Col termine aplomb si indica sia la capacità del corpo di mantenere l’allineamento verticale di una posa su tutta la pianta del piede, sulla mezza punta, sulla punta, su una o due gambe, sia lo spirito pregno di eleganza, leggerezza e armonia con cui, già a partire dal Settecento, si identificava il danzatore.
Attraverso l’aplomb o ‘equilibrio’, si conferisce al corpo quel senso di stabilità, compostezza e armonia che rendono un corpo danzante fluido e centrato. Didatticamente il fulcro della costruzione dell’aplomb può essere intercettato in una corretta educazione posturale del danzatore, soprattutto per quanto riguarda la colonna vertebrale, la delicata gestione delle curve fisiologiche e il respiro. Una corretta postura deve essere integrata e bilanciata; i vari piani del corpo (testa, tronco, bacino e piede) devono essere perfettamente sovrapposti e comportarsi come elementi plastici, fluidi e comunicanti.
Il respiro, a sua volta, quando è ben ristrutturato nel rapporto tra espirazione e inspirazione, diventa un veicolo di ricognizione interna che favorisce una piena consapevolezza del proprio corpo e del proprio sé. Attraverso un uso educato del respiro, infatti, si può compiere un volo all’interno del proprio corpo aprendo e aumentando le distanze tra le articolazioni.Un corpo ben allineato può essere guardato come un palazzo con finestre spalancate: le stanze del corpo diventano un sistema di spazi comunicanti, stanze ora piene ora vuote, dove il respiro diventa strumento di interconnessione spaziale e sensoriale. Quando l’intera architettura del corpo si nutre di vivacità, forza, flessibilità e integra i suoi diversi segmenti in maniera che la cosiddetta muscolatura profonda si impegni, in relazione alla forza di gravità, nella funzione di sostegno dell’equilibrio, allora si potrà dire che l’aplomb rivela una condizione del danzatore sia fisica che spirituale.
Durante la quotidiana lezione di tecnica della danza classica si allena e si costruisce questa capacità. Generalmente gli esercizi alla sbarra si concludono con un’appendice, la cosiddetta ‘coda’, all’interno della quale il danzatore è chiamato a cercare l’aplomb in una determinata posa richiesta. Si tratta di una vera e propria ricerca di un meccanismo al tempo stesso misterioso, silenzioso e raccolto. Il danzatore infatti deve rispondere alle diverse energie inscritte nella posa attraverso un meccanismo non tanto di reazione al movimento ma di creazione di movimenti.
L’aplomb può essere pensato come un evento che ha che fare con la creazione attiva di una condizione. Non è una condizione di immobilità del corpo, ma l’evento di tutti i moti interni di esso. Un buon aplomb non congela una posa, ma la nutre, la apre, la rende sensibile e disponibile al disequilibrio. Solo nel momento in cui si è in profonda connessione con tutti i fuochi che attraversano il corpo nella gestione di un equilibrio, allora si può creare un aplomb attivo, dinamico, perché sintesi di incroci di energie, perché emblema della centratura della mente e dello spirito.Anche in palcoscenico l’aplomb ha lo scopo di raccontare lo stato di quiete interna, la possibilità di sospendere il tempo e di rendere presente l’eterno. Possiamo pensare, ad esempio, all’utilizzo che se ne fa nel celebre Adagio della rosa del primo atto del capolavoro firmato Čajkovskij/Petipa La bella addormentata, in cui la principessa Aurora realizza, in successione, una serie di aplomb nella posa ora di attitude derrière ora di écartée derrière, come a sancire lo splendore, la regalità e l’incanto della sua condizione di fanciulla che si affaccia alla vita.
Qual è la differenza di un corpo che offre allo spettatore un aplomb vivo e “parlante” da uno vuoto e “muto”? È la consistenza. Il corpo del danzatore classico non è un marmo, non è una scultura. Il corpo del danzatore è come una spugna piena d’acqua, ovunque sia premuto o sfiorato lascia sgorgare un ricordo, un’emozione, una passione, una fiamma o una cenere.