantasie dell’Oriente mitico e storico – si pensi alla “La Mort de Sardanapale” dipinta da Delacroix nel 1827 – e destinato ad accompagnare – continuando a evolversi – tutto il secolo. In particolar modo a partire dagli Cinquanta e Sessanta – ormai spente le grandi passioni romantiche e le esaltanti avventure che avevano contraddistinto la prima metà del secolo fino all’unificazione italiana del 1860 – l’Oriente diventa il luogo di fuga immaginaria per un’Europa sempre più soffocato dal perbenismo borghese. Un’altra realtà, più primitiva e selvaggia, dove le passioni dell’anima e i desideri dei sensi posso esprimersi con una libertà a un tempo vagheggiata e temuta, desiderata ma necessariamente trasposta altrove rispetto al mondo europeo dominato dalla moralità vittoriana e dalla sobrietà borghese. Un’identificazione tra esotismo ed erotismo – già anticipato negli anni 30-40 dalle Odalische di Ingres – che sempre più si carica di intenti predatori con lo stabilizzarsi degli imperi europei in Asia, con la conquista dell’Africa sancita dal Congresso di Berlino, con l’espansione dell’Impero russo verso le terre islamizzate del Caucaso e dell’Asia Centrale.
La musica non poteva certo sfuggire a questo fascino, anzi lo poteva esprimere forse ancor di più di qualunque altra arte. Al mito dell’Oriente in musica è dedicato questo CD di una giovane cantante che proviene da una di quelle terre esotichei, l’Azerbaijan antica provincia turca e persiana che la conquista russa apriva alla cultura occidentale. Seljan Nasibli è un giovane soprano che dopo la formazione in patria e un perfezionamento in Inghilterra comincia ad affacciarsi sulla scena internazionale.
La voce è di natura lirica con una certa propensione verso il leggero forse anche per la giovane età. Timbro e colore sono piacevoli, la tecnica e buona con un bel controllo dei fiati e una certa facilità nel canto di coloratura, gli acuti sono abbastanza facili, se pur con qualche tensione in alcune puntature. La pronuncia sia italiana che francese è perfettibile ma nel complesso accettabile e l’interprete inevitabilmente un po’ immatura anche se si nota un notevole impegno. Ovviamente l’interesse per quanto proposto – oltre all’ovvia curiosità per una nuova voce che comincia “esordiente” – è legato ai ai brani scelti. Un’anima operistica, con brani noti e in fondo meno interessante e un’altra con una serie di lieder orchestrali di ascolto molto meno frequente – con l’esclusione di “Shéhérazade” di Ravel – e quindi con il duplice vantaggio di attirare maggiormente l’attenzione e di non esporre l’interprete a confronti troppo gravosi.
La parte strumentale è affidata alla National Symphony Orchestra of Ukraine diretta correttamente da Yalchin Adigezalov. Si nota una certa tendenza a un effettismo un po’ superficiale e uno scarso approfondimento stilistico dei vari brani.
La parte più interessante, dicevamo, è quella liederistica. Il primo brano è quello più noto e forse più interlocutorio. Delle tre canzoni di “Shéhérazade” colpisce positivamente l’abbondono lirico di “La Flûte enchantée” mentre “Asie” manca un po’ di quella fascinazione retorica che dovrebbe caratterizzarla.
Autentica scoperta – almeno per lo scrivente – il lungo monologo “Andromache’s Farewell” di Samuel Barber su testo di Euripide tradotto da J.P. Creagh. Definirlo “orientalista” è un po’ azzardato, visto che la tematica del brano è saldamene ancorata alla tradizione greca, così come la scrittura musicale scevra da qualunque suggestione in tal senso. Il brano di Barber – pur pensato per una esecuzione concertante – è chiaramente operistico e mostra la forte influenza sul compositore americano del tardo-romanticismo germanico di matrice post-wagneriana. La sontuosa orchestrazione ci rimanda a Richard Strauss e forse ancora di più Korngold che aveva lasciato un segno nella cultura musicale americana. Forse la vocalità della Nasibli è un po’ “leggera” per una musica che sembra richiedere una vocalità più corposa, ma la qualità del brano e la sua rara esecuzione meritano l’ascolto.
Analoghe considerazioni si possono fare per le tre “Pieśni księżniczki z baśni” (“Canzoni della principessa delle favole”) di Karol Szymanowski. Il compositore polacco fa della raffinatissima orchestrazione e di atmosfere arcane e seducenti la sua cifra stilistica più tipica – da “Kròl Roger” alle personali e profonde riletture del mito greco in forma sia orchestrale che liederistica. Qui troviamo le stesse componenti con una Nasibli vocalmente perfettamente in linea nell’incantato lirismo di “Samotny księżyc” (“Luna solitaria”) e nell’estetizzante virtuosismo del canto dell’usignolo (“Słowik”).Tra i brani operistici spicca l’’Inno al Sole della Principessa di Shemakha dal “Gallo d’oro” di Nikolaj Rimskij-Korsakov di cui è colta la dimensione edonisticamente liberty.
Corretta la prova della cantante come Leila (“Les Pêcheurs de perles” di Bizet) nell’ aria “Comme autrefois dans la nuit sombre”, cantata con gusto anche se si sente la necessità di un maggior approfondimento. Discorsi simili si possono fare per le due arie di Liù dalla “Turandot” pucciniana dove si apprezzano un ottimo controllo del fiato e un impegno espressivo non trascurabile. La mancanza di maggior forza e di un più robusto settore grave emergono in “Dis-moi que je suis belle” da “Thaïs” la cui ampia tessitura richiede una maggiore sicurezza in tutta la gamma.