Rafael Kubelik (29 giugno 1914, Býchory, Repubblica Ceca – 11 agosto 1996, Kastanienbaum, Svizzera)
(…)Rafael Kubelik ha 54 anni e manca da 20 dalla nativa Boemia.La madre Marianne von Frey, era ungherese. In lui si fondono quindi la robusta sensibilità ceca e la dolcezza magiara. Non sapeva ancora leggere quando suo padre, il celebre Jan, gli mise in mano il violino. Ne volevo fare il suo successore, lui Jan Kubelik, “il nuovo Paganini” – come Lo chiamavano i critici – che magnetizzava le platee di tutto il mondo. Rafael cominciò ad imitare il padre. Ma la vocazione era diversa. Il violino non gli bastava. Nella sua casa si faceva musica tutto il giorno. Dal padre alle cinque sorelle: una vera orchestra da camera con pianoforti, violini, viola e violoncelli. Frequenta i corsi di violino, pianoforte e composizione all’Accademia di Musica di Praga. A sette anni stava già ore ed ore al pianoforte, ad improvvisare, a variare estrosamente gli inni che sentiva in chiesa. Poi si innamorò della viola e la studiò, invaghito dei nuovi suoni, gravi, dolci, pastosi. A otto anni riceve la prima grande scossa da un capolavoro italiano: Il Falstaff di Verdi. In lui c’era insomma un’anima più eletta di quella comune del virtuoso. Confessa di sentirsi vero musicista solo quando compone. Fervente cattolico, medita spesso e volentieri i testi sacri. Dice “La musica è un ponte verso Dio che si realizza più nella creazione che nell’esecuzione. L’arte è un mezzo per raggiungere la vera saggezza umana, in cui possono risolversi le contraddizioni dell’esistenza e placarsi i più urgenti interrogativi “.
Ha musicato tre volte il Requiem. Il primo per la morte del padre., il secondo, Libera nos, dedicato alle vittime dei sistemi totalitari; il terzo, nel 1961, per la morte della prima moglie, La violinista Ludmilla Bertlova. Ha anche scritto un’opera biblica, Veronica, nonché numerosi pezzi corali da chiesa. Ardente e la sua passione per la musica sacra. (…)
Kubelik inorridisce davanti agli esperimenti delle correnti moderne. confida che, nello Stadio attuale della sua evoluzione, “la musica si trova in un incertezza deplorevole, col pericolo o imminente di sprofondare ad un gradino ancora più basso del primitivismo”. (…)
Ciò non toglie che Kubelik si tolga tanto di cappello davanti alle composizioni di Schönberg. È stato lui a dirigere per la prima volta, nel 1961 alle “Festvochen” l’oratorio incompiuto di Schönberg, La Scala di Giacobbe. Il suo ideale è Mahler. Nel 1960 gli è stata assegnata la medaglia intitolata al grande musicista, “il momento di Mahler”, afferma, è giunto. Si sente un po’ lui il responsabile del ridimensionamento mahleriano: “Ci sono volute due guerre mondiali”, osserva, “rivoluzioni ed evoluzioni sociali perché la musica di Mahler potesse essere compresa in tutta la sua profondità di pensiero anche da un pubblico più vasto”: cioè il periodo tra Schubert e Mahler e poi Bartok, Martinu, Janacek. Questi secondo Kubelik, sono gli autori di cui far tesoro per i programmi concertistici e per ispirarsi nella composizione.
Il maestro boemo dirige per professione, ma tornato a casa, nella tranquillità della sua villa di Lucerna, scrive musica, gioca a scacchi e legge di preferenza opere di cultura romantica. Kubelik forte della propria libertà, s’è fissata una sola regola e gli impresari nulla possono contro sua volontà. Ha deciso di non superare le sessanta serate direttoriali all’anno. Conciliare le proprie esigenze con quelle dei teatri e in verità un grosso problema. Ma la spunta sempre lui.
Ha l’aspetto di un mistico orientale, di un filosofo che si disinteressa del successo plateale e del numero dei concerti. Filosofia, arte, religione nella cornice della sua umiltà acquistano un tono simpatico, inconfondibile. Per lui conta solo la qualità delle esecuzioni: “Certe volte” dice, “l’esecuzione non mi soddisfa alle allora vorrei tagliarmi queste mani che mi paiono volgari, banali: vorrei tagliarmi tutto il braccio, e scendo dal podio estremamente infelice”.
Il suo sogno è di riuscire a rinunciare un giorno all’attività direttoriale e di dedicarsi completamente alla composizione. Tempo fa ha esordito al pianoforte in pagine di Bach, Mozart e Stravinskij insieme a Wolfgang Sawallisch, in un concerto di beneficenza a Francoforte due. Il suo carattere si manifesta anche quando non tollera che si possa inveire contro gli orchestrali. Sul podio si guarda bene dal lanciare quei volgare epiteti di cui erano purtroppo campioni altri celebri direttori. Vuole bene all’orchestra, stabilisce un rapporto cordiale con tutti, del primo violino alla grancassa. È stato più volte ripetuto da chi ha seguito il maestro soprattutto durante questi ultimi anni presso la radio di Monaco, che Kubelik è estremamente autocritico, modesto in massimo grado.
Evita ogni autoritarismo e assicura che una buona direzione d’orchestra consiste nell’abilità di cogliere gli impulsi individuali degli esecutori. Una qualità questa che lo distinse fin dal giorno del debutto nel 1933 a Praga con una propria Fantasia per violino e orchestra (lui sul podio e del padre solista). Poco dopo era la direzione dell’orchestra Filarmonica Ceca a Praga e da lì una lunga serie di grandi orchestre che lo hanno visto protagonista. Mi congedo da Kubelik e vedo i professori dell’orchestra di Monaco riporre in fretta nelle custodie gli strumenti. Sono soddisfatti. Dicono che è bello lavorare con un Maestro, nel quale il lato irrazionale della musica torna a reclamare i propri diritti. (Estratti di Rafael Kubelik -“La musica è un ponte verso Dio di Luigi Fait, 1970).