Gustav Mahler (Kalištĕ, Boemia, 7 luglio 1860 – Vienna, 18 maggio 1911)
A 160 anni dalla nascita
Sinfonia n. 2 “Resurrezione” in do minore per soprano, contralto, coro misto e orchestra
Allegro maestoso, Mit durchaus ernstern und Feierlichem Ausdruck (Con espressione assolutamente seria e solenne)
Andante moderato. Sehr gemächlich (Molto comodo)
In ruhig fliessenger Bewegung (Con movimento tranquillo e scorrevole)
“Urlicht” (“Luce primigenia”) “Sehr feierlich, aber schlicht, Choralmässig (Molto solenne ma con semplicità, come un corale)
Im Tempo des Scherzo, Wild herausfahrend (Selvaggiamente), Allegro energico, Langsam (Lento), Misterioso (per soprano, contralto e coro dall’inno di Klopstock “Die Auferstehung”, la “Resurrezione”)
1) La genesi della sinfonia
Composta in un arco di tempo piuttosto lungo che va dal 1888 al 1894, la Seconda sinfonia fu certamente la favorita di Mahler che la diresse in molte occasioni e per la cui stesura stravolse il progetto iniziale costituito da un poema sinfonico a sé stante. Il nucleo principale della Seconda sinfonia è, infatti, Totenfeier (Rito funebre) che, completato nel 1888 come poema sinfonico autonomo, pur collegandosi, per quanto attiene al programma extramusicale, alla precedente sinfonia, sarebbe diventato il primo movimento di questo lavoro. Nonostante risalgano a quell’anno i primi abbozzi del secondo movimento, la Sinfonia cominciò a prendere forma soltanto cinque anni dopo, nel 1893, quando Mahler decise di comporre il secondo e il terzo movimento. Nel frattempo egli, fresco della nomina di direttore allo Stadttheater di Amburgo, approfondì la sua conoscenza con Hans von Bülow, all’epoca direttore della Società dei concerti della città anseatica, al quale fece ascoltare il suo Totenfeier al pianoforte senza suscitare l’entusiasmo dell’anziano direttore d’orchestra che commentò scioccato: se questa è musica, allora io di musica non capisco proprio niente. Bülow, infatti, non manifestò mai particolare entusiasmo per la musica di Mahler al quale mostrò di preferire Richard Strauss, ma apprezzò le sue qualità direttoriali, come si apprende da una lettera indirizzata alla figlia Daniela:
“Secondo me è uno dei maggiori direttori d’orchestra (al livello di Mottl, di Richter). Ho provato una sincera ammirazione per quest’uomo che senza un adeguato numero di prove ha costretto quei plebei della musica che sono i nostri orchestrali a danzare al suo fischio”.
La morte di Bülow, avvenuta nel 1894, colpì profondamente Mahler al quale nel 1892 l’ormai anziano direttore d’orchestra aveva lasciato la direzione della Società dei Concerti di Amburgo in seguito all’aggravarsi della sua malattia. Proprio in occasione di una cerimonia commemorativa tenuta ad Amburgo il 29 marzo 1894 in onore di Bülow, Mahler, che non era ancora riuscito a risolvere il problema del Finale della Seconda sinfonia, ascoltando il corale Risorgerai di Friedrich Gottlieb Klopstock, decise di utilizzare questo testo per l’ultimo movimento, come egli stesso ebbe modo di affermare in una lettera del 17 febbraio 1897 indirizzata al direttore d’orchestra ungherese Anton Siedl:
“Già da tempo riflettevo sull’idea di introdurre il coro nell’ultimo movimento e solo la preoccupazione che ciò potesse essere inteso come superficiale imitazione di Beethoven [Nona Sinfonia] mi faceva sempre esitare. Allora morì Bülow, e io assistetti alla cerimonia funebre in suo onore. Lo stato d’animo in cui mi trovavo stando là seduto e i pensieri che rivolgevo allo scomparso erano nello spirito del lavoro che portavo dentro di me. In quel momento il coro accompagnato dall’organo intonò il corale su testo di Klopstock Auferstehen!. Mi colpì come una folgore e tutto apparve limpido e chiaro alla mia anima! Chi crea attende questo lampo, è questo il ‘sacro concepimento’! L’esperienza che allora vissi dovetti crearla in suoni. Eppure, se non avessi già portato in me quell’opera, come avrei potuto vivere tale esperienza? […] Così è sempre per me: soltanto se vivo un’esperienza, compongo, soltanto se compongo, la vivo!…”.
