Erich Wolfgang Korngold (1897 – 1957): “Das Wunder der Heliane” (1927)

Opera in tre atti di Hans Müller-Eingen. Sara Jakuniak (Heliane), Brian Jadge (Der Fremde), Josef Wagner (Der Herrscher), Okka von der Damerau (Die Botin), Derek Welton (Der Pförtner), Burkhard Ulrich (Der blinde Schwertrichter). Chorus of the Deutsche Oper Berlin, Jeremy Bines (maestro del coro), Orchestra of the Deutsche Oper Berlin, Marc Albrecht (direttore). Christoph Loy (regia), Johannes Leiacker (Scene), Barbara Drosihn (costumi). Registrazione: Deutsche Oper Berlin 30 marzo e 1 aprile 2018. 2 DVD / BluRay Naxos

Das Wunder der Heliane” (“Il miracolo di Heliane”) e l’ultima, la più ambiziosa e la meno fortunata tra le opere di Korngold di poco precedente il trasferimento negli Stati Uniti e la nuova carriera come compositore di musiche da film dove il geniale viennese si sarebbe ritagliato un ruolo di primo piano definendo uno stile hollywoodiano della musica cinematografica di cui ancora oggi si scorgono le tracce.
L’opera doveva segnare la definitiva consacrazione di Korngold sulla scena europea ma una serie di circostanze extramusicali ne decretarono una riuscita solo parziale. In quei giorni a Vienna si attendeva la prima cittadina di “Jonny spielt auf” di Ernst Krenek l’originalissima jazz-opera che aveva trionfato a Lipsia e che attirava tutta la curiosità. Preoccupato della concorrenza al nuovo lavoro del figlio, Julius Korngold onnipotente critico della “Neue Freie Presse” e somma vestale della tradizione classica viennese scatenò tutte le forze a disposizione cercando perfino – si consideri che i Korngold erano ebrei – l’appoggio dei nazionalsocialisti austriaci contro il lavoro degenerato di Krenek. Il risultato fu una prevedibile reazione contraria del pubblico – favorita da una direzione sotto tono di Schalk che deluse moltissimo lo stesso autore –che comporto a Vienna un successo poco più che di stima e un tonfo a Berlino dove non si aspettavo occasione migliore per far dispetto ai cugini viennesi sempre un po’ parrucconi.
Questa genesi travagliata unita alla  difficoltàdi buona parte delle scritture vocali ha sempre limitato la diffusione di questo  autentico capolavoro. “Das Wunder der Heliane” è  la summa della cultura teatrale decadente e simbolista dei primi decenni del secolo. In un regno senza nome, un despota ha vietato la felicità perché “gli uomini non sono maturi per essa”, giunge uno straniero portatore di un messaggio di gioia e amore che sconvolge le regole imposte  (che ricorda sia drammaturgicamente, che nella stessa scrittura musicale, il Dioniso/pastore del “Król Roger” che Karol Szymanowski aveva portato in scena l’anno prima a Varsavia) e per questo viene condannato a morte. Heliane, la moglie del re, è affascinata dallo straniero e  lo raggiunge nella cella. Qui la donna si abbandona in una scena ad altissimo tasso erotico (più che palese è il ricordo della “Salome” straussiana). Fra estasi mistiche e pulsioni sessuali, i due sono sorpresi dal marito di lei e condotti di fronte al giudice; qui anticipando il verdetto di morte lo Straniero si uccide risvegliando il popolo dal suo torpore e scatenando una rivolta. Heliane grazie alla forza dell’Amore resuscita lo straniero. Il  marito, furente,  la pugnala ma lei  stessa sconfigge  la morte abbandonandosi in un duetto con   l’amato, circondata da  a una delle orchestrazioni più lussureggianti della storia del melodramma tardo ottocentesco. Un testo intriso di simbolismi che si pone al centro di tutto un mondo espressivo che da “Pelleas et Melisande” arriva alle opere mature di Strauss passando per Schrecker e Bartok.
La musica è di una bellezza trascinante. L’orchestrazione ricchissima – quanto di più mahleriano si sia ascoltato in un teatro d’opera – si fonde con l’innato senso della melodia di Korngold, dando a vita a pagine di grandissima  forza seduttiva, mentre la scrittura, sia vocale che orchestrale,  mette a dura gli interpreti, in particolare i cantanti.
L’edizione Decca del 1992 diretta da John Mauceri aveva fatto intravedere le possibilità di quest’opera ma soffriva dei limiti di un cast sicuramente prestigioso ma con troppi cantanti colti non al meglio delle proprie possibilità. La presente edizione registrata alla Deutsche Oper di Berlino non sfoggia nomi altrettanto prestigiosi ma gli risulta superiore in tutte le sue componenti. In primo luogo Marc Albrecht dirige in modo magnifico, il direttore tedesco – già assistente di Abbado – fornisce una lettura abbagliante di colori, ricchissima sul piano dinamico, sfavillante di riflessi ora cupamente espressionisti ora luminosamente sensuali fino ai toni autenticamente raggelanti con cui accompagna il canto del Giudice cieco. Albrecht scava ogni anfratto della partitura e per ognuno trova la giusta tinta espressiva e sonora. L’altissimo livello  di orchestra e coro contribuiscono a rendere appieno il sontuoso sinfonismo della scrittura di Korngold.
Sara Jakubiak è una Heliane di notevole spessore. Soprano lirico pieno, più che drammatico – il che non guasta vista la natura del ruolo – dal timbro particolare ma dall’impeccabile musicalità. Canta in modo squisito reggendo con sicurezza una parte scomoda e lasciando avvolgersi con eleganza dal fascinoso lirismo di “Ich ging zu ihm”. Ottima attrice, con una presenza scenica perfetta per il ruolo, si mostra disinvolta anche nel  momento più “hot”, il nudo integrale del primo atto,  previsto nel libretto e qui proposto senza filtri di sorta.
Di grande impegno vocale anche il ruolo dello “Straniero”. Brian Jadge possiede tutte le doti richieste. La voce è solida, squillante, capace di emergere in tutta la gamma su un tessuto orchestrale densissimo ma al contempo agile, luminosa, mai stentorea capace di sedurre con l’eleganza di un canto a fior di labbro di notevole eleganza. Il duetto conclusivo con Heliane è uno di quei grandi squarci melodici quasi pucciniani in cui Korngold era maestro assoluto e qui è eseguito in modo impeccabile. Josef Wagner non ha la natura autenticamente basso-baritonale richiesta dal ruolo del Signore ed è costretto a patteggiare con la tessitura è però interprete di grande sensibilità capace di districarsi nel gomitolo di frustrazioni e contraddizioni del ruolo rendendole in modo convincente. Okka von der Damerau è una “Messaggera” aspra, autoritaria, sprezzante, di fortissimo impatto. Burkhard Ulrich con la sua voce di secondo tenore trasmette tutta l’inquietante natura del “Giudice Cieco” . Tutte molto valide le parti di fianco.
La sfolgorante musica di Korngold avrebbe meritato un allestimento meno tetro di quello di Christof Loy calato nelle solite anonime scene di Johannes Leiacker – il solito spazio burocratico da sede ministeriale della DDR, le solite boiserie, le solite luci al neon – e gli altrettanto scontati costumi di Barbara Drosihn che non concede neppure un tocco di colore esotico allo Straniero. Fortunatamente sul piano narrativo la vicenda è svolta con rigore e senza inutili elucubrazioni – il libretto è già fin troppo denso di suo. Lo spettacolo è ben recitato e anche grazie al buon gioco di luci scorre senza disturbar troppo e permette di concentrarsi sulla qualità musicale.
Opera in tre atti di Hans Müller-Eingen. Annemarie Kremer (Heliane), Ian Storey (Der Fremde), Aris Argiris (Der Herrscher), Katerina Helbeková (Die Botin), Frank von Hove (Der Pförtner), Nulthapom Thammathi (Der blinde Schwertrichter). Opernchor and Extrachor Theater Freiburg, Members oh the Freiburger Bachchoir, Bernhard Moncado (maestro del coro), Philharmonische Orchester Freiburg, Fabrice Bollon (direttore).
Registrazione: Rolf-Böhme Saal, Konzethaus Freiburg 20-26 luglio 2017. 3 CD Naxos

