Genesi
A distanza di poco più di un mese dalla trionfale prima del Guglielmo Ratcliff, avvenuta il 16 febbraio 1895 alla Scala di Milano, Mascagni ottenne un nuovo successo con l’opera Silvano, la cui prima rappresentazione ebbe luogo il 25 marzo 1895 sempre nel teatro milanese sotto la direzione di Rodolfo Ferrari con Adelina Stehle-Garbin (Matilde), Leonilde Ponzano/Laura Frandin (Rosa), Fernando De Lucia (Silvano), Giuseppe Pacini (Renzo). Nonostante la buona accoglienza della prima, l’opera ben presto scomparve dai cartelloni e sembrerebbe anche dalla memoria di Mascagni che, elencando i suoi lavori sempre nei colloqui intercorsi con De Carlo, si dimenticò di Silvano, pur citando Le Maschere che “caddero” ben sei volte: “Ho lavorato molto, molto per me, per l’arte, ma soprattutto per questa nostra adorata Italia. Ratcliff, Cavalleria, I Rantzau, Iris, Le Maschere, Amica, Piccolo Marat, L’Amico Fritz. La prima dell’Amico Fritz ebbe successo. Le Maschere invece riuscii a darle contemporaneamente in sette teatri; in sei cadde ma riuscì al Costanzi. Ma quelli erano altri tempi, erano i tempi in cui c’era l’entusiasmo, lo spirito di sacrificio anche e, poi, un vero grande amore per l’arte”. (P. Mascagni, Mascagni parla. Appunti per le memorie di un grande musicista, a cura di S. De Carlo, Roma, De Carlo Editore, 1945, pp. 89-90) Perché questo silenzio da parte di Mascagni per Silvano? forse il compositore non volle annoverarla tra le sue figlie? Sono domande a cui è impossibile rispondere in mancanza di testimonianze, ma è certo che Silvano non fu un’opera amata dalla critica contemporanea. Il musicologo Giannotto Bastianelli, autore della prima monografia su Mascagni pubblicata nel 1910, la stroncò così: “Ma quello che dà più malessere in quest’opera insignificante, ne è la vecchiezza delle modulazioni, l’insipidezza dell’armonia. C’è la falsa eloquenza dell’agile improvvisator di preludi pianistici per mettere in tono un coretto d’educande. Si osservino poi i recitativi. Essi non sono come nella Cavalleria e nel Fritz quasi la forma musicale che sorgendo ed espandendosi investe e beve le parole, assimilandosele. Essi son fatti come musicando pezzetto per pezzetto, parola per parola il libretto, onde resultano sconclusionati ed incerti. Gli spunti melodici poi riescono odiosi per la ricerca quasi a tentoni della frase che non vuol venire. L’autoretorica vi trionfa: son come frammenti di intuizioni precedenti legati alla meglio. Se mai il Silvano può avere un valore, sarà quello di aver dimostrato al Mascagni tutto il suo dovere di rinnovarsi. Ormai le belle formule melodiche della Cavalleria, gli universali fantastici del suo stile giovanile, non gli dicono più nulla, sono strizzati fino ad aver versato tutto il loro succo. Bisogna ch’egli cessi di strascicare dietro a sè i cadaveri d’una fraseologia che un giorno fu viva; bisogna che immergendosi in un silenzio fecondo, ritrovi nel suo segreto la sua limpida vena, che non s’è seccata, ma solo, non coltivata gelosamente, s’è perduta nel suolo”. (G. Bastianelli, Pietro Mascagni, Ricciardi, Napoli, 1910, p. 72.
A distanza di oltre un secolo il giudizio di Bastianelli appare troppo severo, anche perché Silvano rappresenta comunque una tappa del percorso musicale di Mascagni che, per quest’opera, si servì di un soggetto molto simile a quello di Cavalleria. Nell’opera, il cui libretto fu tratto da Giovanni Targioni-Tozzetti da un romanzo di Alphonse Karr, scrittore e giornalista francese dell’Ottocento, il protagonista è Silvano, un pescatore condannato in contumacia per contrabbando e sfuggito al carcere, che, al suo ritorno in seguito alla grazia, uccide il suo rivale Renzo al quale Matilde, la donna da lui amata, aveva ceduto in un momento di debolezza. Questa trama, apparentemente così simile a quella di Cavalleria, per la critica contemporanea non fu sufficiente a rinverdirne i fasti e l’ispirazione. In realtà il continuo confronto di Silvano con Cavalleria può condurre ad un errore di prospettiva dal momento che per Mascagni era impossibile riscrivere la sua prima fortunata opera, in quanto la sua scrittura musicale aveva, in quei cinque anni che separano Silvano dal capolavoro, subito un’evoluzione che in questa partitura assume caratteri simbolici. Gli aspetti veristi del libretto, infatti, sembrano trasfigurarsi in una nuova dimensione simbolica, come accade per gli elementi naturali, quali il mare, che fa da sfondo alla vicenda e che, lungi dall’essere rappresentato nei suoi aspetti materiali immediatamente visibili, si carica, con la sua misteriosa e inquietante immobilità, di valori simbolici. Sembra più uno spettatore silente della tragedia e non un ridicolo mare di cartapesta, come definito da Bastianelli. Bisogna aggiungere, inoltre, che nella realizzazione musicale di quest’opera risulta viva e operante la “lezione” del Ratcliff soprattutto per la sua struttura sinfonica all’interno della quale la musica fluisce senza soluzione di continuità creando, per ogni atto, un unico poema sinfonico.