Dopo questa rivelazione la stesura dell’ultimo movimento fu completata il 26 luglio dello stesso anno e la Sinfonia, che valse a Mahler l’appellativo datogli da Brahms di re dei rivoluzionari, dopo alcuni ritocchi fu pronta il 18 dicembre 1894, ma doveva passare ancora un intero anno prima che venisse eseguita con grande successo nella sua forma integrale il 13 dicembre 1895 a Berlino sotto la direzione dell’autore. Prima di allora lo stesso Mahler aveva diretto il 4 marzo del 1895, sempre a Berlino, i primi tre movimenti che furono, però, accolti piuttosto freddamente.
2) Morte, vita e resurrezione. La sinfonia: la sua struttura formale e il suo significato
“Quasi tutte le Sinfonie di Mahler incarnano conflitti spirituali che trovano talora soluzione nel Finale. Il conflitto in atto nella Seconda Sinfonia è quello di una grande certezza di fronte alla mortalità; la soluzione è la riaffermazione del credo cristiano nella resurrezione dei corpi e nell’immortalità”
Così il musicologo inglese Deryck Cooke, uno dei più importanti studiosi di Mahler, ha sintetizzato il significato di questa sinfonia complessa e rivoluzionaria sia per l’organico orchestrale, che prevede la presenza di 10 corni, 8 trombe e una grandissima varietà di percussioni, sia per le dimensioni monumentali mai raggiunte da un lavoro sinfonico. Come la Prima Sinfonia, anche la Seconda intende affermare un significato profondo non del tutto descrivibile tramite un programma extramusicale. Lo stesso Mahler mostrò inizialmente una certa riluttanza a scrivere un programma per questa sua creatura, come egli stesso ebbe modo di affermare in una lettera indirizzata al giovane critico musicale Max Marschalk che gli aveva chiesto con una certa insistenza qualche delucidazione:
“Dovrei considerare il mio lavoro come completamente fallito se dovessi trovare necessario dare a Lei, o ad altri, perfino un’indicazione sulla successione dei suoi stati d’animo. Nella mia concezione dell’opera non fui in alcun modo toccato o preoccupato della disposizione degli eventi, bensì di sentimenti. La base concettuale della mia opera è chiaramente espressa dalle parole del coro finale, e l’improvvisa sortita del contralto solo [nel quarto movimento] getta una vivida luce sui movimenti che lo precedono”
Mahler, volendo dunque evocare dei sentimenti e non semplici eventi, era perfettamente consapevole dell’inefficacia di qualunque programma extramusicale che, in definitiva, sarebbe stato un ostacolo più che un aiuto alla comprensione del lavoro. Egli stesso, dopo aver tracciato un programma della sinfonia, se ne pentì, scrivendo alla futura moglie Alma il 19 dicembre 1901, il giorno stesso dell’esecuzione a Dresda della Seconda sinfonia:
“Oggi c’è dunque l’esecuzione della Seconda, Almschi mia! Justi ti ha detto che quel programma è scritto solo per una persona piuttosto superficiale e sempliciotta (sai bene chi), e offre soltanto qualche elemento esteriore – la pura superficie della cosa – come, in fondo, tutti i programmi di un’opera d’arte musicale; e più che mai di quest’opera che è così unitaria, così chiusa in se stessa a formare un sol tutto, e che non si può spiegare, come non si spiega il mondo. Infatti sono persuaso che se si invitasse Dio a esporre il suo programma del «mondo» che ha creato, neanche Lui potrebbe farlo. Tutt’al più ci sarebbe una specie di rivelazione che sarebbe altrettanto lontana dall’essenza di Dio e della vita quanto il mio scritto dalla mia Sinfonia in do minore. Anzi cose del genere – come in tutte le religioni rivelate – portano addirittura all’incomprensione, all’appiattimento, alla degradazione e infine a una deformazione irriconoscibile dell’opera e, soprattutto, del suo creatore”.
Non è certo semplice pretendere di descrivere con le sole parole un’opera evocativa come la Seconda sinfonia di Mahler, ma, pur essendo superficiale tanto da non svelarne il significato profondo, il programma può essere una valida guida per ricostruirne almeno i momenti essenziali. Mahler scrisse due programmi che, se coincidono nella descrizione dei due movimenti conclusivi, mostrano alcune differenze per quanto riguarda i primi tre; dal loro raffronto è possibile notare una certa maturazione da parte di Mahler nella visione della stessa sinfonia a distanza di tempo. Il primo è contenuto in una lettera indirizzata il 26 marzo 1896 al critico musicale Max Marschalk mentre il secondo, redatto per l’esecuzione di Dresda del 1901, è stato allegato da Mahler alla lettera del 14 dicembre 1901 indirizzata alla futura moglie Alma. Nella prima si legge a proposito del primo movimento qui indicato ancora con il titolo, in seguito cancellato, Totenfeier:
“Ho intitolato il primo movimento Totenfeier [Rito funebre], e se vuole saperlo, è l’eroe della mia sinfonia in Re maggiore che ho condotto alla tomba. Da un alto punto di osservazione ho raccolto la sua vita come in un limpido specchio. Al tempo stesso c’è il grande problema: «Perché hai vissuto? Perché hai sofferto? Tutto ciò non è altro che un’immane, spaventosa beffa?». A queste domande dobbiamo rispondere in qualche modo, se vogliamo sopravvivere, anzi se vogliamo e dobbiamo continuare a morire. Chi nella sua vita ha raccolto anche una sola volta questo appello, è obbligato a dare una risposta; e la mia risposta è nel movimento finale della mia sinfonia”.
