Italo Montemezzi (1875-1952): “L’amore dei tre re” (1913)

Poema tragico in tre atti su libretto de Sem Benelli, dal dramma omonimo dello stesso Benelli. Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 10 aprile 1913. Interpreti: Luisa Villani, Edoardo Ferrari-Fondana, Carlo Galeffi, Nazzareno De Angelis: Direttore: Tullio Serafin.
Bellissima! È il primo aggetivo che si può accostare a L’amore dei tre di Italo Montemezzi, ma se ne potrebbero aggiungere molti altri. Infatti quest’opera, che dopo la prima rappresentazione del 1913, diretta Tullio Serafin, fu amata da direttori del calibro di Arturo Toscanini, Victor De Sabata, Gino Marinuzzi e da interpreti altrettanto celebri: Enrico Caruso, Giovanni Martinelli, Mary Garden,Lucrezia Bori, Rosa Ponselle, Grace Moore, Virgilio Lazzari…rappresenta una delle punte più alte del melodramma italiano del ‘900.
In essa il rapporto parola-musica scolpisce i personaggi di carne e di sangue in un’atmosfera fatale, carica di fatalismo. Il declamato che appare nei momenti  discorsivi dell’opera si apre in ampie espansioni liriche o si rinchiude in accenti drammatici, veri e propri colpi d’ala. La scrittura orchestrale con i suoi echi wagneriani è abile, raffinata: passi magniloquenti, fiammeggianti, si dissolvono in impalpabili sonorità, suscitano grande emozione. Ebbene, L’amore dei tre re., che meriterebbe di ritornare nel repertorio corrente (importante sarebbe stato il ritorno alla Scala nel prossimo maggio), raramente rappresentato nei nostri teatri anche per colpa di una insensanta campagna anti-verista da cui è riuscito a salvarsi solo Puccini.

Atto I -Nel X° secolo, in un castello italiano, quarant’anni dopo un’invasione barbarica. Fiora (soprano), già promessa sposa di Avito (tenore), principe italiano, è costretta a sposare Manfredo (baritono), figlio del barone Archibaldo (basso), straniero invasore, padrone del castello e del contado. Manfredo è in guerra e il vecchio Archibaldo sospetta d’infedeltà la nuora e si aggira per il castello accompagnato, poichè è cieco, dal servo Flaminio (tenore) che essendo anch’egli della stirpe dei vinti lo rassicura ingannandolo. Fiora, infatti, si incontra ogni sera col suo antico innamorato. Manfredo torna dal combattimento per incontrare la moglie, che ama teneramente.
Atto II – Manfredo sta per ritornare a combattere e prega Fiora a salutarlo dagli spalti, finchè non sarà scomparso all’orizzonte. Fiora è commossa e nel suo cuore si va facendo strada un nuovo sentimento nei confronti del marito. Mentre sventola la sua sciarpa per salutare il marito, giunge Avito e la passione li travolge. Archibaldo, che li sente parlare, interviene, intuisce perfettamente  la verità: poi, quando ormai Avito è fuggito, interroga la donna  e le stringe con forza la gola, uccidendola involontariamente. Manfredo, non vedendo più sventolare la sciarpa, ritorna e si trova davanti l’orrendo spettacolo del corpo esanime della moglie. Archibaldo rivela al figlio il motivo del delitto e si allontana.
Atto III – Fiora è distesa tra i fiori nella cripta del castello: uomini e donne del contado che l’amavano e ne conoscevano la storia, piangono intorno a lei. Avito ritorna e bacia appassionatamente le labbra esangui  dell’amante ma un gelo di morte lo invade: il crudele Archibaldo le aveva cosparse di veleno per scoprire l’identità dell’amante. Avito muore e Manfredo, che non vuole sopravvivere, bacia anch’egli Fiora e muore.
In allegato il libretto dell’opera