Avery Amereau: “Handel Arias”

George Frideric Handel (1685-1759): «Benché tuoni e l’etra avvampi» (Aci, Galatea e Polifemo); «Otton, qual portentoso fulmine è questi»; «Voi che udite il mio lamento» (Agrippina); «Cara sposa, amante cara»; «Venti, turbini»; «Or la tromba in son festante» da (Rinaldo); «Senti, bell’idol mio»; «Con tromba guerriera» (Silla); «È sì dolce il mio contento»; «O rendetemi il mio bene»; «Sussurrate, onde vezzose» (Amadigi di Gaula); «Già che morir non posso» da Radamisto; «Priva son d’ogni conforto»; «Dall’ondoso periglio… Aure deh per pietà» (Giulio Cesare); «Verdi prati» (Alcina).  Avery Amereau (contralto) Nicholas McGegan (direttore); Philharmonia Baroque Orchestra. Registrazione: Scoring Stage, Skywalker Sound, Nicasio, CA, nei giorni 20-23 marzo e 9-10 dicembre 2019. 1 CD Philharmonia Baroque Productions 2020.
Un’antologia di arie haendeliane è sempre plausibile, purché sappia alternare più gradazioni di affetti, ossia personaggi che vivono stati d’animo differenti, corrispondenti alle passioni dell’etica antica, a loro volta modello di riferimento per drammaturghi e compositori dell’età barocca. In termini più prettamente musicali, ci si deve attendere una successione di arie “di disperazione”, “di furore” (guerriero o no), “di tempesta”, “di effusione amorosa”, secondo categorie poetiche ed espressive che il compositore deve saper variare a seconda della situazione drammatica; e in quest’arte, come è noto, Haendel non ebbe rivali. Il contralto americano Avery Amereau, nativo di Jupiter (Florida), propone un album davvero molto bello, raccomandabile agli amanti del melodramma e dell’opera haendeliana: quindici arie (provenienti da otto diversi titoli), disposte in rigoroso ordine cronologico di composizione, dalla serenata Aci, Galatea e Polifemo del 1708 fino all’Alcina del 1735, con una campionatura di quasi trent’anni dell’esperienza compositiva dell’operista. Alcuni titoli, come Rinaldo, Amadigi di Gaula o Giulio Cesare, ripropongono pagine assai note; ma sono presenti anche altre più rare, come quelle del Silla (probabilmente risalente al 1713).

Le tre arie protagonistiche del Rinaldo costituiscono una piccola crestomazia interna all’antologia, giacché offrono una scena di disperazione amorosa, una di ira e una terza di ardore bellico provenienti dalla stessa opera: tre categorie affettive tipiche dell’eroe tragico del teatro barocco. Il contralto le affronta con un atteggiamento di perfetto equilibrio: se l’ascoltatore si aspetta veemenza e concitazione può restare deluso; se però segue la corrispondenza tra parola e forma musicale si rende conto che la Amereau tenta di esprimere la “temperatura affettiva” di ogni stato con mezzi puramente musicali, senza ricorrere ad atteggiamenti stilisticamente inadeguati (per esempio, di temperamento romantico); a questo proposito, la scansione delle consonanti nell’aria di Agrippina, «Voi che udite il mio lamento», i delicati ritenendo e i piccoli portamenti nell’aria di Amadigi, «È sì dolce il mio contento», o gli accenti di furore in quella di Radamisto, «Già che morir non posso», costituiscono tre degli espedienti espressivi più godibili dell’intera raccolta. In tali impostazioni la cantante è perfettamente assecondata dalla Philharmonia Baroque Orchestra diretta da Nicholas McGegan, briosa nei momenti epici, languida in quelli elegiaci, senza affettazioni o leziosaggini o esagerazioni “barocche” (nell’accezione deteriore del termine, s’intende), sempre sostenuta da un impeccabile senso ritmico. Qualche volta le sonorità strumentali sono anche troppo in primo piano rispetto alla voce, come la tromba obbligata “in son festante” del Rinaldo; un più convincente equilibrio si apprezza invece nell’analoga aria “con tromba guerriera” da Silla.

La solidità della cavata è l’elemento vocale della Amereau che per primo s’impone all’attenzione dell’ascoltatore, seguita dal timbro scuro e omogeneo, capace di muoversi con naturalezza nelle varie zone della tessitura (pur con qualche difformità nelle note più basse, non sempre bene coperte). Anche la linea di canto è orientata dalla ricerca della coerenza; forse non abbondano i colori, ma almeno si evitano le emissioni fisse, sostituite da quel tipo di fraseggio e ricerca espressiva di cui si è già detto. È pur vero che la registrazione di una singola aria barocca non è testimone sufficiente delle qualità vocali di un artista; ecco, però, verso la fine del disco il brano più lungo ed eloquente con la scena di isolamento del protagonista di Giulio Cesare, «Dall’ondoso periglio… Aure deh per pietà». Qui la Avereau deve impegnarsi anche in un complesso recitativo, oltre ad alternare molteplici affetti; e riesce del tutto credibile persino come personaggio teatrale – non solo, cioè, come “tipo vocale” -, disimpegnandosi bene in tutte le richieste della celebre pagina. A volte si vorrebbe che le note della coloratura fossero più sgranate e ferme, come nell’aria di tempesta di Aci Galatea e Polifemo («Benché tuoni e l’etra avvampi»), oltremodo ardua per le note basse che impone nella ripresa, ma in generale il contralto fornisce un’interpretazione sempre corretta e di alto profilo tecnico. Le utili note di Bruce Lamott all’interno del booklet presentano per ogni aria un riassunto della vicenda drammatica e al tempo stesso informano della struttura musicale di ogni brano e dei suoi tratti specifici; non manca (per fortuna) la trascrizione dei testi poetici delle arie nella versione originale e in traduzione inglese.