L’Opera
Atto primo – Nella piazza di un villaggio, sulla quale si affaccia la casa di Matilde, un coro, formato da mogli e fidanzate di pescatori, intona un canto dedicato ai loro uomini manifestando la speranza che essi, oltre a pensare a loro durante la pesca, facciano ritorno allo spuntar del giorno con le reti cariche di pesce. Se il testo del coro sembra richiamare, per il suo contenuto, quello iniziale della Cavalleria rusticana, la realizzazione musicale di Mascagni è totalmente differente, in quanto l’aspetto veristico, che, nell’opera precedente, era esaltato dal suono delle campane e da una melodia con inflessioni popolareggianti, qui si trasfigura in una dimensione simbolica. Il mare, che si intravede sul fondo della scena, non ci appare come una forza della natura con il suo moto ondoso, ma assume una connotazione simbolica nella sua misteriosa e inquietante staticità resa da un accompagnamento sempre uguale aperto da un insolito accordo di settima di terza specie sul quarto grado alterato di fa maggiore (Es. 1). Cessato il coro, Matilde, dalla sua stanza, intona la romanza, Forse domani al canto, nella quale mette a nudo il suo animo dilaniato dall’amore per Silvano, unico uomo da lei veramente amato, ma anche dalla paura che questi, al suo ritorno, possa scoprire il “tradimento” da lei perpetrato con Renzo. Alla fine la donna, timorosa che quella passione possa averla definitivamente perduta, si augura che Silvano non possa più tornare. Musicalmente la romanza ha una struttura che segue perfettamente il testo esprimendo i diversi moti del cuore di Matilde il cui desiderio è subito deluso dall’arrivo di Silvano che, ignaro di tutto e felice perché la grazia appena giunta gli consente di riacquistare la libertà, manifesta il suo amore per la donna con la quale dà vita al duetto Torno, adorata mia. Il lirismo della prima parte del duetto, nella quale Silvano manifesta il suo amore per la donna, si spezza alla parola sposa che fa sobbalzare Matilde la quale si ritiene indegna di lui. Alle accorate parole dell’uomo si contrappone la freddezza della donna e anche quando i due protagonisti cantano omoritmicamente e omofonicamente all’ottava (O l’ansie del mio core/Apri le care braccia), la loro espansione lirica raggiunge il suo acme su un inquietante e instabile accordo di settima diminuita che sembra presagire la prossima tragedia. Una musica allegra e un coro festante introducono l’arrivo di Renzo che è stato l’amante di Matilde, come si scoprirà in seguito. Il suo esordio sulla scena, Mi sia propizio il mare, costituisce la prima breve pausa all’interno del primo atto che fino a questo momento si è snodato come un continuum di pezzi giustapposti.
L’uomo festeggia la sua nuova barca con la quale avrebbe preso il mare nella speranza di fare buona pesca e tutto il coro lo acclama. Anche Silvano, ignaro di tutto, si unisce alla festa e addirittura offre i suoi servigi di pescatore a Renzo che lo tratta con disprezzo suscitando la sua ira (Ah n’hai detto bandito?); Silvano racconta, quindi, l’antefatto della vicenda, conosciuto dal pubblico solo parzialmente tramite accenni disseminati in precedenza nel libretto. Dalla sua narrazione si apprende che egli, costretto a praticare il contrabbando a causa della povertà sopravvenuta alla morte del padre e condannato in contumacia, aveva condotto una vita errabonda il cui carattere drammatico è reso da cromatismi discendenti in una scrittura che per i ribattuti tende al parlato; dopo questo momento tenebroso una nuova apertura lirica introduce il passo in cui l’uomo parla della grazia che lo restituisce alla sua vita e ai suoi amici che lo accolgono con affetto eccezion fatta per Renzo. Un momento di tenerezza è costituito dall’incontro con la madre, mentre la pace tra Silvano e Renzo, invocata da tutti, è solo apparente in quanto quest’ultimo frena i suoi iracondi istinti solo perché indotto da un cenno di Matilde. Rimasta sola, Matilde, dopo una breve mesta introduzione affidata ai legni, manifesta le sue pene in una romanza (Misera me… perduta son!) dalla semplice struttura bipartita (A-A1) per dar vita, poi, con Renzo appena sopraggiunto al duetto (Quand’egli, il tuo bandito) in cui la donna manifesta la sua intenzione di lasciarlo avendogli ceduto in un momento di debolezza; nel duetto emerge la brutalità dell’uomo che intima a Matilde di raggiungerlo sullo scoglio a notte fonda pena l’uccisione di Silvano. La donna, prostrata, alla fine acconsente, mentre l’atto si conclude sulle note rielaborate dell’introduzione della romanza Misera me.
