Otto Nossan Klemperer (Wroclaw, Polonia 14 maggio 1885 – Zurigo, 6 luglio 1973)
(…) Nato a Breslavia (ora Wroclaw, Polonia)il 14 maggio 1885, avviato alla musica sotto la guida di illustri maestri, non aveva ancora venti anni quando scelse la strada di “avanguardista”, preferendo al severo Pfitzner, su insegnante di composizione e accanito conservatore, la figura “sconcertante” di Gustav Mahler. E intorno a questo grande maestro, più che più di altri bisognoso di affetto, portò l’entusiasmo della giovinezza unita alla passione polemica e il gusto della bravura artigianale. “Sono perennemente circondato da uno stato maggiore di giovani “, scriveva Mahler alla moglie nel settembre 1908 da Praga “e da altri, Bodonsky e Klemperer, quello che ha fatto quella meravigliosa riduzione per pianoforte a due mani della seconda”.
Il legame di simpatia del giovane Klemperer per Mahler non si era manifestato soltanto nella trascrizione della Seconda dell’illustre Maestro, ma anche in lavori più umili, come la revisione delle bozze delle sue sinfonie. Mahler fece in tempo ad avviare Klemperer nella carriera direttoriale, segnalandolo al Deutsches Theater di Praga, dove nel 1907 fu assunto come maestro di coro e direttore stabile.Qui l'”avanguardista “Kemplerer si fece le ossa, sull’ esempio che lo stesso Mahler aveva dato a Vienna, dirigendo con passione ogni tipo di musica, dalla Madama Butterfly al Lohengrin al Freischutz.
Il giovane maestro colpiva per il gesto scarno e personalissimo, la passione infuocata, la prodigiosa bravura di concertatore. Colpiva anche per la sua stessa figura: un gigante che doveva sempre farsi abbassare le pedane per non costringere i professori d’orchestra a star di continuo con la testa all’insù. E quei suoi occhi terribili, cupi, che sembravano posarsi su ognuno degli esecutori, come un incubo. In breve tempo, mentre Mahler affrontava i suoi ultimi confronti con Toscanini a New York, Klemperer si affermò fra i direttori d’orchestra più pronti e geniali. Nel 1910 lo troviamo ad Amburgo, nel 1914 a Strasburgo, dopo la prima guerra mondiale a Colonia e quindi a Wiesbaden, e nel 1927 alla Krolloper di Berlino, mentre la capitale è centro di confronto di altri grandi della bacchetta, come Erich Kleiber e Bruno Walter. Nel pieno della sua giovinezza, Klemperer allarga sempre di più il proprio repertorio. Da qualche anno si era convertito al cattolicesimo, quasi portando a compimento un disegno spirituale che era stato intravisto dallo stesso Mahler; e una più profonda religiosità aveva ancor più rinsaldato il suo ardore di combattente musicale, il suo senso del dovere di fronte all’arte del passato e a quella contemporanea. Per questo egli passava con disinvoltura, ma con la stessa tenacia, dal Rosenkavalier, alla Mignon, dall‘Arlecchino di Busoni al Cardillac di Hindemith, dal Boris di Mussorgsky alle opere di Stravinskij. Ma erano gli ultimi anni che Klemperer avrebbe trascorso in Germania: per lui, come per altri artisti della sua generazione, il nazismo incombeva, avverando le indistinte profezie che molti avevano da anni espresso sul futuro dell’Europa. Nel 1933 fu costretto a lasciare Berlino, con l’accusa di eccessivo modernismo nelle scelte dei suoi programmi; di fatto, però, soprattutto perché sospettato di essere un oppositore del regime e di avere troppi ebrei fra i suoi amici.
Così anche Klemperer si trovò, dopo una breve parentesi in Ungheria, a Los Angeles. Ma qui ancora una tragedia: operato al cervello nel 1939 per un tumore, rimase paralizzato in tutta la parte sinistra del corpo: Il gigante sembro colpito per sempre. Ma un’energia indomabile lo sorrise nel dolore: gli rimanevano soltanto la mano destra, è un “terribile” occhio. Il mondo si accorse stupito che quella a destra, e quell’occhio destro più vivido del sinistro, con il suo pugno contratto e chiuso da cui emergeva soltanto l’ultima falange del dito pollice, bastavano ancora a suscitare le più fragorose e delicate sonorità delle orchestre. La mano sinistra, col suo tremore, abbandonata, sembrava che non dovesse altro compito che quello di addolcire le sonorità già in movimento.
Tornò così, colpito ma non domato, in Europa nell’immediato dopoguerra. Tornò nella Budapest che lo aveva visto profugo, e diresse edizioni memorabili dei Maestri cantori, del Lohengrin di Otello, del Rosenkavalier, accompagnato dalla figlia, appoggiandosi a un bastone, che a momenti agita come se stesse minacciando chi gli si avvicina, Klemperer si avvia al podio trascinando a forza le gambe, e dirige stando seduto, quasi immobile. Ma se nel’impeto interiore della concertazione gli viene di alzarsi appena un po’ dallo sgabello, allora una tensione immane trascina le orchestre: e basta la sua mano sinistra, svolazzante come un fazzoletto, a riportare la calma. Senza gridare: dicendo soltanto le poche parole che sono necessarie, con voce gutturale, e con sforzo: “più piano”; “più forte”; o qualche volta: “amabile”, “come danza”, “con respiro”.Tutto il resto lo dice la sua testa, l’occhio destro più vivo del sinistro, il suo pugno chiuso. (estratto da “Il gigante paralitico che doma l’orchestra” di Leonardo Pinzauti, 1967)