Fuori repertorio: Vito Frazzi (1888-1975): “Don Chisciotte” (1952)

Opera in tre atti e sei episodi, su libretto dell’autore da Cervantes.
Prima rappresentazione: Firenze, Maggio Musicale Fiorentino, 28 aprile 1952
Eterna é la favola di realtà è sogno che dell’immortale poema di Cervantes rispecchia le alterne vicende dell’uomo. Le avventure del “cavaliere dalla triste figura” e del suo scudiero sono per chi, come Vito Frazzi ha guardato alla vita con saggezza e bonomia, una verità universale e perenne, già presente in lui fin dalla prima giovinezza. Il primo incontro del musicista di San Secondo Parmense con il capolavoro spagnolo risale agli anni di quando era ancora studente di conservatorio, concretatizzandosi in seguito nella stesura di alcuni episodi da parte del poeta futurista Puccio Pucci. La realizzazione però si arrestò e  soltanto dopo anni di maturazione l’opera venne ripresa e compiuta nel pieno sviluppo creativo di Frazzi. Per tappe ascensionali Frazzi giunse a questa partitura dopo numerosi lavori vocali, da camera e strumentali. Il progetto di questa sua importante opera gli costò un lungo lavoro di studio e ricerca: la figura eroico- comica del Cavaliere Errante prendeva  via via forma e sostanza  nella fantasia creatrice del musicista, facendo sue le  aspirazioni di un mondo migliore retto dalla bontà e dalla giustizia. Una scena soltanto, quella iniziale dell’Opera, composta durante il periodo giovanile  è rimasta salvandosi da quanto fu dato in un primo tempo eliminato. Unitamente all’esperienza tecnica occorreva valersi di un linguaggio che esprimesse politicamente e drammaticamente situazioni sceniche ed il contrasto dei personaggi, soprattutto per i due caratteri principali di Don Chisciotte e Sancho, secondo le leggi  inderogabili di causa ed effetto proprie al teatro d’opera. Chiuso nello sviluppo musicale interiore con concezioni proprie in materia armonico-tonale, schivo dal voler appartenere a questa o a quella tendenza, scuola od Accademia,Frazzi, pur rimanendo sensibile alle tecniche moderne della composizione elaborò vigorosamente il dramma cogliendone i tratti profondamente umani, scevra da tradizionalismi e da presupposti intellettuali.
Don Chisciotte nella sua stesura definitiva riassume in sei episodi, suddivisi in tre atti le avventure del bizzarro personaggio al margine di una visione trascendente e quotidiana dell’esistenza.

Atto primoLa partenza Quadro primo
Vediamo riuniti nel cortile della casa di Don Chisciotte (baritono)  la nipote (soprano), la governante (mezzosoprano), il curato (basso), il barbiere Mastro Nicola (tenore) e Sansone Carrasco, il baccelliere (tenore), intenti a bruciare i libri che hanno esaltata la mente del Cavaliere, deciso ad affrontare il mondo in cerca di eroiche avventure. Tutti fingono di accontentare i suoi propositi, ma è inteso che il baccelliere, travestito da Cavaliere della Biancaluna, vorrà affrontare Don Chisciotte e dopo averlo battuto lo costringerà a far ritorna a casa per vivere in pace. L’ambiente ed ill clima soprannaturale è reso musicalmente con episodi orchestrali e corali patetici e vivacemente contrastati. A notte l’eroe e lo scudiero però si allontanano per affrontare “ardite imprese”.
Quadro secondo: La grotta di Montesino.
Don Chisciotte fattosi calare da Sancio in una caverna si addormenta e sogna. la scena si trasforma in un prato con una reggia di cristallo. Il vecchio Montesino (basso)  gli racconta che il mago Merlino  tiene prigioniere lui stesso, il cavaliere Durandarte (tenore) e la sua donna Belerma (soprano). Tutti in un “funebre corteggio” si lamentano. Entrano tre contadine, fra le quali si trova la bella Dulcinea (soprano), che respinge le offerte d’amore di Don Chisciotte. S’egli  vorrà averla occorre che  Sancho si dia 3300 frustate. Il sortilegio svanisce e lo scudiero Chiama Don Chisciotte sempre addormentato. Lunghi pedali in orchestra e sonorità ricercate creano l’atmosfera irreale della scena.
Atto II – Quadro primo – L’elmo di Mambrino.
Stanza d’osteria. Un barbiere (tenore) accusa I due eroi di aver rubato il finimenti della sua cavalcatura  ed il bacile di cui Don Chisciotte si è servito quale elmo. Dopo un parapiglia, la situazione finalmente si placa e  tutti vanno a letto. Rimasto solo l'”hidalgo” a montare la guardia al suo immaginario Castello, l ‘Ostessa (soprano) e una serva (soprano) lo  burlano legandogli una mano al catenaccio per tutta la notte. La musica ricca di ritmi concitati durante la zuffatorna tranquilla e il Cavaliere canta dolcemente durante la veglia notturna la melodia: “Lanterna della notte, che forse guardi con invidia l’ingrata donna che il cor mi infiamma, dille che dia vita alla mia morte”.
Quadro secondo – La sfida.
Piazza antistante all’osteria. Don Chisciotte viene liberato dagli alabardieri del paese con grotteschi effetti in orchestra ad imitazione del Raglio dell’asino. Mastro Pietro (baritono) con il suo “teatrino delle meraviglie” proietta giochi di luci nei quali tutti si illudono di vedere prodigi e gesta straordinarie, accentuandosì nella musica l’umorismo e il senso del magico. L’ostessa se la  prende con Don Chisciotte che gli ha sfondato  gli otri in cantina scambiandoli per giganti, ma ecco che il  bacelliere Carrasco, sempre nelle vesti del Cavalier della Bianca Luna, sfidarlo a duello con un ampio motivo orchestrale. Concertato finale e richiamo di trombe ma all’inizio della contesa cala il sipario.
Atto III – Quadro primo – Il ritorno.
Sulla strada. Don Chisciotte sconfitto lamenta la triste sorte ed induce Sancho a darsi le frustate profetizzate da Montesino nella speranza  di spezzare l’incantesimo ed avere Dulcinea. Ma lo scudiero lo inganna e nel buio della notte frusta invece un albero punto poi si addormenta e russa in accompagnamento al madrigale cantato dal padrone alla bella. Sonorità di mistero e di accorata melanconia nella musica. Oramai tutte le illusione sembrano svanire.
Quadro ultimo. La morte.
Don Chisciotte in una stanza, stanco e derelitto su di un seggiolone con Sancho piangente piedi, prega Dio in un drammatico arioso declamato. “Pazzo non era quando sognavo”. La voce di Dulcinea lo chiama e conforta lo spirito eterno del poeta, mentre nell’uomo la vita si spegne a poco a poco.