Nel programma posteriore Mahler non solo evitò di ricordare il titolo del movimento, ma decise, almeno apparentemente, con la scelta di trasformare l’eroe in una persona cara, di rescindere ogni legame con la precedente sinfonia quasi a volere accentuare il significato universale di questo suo lavoro:
“Siamo accanto alla bara di un persona amata. Ripercorriamo col pensiero ancora una volta, un’ultima volta, la sua vita, le sue lotte, quel che ha sofferto e quel che ha voluto. E ora, in questo momento grave e profondamente commovente, in cui ci liberiamo, come di una benda, di tutto quello che nella vita di ogni giorno ci distrae e ci degrada, una voce terribilmente seria che non percepiamo mai nell’agitazione assordante del giorno, ci colpisce fin nel profondo del cuore: e ora? Che cos’è la vita? Che cos’è la morte?
Esiste per noi una continuazione nell’aldilà?
E dobbiamo trovare una risposta a questa domanda se vogliamo continuare a vivere”.
Tutti questi sentimenti appaiono evocati nel primo movimento, innovativo dal punto di vista formale, in quanto, pur mantenendo una struttura riconducibile ancora alla forma-sonata, non presenta un vero e proprio tema principale nonostante tutti gli elementi tematici proposti al suo interno derivino dalla parte iniziale di 35 battute. La sezione centrale del movimento, solitamente dedicata allo sviluppo, è costituita da un corale e da una marcia funebre che, dopo la ripresa, ritorna nella coda conclusiva ponendo gli interrogativi angoscianti sulla morte.
Una struttura formale più tradizionale presentano il secondo e il terzo movimento, sui quali lo stesso Mahler così si espresse nella già citata lettera a Marschalk:
“Il secondo e il terzo movimento sono concepiti come intermezzi: il primo dei due è un ricordo: un dardo di luce solare che scaturisce dalla vita dell’eroe. Le è certamente accaduto d’accompagnare alla tomba una persona amata e, forse, sulla via del ritorno, ha improvvisamente ricordato un’ora di gioia a lungo sopita che penetra l’anima come un raggio di sole che nulla può oscurare. Potrebbe quasi dimenticare ciò che è appena accaduto. È questo il secondo movimento. Ma quando si risveglia da questo malinconico ricordo, si ritrova fatalmente nella confusione della vita e può facilmente accadere che l’incomprensibile trambusto esistenziale e il continuo moto senza riposo Le diventino insopportabili come l’ondeggiare di figure danzanti in una sala da ballo scintillante di luce, in cui getta uno sguardo dall’oscurità della notte e da una distanza così grande che non può permetterLe d’udire la musica. La vita Le appare, allora, come priva di significato come un fantasma spaventevole da cui, forse, fugge con un urlo di disgusto. E questo è il terzo movimento”
Piuttosto lapidario è invece il programma del 1901 nel quale Mahler sembra volere evitare di suggestionare il pubblico con una descrizione minuziosa e puntuale del secondo movimento, mentre evidenzia con più forza la disperazione che attanaglia il protagonista della sinfonia nel terzo movimento:
“2. Tempo, Andante. Descrive un momento felice della vita del defunto a noi caro e fa rivivere il mesto ricordo della sua gioventù e della sua innocenza perduta. 3. Tempo, Scherzo. Lo spirito dell’incredulità, della negazione si è impossessato di lui, egli affonda lo sguardo nel brulichio dei fenomeni e, insieme con la purezza dell’animo infantile, perde il saldo punto d’appoggio che solo l’amore può dare; dispera di sé e di Dio. Il mondo e la vita diventano per lui una ridda sconclusionata; il disgusto di tutto ciò che è e diviene lo stringe come in un pugno di ferro e lo incalza fino a strappargli un urlo di disperazione”.
