Kantate auf den Tod Kaiser Joseph II (Cantata per la morte di Giuseppe II), per soli, coro e orchestra
Coro e soli, Largo Tod, stöhnt es durch die öde nacht (Morte è il gemito della morte deserta)
Recitativo e aria (Basso), Presto, Allegro maestoso Ein Ungeheuer, sein Name Fanatismus (Un mostro, Fanatismo è il suo nome)
Aria (Soprano) con coro, Andante con moto Da stigen die Menschen an’s Licht (Allora salirono gli uomini alla luce)
Recitativo e aria (Soprano), Largo, Adagio con affetto Er schläft von den Sorgen seiner Welten entladen (Egli dorme sciolto dal peso dei dolori del suo mondo)
Coro e soli, Largo Tod, stöhnt es durch die öde nacht (Morte è il gemito della morte deserta)
La morte dell’imperatore Giuseppe II, il 20 febbraio 1790, aveva profondamente colpito l’Austria e in genere i paesi di lingua tedesca. Anche il diciannovenne Beethoven, secondo quanto testimoniato da Anton Schindler, suo primo biografo, non rimase immune dal dolore procurato da questa notizia; il compositore era rimasto, infatti, impressionato dalla lungimirante politica sociale dell’imperatore asburgico che, non avendo ottenuto i risultati sperati e forse consapevole del fallimento della sua politica, fece scrivere sul suo epitaffio: Qui giace Giuseppe II, colui che fallì qualsiasi cosa che intraprese.
La commozione per la morte dell’imperatore fu particolarmente sentita a Bonn, città natale di Beethoven, anche perché governata dal fratello di Giuseppe II in qualità di Elettore di Colonia e di Bonn appunto. Nella città tedesca, nella quale il compositore, nonostante la giovane età, aveva conseguito una certa notorietà, fu deciso di commemorare l’imperatore il 19 marzo delle stesso anno. Per tale occasione la locale associazione Lesegesellschaft commissionò proprio a Beethoven la composizione di una cantata funebre in onore dell’imperatore appena scomparso; il giovane compositore, entusiasta per tale commissione che riteneva un importante attestato di stima nonostante la giovanissima età e sinceramente commosso per la morte dell’imperatore, si mise subito al lavoro, mettendo in musica in appena tre settimane il testo ridondante e retorico, un vero e proprio manifesto dell’Illuminismo, di Severin Anton Averdonk, poeta di fama provinciale.
La partitura, tuttavia, non fu eseguita nella celebrazione commemorativa per la quale era stata scritta, forse perché ritenuta troppo difficile o più verosimilmente perché i musicisti non ebbero il tempo di studiarne le parti. Dopo una prova generale, la cantata fu, infatti, accantonata e sarebbe stata eseguita postuma nel mese di novembre 1884 a Vienna e a Bonn il 29 giugno 1885 dopo una fortunata scoperta annunciata da Eduard Hanslick sulla «Neue Freie Presse». La partitura, probabilmente acquistata da Hummel intorno al 1813, per uno strano gioco del destino finì nella libreria List und Francke di Lipsia, dove nel 1884 fu acquistata dal viennese Armin Friedmann.
Il valore dell’opera fu, però, subito chiaro sia a Beethoven, che una decina di anni dopo, attinse a piene mani da questa partitura per il suo Fidelio, sia ad Haydn che ebbe modo di visionarla alla fine del Settecento quando, in viaggio per Londra, fece tappa a Bonn.