Una comprova del rinato interesse per Korngold è l’uscita quasi contemporanea a quella in Dvd di questa registrazione audio di una esecuzione in forma di concerto nel luglio 2017 a Freiburg.
Un’esecuzione complessivamente  apprezzabile, pur non raggiungendo gli standard qualitativi dell’ edizione berlinese. I complessi della Philharmonische Orchester Freiburg  confermano  quell’alta qualità media che caratterizza le orchestre tedesche. Fabrice Bollon  ci offre una lettura molto accesa, quasi wagneriana nel preferire atmosfere drammatiche e forti contrasti coloristici, guarda molto alle suggestioni espressioniste – in più punti si nota una voluta evidenziazione delle percussioni – a scapita della preziosità che la scrittura orchestrale in più punti sembra indicare. Una lettura personale e non priva di efficacie pur preferendosi – a parere dello scrivente – un taglio più sfumato. Buona la prestazione del coro del Theater Freiburg rinforzato per l’occasione con elementi del Freiburger Bachchor.
Heliane è Annemarie Kremer (recentemente interprete di Violanta al Regio di Torino), soprano lirico dal  bel timbro venato di bruniture,  ben adatte a questo personaggio. Regge l’ardua tessiuta con sufficiente agio, se pur con qualche tensione in acuto, soprattutto nei momenti più drammatici dell’opera. L’interprete è  comunque appassionata nella creazione del personaggio.
Scritta per Kjepura la parte dello “Straniero” richiede una voce potente ma al contempo agile e squillante e una capacità di cantare sul fiato con somma eleganza. Qui troviamo Ian Storey heldentenorer wagneriano di notevole potenza. Rispetto ad altre prove,  qui lo troviamo più attento e concentrato, la linea di canto è più curata, con  una volontà di sfumare e alleggerire che non sempre gli avevamo riconosciuto ma il suo straniero resta comunque poco affascinante oltre che spesso forzato degli acuti.
Aris Argiris è un Signore timbricamente “leggero”, non abbiamo l’autentico bass-baritone che si vorrebbe – comunque di grande intensità esecutiva, drammatica, in linea con la concertazione. Il suo è un tiranno “granitico”, psicologicamente meno  coinvolgente di quello delineato da  Josef Wagner a Berlino.Katerina Helbeková con la sua voce brillante, per un mezzosoprano, tratteggia una  “Messaggera” pervasa da una crudeltà “nevrotica”. Di bella voce e ben centrato espressivamente,il “Custode della Porta” di Frank von Hove, fin troppo bella e robusta la voce di Nulthapom Thammathi nelle vesti del “Giudice cieco”.