La rievocazione nostalgica di un momento felice si esprime nel secondo movimento con le movenze di un Ländler in la bemolle maggiore di carattere raccolto interamente costruito su due temi, dei quali il primo, affidato agli archi, occupa le prime nove battute ed è immediatamente sviluppato in senso contrappuntistico. Il contrappunto è, inoltre, il protagonista di questo movimento con il secondo tema esposto in canone dai violini primi a cui rispondono i primi tre violoncelli. Una fitta rete contrappuntistica caratterizza anche il terzo movimento, formalmente uno Scherzo con un regolare Trio, il cui materiale tematico è tratto dal Lied Des Antonius von Padua Fischpredigt (Sant’Antonio di Padova predica ai pesci) della sua raccolta Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo). Come nel primo movimento tutti gli elementi musicali derivano da un unico tema principale, qui utilizzati in una scrittura assimilabile a una danza macabra che evoca il senso amaro della vita.
Il quarto movimento, (Luce primigenia), costituisce l’unico caso in cui Mahler mantenne il titolo in partitura; su di esso lo stesso compositore così si espresse lapidariamente nel programma del 1901, non molto diverso da quello consegnato alla lettera a Marschalk:
“La voce commovente della fede ingenua risuona al nostro orecchio. «Vengo da Dio e voglio tornare a Dio! Il Buon Dio mi darà un lumicino, mi illuminerà la strada che porta alla vita eterna e beata!»”
Anche questo è un Lied tratto da Des Knaben Wunderhorn e strutturato su un corale che occupa le prime 14 misure; in esso il contralto esprime con una semplicità infantile la speranza di trovare un piccolo posto in paradiso. Il testo del Lied, nel quale non mancano immagini di dolore, si conclude, infatti, con una speranza: L’amato Iddio mi donerà la luce / Che m’illuminerà d’eterna pace, sebbene la musica si faccia più complessa e si sviluppi in angosciosi movimenti cromatici. Sembra che così ritornino tutti i terribili interrogativi che caratterizzano anche l’inizio del quinto movimento sul quale lo stesso Mahler così si espresse nel già citato programma del 1901:
“Quinto movimento: ci troviamo di nuovo di fronte a tutti i paurosi interrogativi e nello stesso stato d’animo della fine del primo tempo. Si ode la voce di Colui che chiama: l’ora della fine è scoccata per tutti gli esseri viventi – il Giudizio Finale sovrasta, è sopravvenuto il terrore dell’Ultimo Giorno. La terra trema, le tombe si scoperchiano, i morti si alzano e procedono in un corteo infinito. I grandi e i piccoli della Terra – i re e i mendicanti, i giusti e i senza Dio – tutti vogliono avanzare – l’invocazione di misericordia e di grazia risuona spaventosa al nostro orecchio. La marcia del corteo si fa sempre più terrificante – tutti i nostri sensi vengono meno, vien meno la nostra coscienza all’avvicinarsi dello Spirito eterno. Risuona il «Grande Appello» – echeggiano le trombe dell’Apocalisse; nel silenzio raccapricciante ci sembra di sentire un usignolo lontano lontano, come un’ultima eco tremolante della vita terrena! Si innalza, tenue, un coro di santi e di creature celesti:
«Risorgerai, sì, risorgerai.» E ora appare Iddio nella Sua gloria! Una luce meravigliosa, soave, penetra fino al nostro cuore – è pace e beatitudine! E vedi: non c’è giudizio, non c’è peccatore, né giusto, né grande, né piccolo – non c’è punizione né premio! Una sensazione irresistibile d’amore pervade e illumina tutto il nostro essere di una consapevole beatitudine”.
È questo il messaggio del quinto movimento, monumentale ma suggestivo, e dall’inizio inquieto e tumultuoso con i violoncelli e i contrabbassi che si producono in una scala ascendente di forte impatto emotivo. L’atmosfera inquietante prosegue nella rappresentazione del Giudizio Universale con le fanfare e il tema del Dies irae, già apparso nel primo movimento. La musica si libra verso altezze spirituali affascinanti e apparentemente irraggiungibili grazie agli ottoni interni che sembrano risuonare dall’eternità e al coro a cappella che intona l’inno di Kolpostock Die Auferstehung. Il movimento si conclude in un clima osannante a cui partecipano l’organo e le campane che fanno calare il sipario su un itinerario lungo e complesso sintetizzato in modo efficace dal musicologo Sergio Sablich nel programma di sala della Seconda sinfonia di Mahler scritto per la stagione 2003-2004 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dove si legge:
“Dai funerali di un eroe al Giudizio Universale e alla Resurrezione passando attraverso il mondo ingenuo, incantato e fiabesco del Wunderhorn”.
Spirito e materia, contingente e trascendente, vita e morte, terra e cielo trovano in questa sinfonia un’icastica quanto efficace sintesi grazie alle immortali e suggestive note di Mahler.