Il tono cupo della cantata appare immediatamente sin dalle prime quattro battute, costituite da quattro accordi tenuti, l’ultimo dei quali è un’inquietante settima diminuita. Di questo passo così drammatico, che apre il primo numero Tod, stöhnt es durch die öde nacht (Morte è il gemito della morte deserta), affidato al coro e ai solisti, il compositore si ricorderà nell’introduzione del secondo atto del Fidelio per descrivere la prigione in cui è rinchiuso Florestano. Tutta l’impostazione musicale di questa parte iniziale è raggelante con i flauti a cui è affidato un desolante motivo in terzine che rappresentata perfettamente il mistero della morte e introduce il coro che annuncia la scomparsa dell’imperatore «progressista». Più enfatica appare la successiva aria, preceduta dal recitativo, Ein Ungeheuer, sein Name Fanatismus (Un mostro, Fanatismo è il suo nome) affidata al basso il quale canta l’impresa di Giuseppe II di aver sconfitto il Fanatismo, definito retoricamente, un mostro furente al quale l’imperatore calpestò la testa. Molto interessante è l’accompagnamento orchestrale che sembra descrivere in modo onomatopeico con dei ritmi puntati la battaglia. Autentica gemma musicale è, invece, la successiva aria per soprano Da stigen die Menschen an’s Licht (Allora salirono gli uomini alla luce), la cui melodia di largo respiro è già nella scrittura pienamente romantica. Pienamente consapevole del valore musicale di quest’aria, Beethoven deciderà di riprenderla in uno dei passi cruciali del Fidelio, quando Leonora toglie le catene a Florestano. Estremamente matura per l’impianto formale è la successiva aria, sempre affidata al soprano e preceduta da un recitativo Er schläft von den Sorgen seiner Welten entladen (Egli dorme sciolto dal peso dei dolori del suo mondo). Essa si presenta, infatti, come un piccolo movimento di sinfonia con due temi, dei quali il secondo è annunciato nel preludio dai clarinetti. Anche in questo caso la melodia è di ampio respiro ed è accompagnata dall’orchestra che si caratterizza per una scrittura raffinata. La cantata si conclude con la ripresa del numero iniziale allungato di qualche misura.
Kantate auf die Erhebung Leopold des Zweiten (Cantata per l’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II) per soprano, tenore, basso, coro e orchestra
Recitativo (soprano) e coro: Er schlummert (Egli dorme)
Aria (soprano): Fliesse, Wonnzähre, fliesse (Scorrete lacrime di gioia)
Recitativo (Basso): Ihr staunt, Völker der Erde! (Vi stupite, popoli della terra)
Recitativo (Tenore): Wie bebt mein Herz vor Wonne! (Come il mio cuore trema di gioia)
Terzetto (soprano, tenore e basso): über! Ihr die Joseph (sta! Non piangere più)
Coro: Heril! Heril! (Viva! Viva!)
Alla morte di Giuseppe II fu eletto imperatore Leopoldo di Asburgo Lorena con il nome di Leopoldo II. Per celebrare l’incoronazione dell’imperatore avvenuta il 9 ottobre 1790 a Francoforte, il principe Maximilian Franz commissionò a Beethoven un lavoro che probabilmente fu eseguito a Bonn nello stesso periodo. Di questa cantata, come della precedente Cantata per la morte di Giuseppe II, non si ebbero più notizie fino al 1813 quando ebbe luogo una vendita all’asta dei libri appartenuti al barone Beine de Malchamp, ma solo nel 1884, dopo un’altra vendita pubblica, i due lavori furono presi in considerazione e lo stesso Brahms li elogiò segnalandone i pregi. Composta su teso di Severin Anton Averdonk tra il mese di settembre e ottobre 1790, la cantata, nonostante il testo poetico non eccezionale, presenta già caratteri della matura produzione di Beethoven.
Questa cantata può essere considerata una continuazione della precedente, in quanto all’inizio il coro interviene per proseguire il canto funebre per la recente scomparsa dell’imperatore Giuseppe II la cui morte è annunciata anche dall’arioso del soprano. Un crescendo sul nome di Leopoldo, rinforzato da trombe e timpani, conduce a un cambio di atmosfera; dal dolore per la morte di Giuseppe II si passa alla celebrazione del nuovo imperatore. Il soprano intona un’aria che, strutturata sul modello dell’opera seria italiana con il da capo, pur nella sua prolissità, mette in evidenza alcuni interessanti elementi stilistici soprattutto nelle parti orchestrali. Dopo due recitativi secchi, è introdotto un Terzetto über! Ihr di Joseph (sta! Non piangere più), molto più sintetico della precedente aria, nel quale il dolore per la morte di Giuseppe II è sostituito con la lode del nuovo imperatore fatta con i toni e gli intenti universalistici che contraddistinguono il Beethoven maturo. Anticipazioni della produzione matura e addirittura dell’Inno alla gioia sono state viste nel coro conclusivo, dove ritorna il concetto di universalità. Tutti i popoli qui sono invitati a prostrarsi di fronte al nuovo imperatore, in una scrittura caratterizzata da contrapposizioni strumentali e vocali. Protagonista di questo brano, strutturato in due sezioni, è il contrappunto che nella prima parte dà vita a un fugato a quattro voci su una variante del tema sul nome di Bach, mentre nella seconda si esprime in una scrittura imitativa di carattere drammatico.