Atto secondo
Anche il secondo atto, dalla struttura sinfonica ancor più coesa rispetto al primo, si apre con un paesaggio marino, in quanto la scena rappresenta la spiaggia del paese sul cui sfondo, sulla destra, si staglia lo scoglio dove è ancorata la nuova barca di Renzo. Come nell’atto primo, il mare è rappresentato in una forma assolutamente statica qui resa dal doppio pedale di tonica e dominante, sul quale si alternano semplici accordi di dominante e tonica di re minore (Es. 2) ad accompagnare un tema lirico affidato agli archi. È un brevissimo quadretto sinfonico che introduce il coro di marinai Corre già pel curvo ciel con il quale viene rappresentata perfettamente la calma di un notturno paesaggio marino.
Una breve pagina sinfonica, una forma di intermezzo, sebbene non sia indicato così in partitura, introduce, con un tema malinconico affidato inizialmente ai violoncelli e poi ripreso dagli altri archi, la seconda scena di cui sono protagonisti Rosa e Silvano; l’uomo, attardatosi con la madre che non vedeva da molto tempo e ormai persa l’occasione per andare a pescare, insieme con l’anziana donna dà vita ad una pagina d’intimità domestica, nella quale, oltre al tema ascoltato all’inizio di questo secondo atto (Es. 2) ritorna anche quello del duetto tra Matilde e Silvano del primo. Questa pace è, però, turbata dai dubbi manifestati da Rosa sulla scelta di Silvano di sposare Matilde al posto della giovane che lei stessa gli aveva destinato. Alla fine la donna si rassegna di fronte all’insistenza del figlio che, immaginando la possibile nascita di nipotini, dipinge un futuro quadro di pace e serenità domestica, interrotto dalle donne che entrano in scena, accompagnate da un tema leggero e quasi svolazzante come le loro gonne. Sono le mogli e le fidanzate dei marinai che pregano la Vergine affinché non accada nulla di male ai loro uomini che hanno preso il mare per una notte di pesca. Alla loro preghiera si unisce quella di Silvano, al quale le donne fanno notare il nuovo battello di Renzo ormeggiato nei pressi dello scoglio. Silvano si sente felice perché spera che le promesse scambiate con Matilde possano essere presto mantenute, ma le donne, un po’ per celia, gli ricordano che non bisogna dar credito alle promesse di marinaio e intonano una breve barcarola nella quale esprimono il timore che i loro fidanzati o mariti possano tradirle con un’altra donna. Silvano, da parte sua, è turbato da quel canto, ma nella successiva romanza, S’è spento il sol, di un lirismo tardoromantico, contempla il placido notturno paesaggio marino con il quale sembra porsi quasi in simbiosi come in un’intima simbolistica correspondance. Nella romanza, caratterizzata da un accompagnamento sempre uguale che sembra rappresentare il placido moto ondoso del mare, la pace divina, ispirata da quel paesaggio, è resa dai violini che cantano in un celestiale registro acuto. La riproposizione del tema di Matilde e Renzo del duetto della parte finale dell’atto primo sveglia dal sogno Silvano che decide di cercare la sua donna non dopo aver ripreso il tema iniziale della romanza S’è spento il sol. È l’ultimo momento di pace prima del tragico finale verso il quale l’azione precipita con un agitatissimo disegno che introduce il duetto tra Matilde e Renzo il quale prega la donna con un’invocazione accorata, ma piuttosto convenzionale nella realizzazione musicale, Ah s’io potessi leggerti, di restare con lui. La donna, in preda a un grande sconforto, ribadisce la sua volontà di lasciarlo, ma Renzo, che sembra sordo alle preghiere, cede soltanto quando Matilde minaccia di uccidersi. Chiamato dalla donna, giunge Silvano che, avendo intuito di essere stato tradito, chiede a Matilde dove si trovi il suo amante il quale, nel frattempo, si era nascosto. Accorso in aiuto della donna che Silvano stava per uccidere in preda ai furori della gelosia, Renzo viene ucciso dal suo rivale con un colpo di pistola. Questo finale è forse la parte più veristica dell’opera per la sua impostazione scenico-musicale.