Ludwig van Beethoven 250 (1770 – 1827): “Leonore” (1805)

Opera in tre atti op. 72.a. Prima versione del Fidelio. Libretto di Joseph Sonnleithner da un libretto di Jean-Nicolas Bouilly (Léonore ou l’amour conjugal). Marlis Petersen (Leonore). Maximilian Schmitt (Florestan). Dimitry Ivaschenko (Rocco). Robin Johannsen (Marzelline). Johannes Weisser (Pizarro). Tareq Nazmi (Don Fernando). Johannes Chum (Jaquino). Freiburger Barockorchester. Zürcher Sing-Akademie. Anne Katharina Schreiber (maestro concertatore). René Jacobs (direttore). Florian Helgath (maestro del coro). Registrazione Live: Philharmonie de Paris, 7 novembre 2017. 2 CD Harmoia Mundi Musique HMM 902414.15
Unica opera di Beethoven, che, per la verità, si interessò al teatro solo saltuariamente e per comporre musiche di scene, Fidelio non incontrò immediatamente i favori del pubblico tanto che di essa il compositore di Bonn fece ben tre versioni. Composta nel 1804 sull’onda dell’interesse suscitato dalla lettura di un resoconto di una vicenda realmente accaduta nella Turenna francese durante la Rivoluzione sfociata nel Terrore, l’opera trae spunto dal manoscritto Léonore ou l’amour conjugal (Leonora ossia l’amore coniugale) e anche dai Mémoires di Jean-Nicolas Bouilly, che aveva svolto la funzione di pubblico accusatore nel tribunale rivoluzionario di Tours e che aveva preparato un libretto in francese per il musicista Pierre Gaveaux. Proprio questo libretto costituì la fonte d’ispirazione di quello tedesco realizzato da Joseph Sonnleithner per il Singspiel di Beethoven che, con il titolo Leonore oder die eheliche Liebe (Leonore ovvero l’amore coniugale), esordì il 20 novembre 1805 andando incontro a un clamoroso quanto inspiegabile  insuccesso soprattutto se si analizzano i valori intrinseci della partitura di Beethoven. Le cause del fiasco vanno, molto probabilmente, ricercate nel cast non all’altezza, nell’eccessiva lunghezza del Singispiel dovuta alla scelta di tempi troppo dilatati e all’assenza dell’aristocrazia viennese in una sala gremita di soldati francesi che non compresero la lingua. Convinto del fatto che a determinare l’insuccesso del suo lavoro fosse stata l’eccessiva lunghezza, Beethoven, dopo aver rimaneggiato la partitura e aver ridotto la struttura dell’opera da 3 atti a 2, la ripresentò con lo stesso titolo l’anno successivo, il 29 marzo 1806, sempre al Theater an der Wien ottenendo ancora una volta un esito negativo. Finalmente soltanto il 23 maggio 1814, sempre al Theater am Kärntnertor (Teatro di Porta Carinzia), l’opera con il titolo di Fidelio, si affermò.  Di quest’opera, di cui protagonista è Leonore, che nelle vesti maschili di Fidelio, riesce a liberare il marito Florestan ingiustamente imprigionato da Don Pizarro, il governatore di una prigione di Siviglia, oggi è stata incisa, in edizione limitata, per l’etichetta Harmonia Mundi, la prima splendida versione nella quale è possibile ascoltare alcuni brani purtroppo tagliati in quelle successive come l’aria di Rocco Hatt man nicht auch Gold e il duetto tra Marzelline e Leonore del secondo atto, Um in der Ehe froh zu leben con violino e violoncello concertanti. Delle quattro ouverture, in questa versione figura la seconda, che, vero e proprio incunabolo della terza, autentico capolavoro, introduce perfettamente la situazione drammatica dal momento che presenta alcuni temi come quello dell’aria di Florestano languente nel carcere del terzo atto, In des Lebens Frühlingstagen.
Costituita da una registrazione live risalente al 2017, la presente incisione si segnala per l’ottima qualità dell’esecuzione a partire dalla concertazione di Anne Katharina Schreiber e di René Jacobs, il quale alla guida della Freiburger Barockorchester, trova sonorità adeguate che non solo non soverchiano mai i cantanti, ma che appaiono perfettamente funzionali alla situazione drammatica dalla raggelante introduzione dell’aria di Florestano del terzo atto a quelle più leggere di cui sono protagonisti Marzelline e Jaquino. Ottima anche la scelta dei tempi, particolarmente stringati sin dall’Adagio dell’ouverture, che non solo sono coerenti con quelli staccati in corrispondenza dell’aria di Florestano, ma che fanno guadagnare a questa introduzione forza drammatica. Si tratta, in definitiva, di una concertazione particolarmente attenta ai dettagli, in quanto la Schreiber e Jacobs riescono a far ben risaltare i timbri dei singoli strumenti nell’insieme. Particolarmente versata per questo repertorio, Marlis Petersen è una Leonore pienamente convincente sia dal punto di vista vocale grazie ad una realizzazione perfetta delle agilità, che contraddistinguono il recitativo e aria dell’atto secondo, Ach nicht broch nicht, sia dal punto di vista interpretativo grazie a una partecipazione emotiva evidente nel modo in cui l’artista affronta la sua parte. Al suo fianco Maximilian Schmitt si distingue per l’eleganza della linea di canto, anche se ci si sarebbe attesa, in generale, una maggiore ricerca di colori. Comunque l’artista riesce ad essere nel complesso un Florestano apprezzabile.  Dotato di una voce omogenea e ben proiettata sugli acuti, Johannes Weisser è un Pizzarro elegante, ma poco “cattivo” dal punto di vista interpretativo, mentre pienamente convincente è il Rocco di Dimitry Ivaschenko, la cui voce dal timbro ben brunito si presta bene al suo personaggio. Vocalmente di spessore è Robin Johannsen che sfronda il ruolo di Marzelline da modelli soubrettistici per restituire ad esso quella leggera eleganza che Beethoven aveva pensato per questo personaggio. Adeguati ai rispettivi ruoli: Tareq Nazmi (Don Fernando) e Johannes Chum (Jaquino) e ottima la prova del coro (Zürcher Sing-Akademie), ben preparato e diretto da Florian Helgath.