Penultima opera di Mascagni, Pinotta è in realtà un giovanile rifacimento della cantata In Filanda, ripresa dal compositore in un periodo in cui sembrava che si fosse esaurita la sua vena musicale. Dopo Il piccolo Marat, rappresentato nel 1921, seguirono 11 anni di silenzio nei quali Mascagni, oltre a continuare la sua attività direttoriale, ricoprì l’importante carica di vicepresidente della S.I.A.E., ruolo che svolse con la solita intransigente onestà denunciando alcune situazioni poco chiare all’interno del Consorzio italiano per l’opera lirica. Oberato dagli impegni ed esacerbato dai contrasti, egli decise di riprendere questo suo giovanile lavoro del quale sembrava che si fosse del tutto dimenticato. Secondo un aneddoto, Mascagni, aprendo un giorno una vecchia valigia lasciata in pegno durante l’ormai lontano soggiorno milanese, avrebbe trovato al suo interno la cantata In filanda; ricordandosi della giovanile versione teatrale, decise di rielaborarla e metterla in scena. Pinotta, che non può essere considerata una vera e propria opera, fu rappresentata con successo per la prima volta al Casinò Municipale di Sanremo il 23 marzo 1932 sotto la direzione del compositore con Mafalda Favero (Pinotta) e Nerina Ferrari (1°zeffiro), Rita Melis (2°zeffiro), Carmen Tornari (3°zeffiro), tenore Alessandro Ziliani (Baldo), baritono Ernesto Badini (Andrea). Lo stesso compositore, scherzando, affermò a proposito di questo suo lavoro giovanile: “Macché opera, vogliamo far ridere? […] Credete che a quei tempi avessi un libretto? Mi bastò d’immaginare una scena d’amore”.
Articolata in due atti su libretto di Targioni-Tozzetti e Menasci, Pinotta è effettivamente una delicata storia d’amore di cui sono protagonisti appunto i due filatori Pinotta e Baldo; la sua struttura rivela, con la sua articolazione a pezzi chiusi, una concezione musicale ottocentesca che Mascagni avrebbe ampiamente superato nella sua produzione matura. Ciò non deve stupire soprattutto se si considera che Pinotta, rappresentata solo nel 1932, è in realtà un’opera giovanile nella quale si nota, oltre alla ricerca, da parte di Mascagni, di un linguaggio e di uno stile personali, anche l’influenza di altri compositori.
Atto primo
L’atto si apre con un breve descrittivo preludio sia strumentale, il cui incipit è affidato a dolci violini che si muovono in un registro medio-acuto, sia corale con la presentazione degli Zeffiri (Di Primavera gli Zeffiri noi siamo). In questa oasi di serenità, all’interno di una filanda, un coro di operaie (a cappella) e di operai esprime il carattere ripetitivo, quasi rituale, della loro attività e della loro vita. Abbastanza evidenti sono in questo coro iniziale le anticipazioni della prima scena di Cavalleria con il suono delle campane che introducono il coro degli operai. Subito dopo Andrea, proprietario della filanda, esalta in una forma moderna di arioso i sentimenti d’amore e di fede che animano i suoi operai, prima di intonare la sua Preghiera (Signor cui sempre loda), nella quale sono percepibili, almeno inizialmente, nella concezione dell’insieme con il coro che risponde ai solisti, alcuni elementi della Preghiera del Mosè di Rossini. Un afflato lirico, che si troverà nella produzione matura di Mascagni, contraddistingue l’intervento di Pinotta (Santa Maria, dall’intimo del core), mentre Baldo, timido operaio innamorato di Pinotta, manifesta al suo padrone, quasi chiedendogli il permesso, la volontà di dichiarare il suo amore alla fanciulla ottenendone la benedizione. Pinotta, messasi al lavoro, intona un Rispetto, volutamente popolareggiante nella melodia semplice e nell’accompagnamento ripetitivo e formulare, con il quale la ragazza, mentre manifesta il suo dolore per la sua condizione di orfanella, dichiara il suo amore per Baldo. Il suo principale, vedendola così mesta, le si avvicina e la invita ad intonare il canto delle filatrici, ancora una volta, affidato al coro delle operaie e degli operai che si producono in una pagina di sapore ottocentesco a cui non è estranea l’influenza di Ponchielli.
Atto secondo
Un breve intermezzo strumentale, il cui lirismo anticipa alcune delle pagine più mature della produzione di Mascagni, introduce il secondo atto ambientato nella piazza di un paese di campagna sulla quale si affaccia sia la filanda che la casa di Pinotta. Gli operai e le operaie, uscendo a gruppi dalla filanda, intonano una canzone all’amore (Ormai si sa), mentre fanno ritorno nelle loro case alla ricerca del meritato riposo. Invasa da un sentimento di mestizia, Pinotta, che vorrebbe unirsi al loro canto gioioso, intona una “preghiera” alla stella della sera dalla struttura strofica, mentre Baldo, che aveva contemplato da lontano la donna amata, le si avvicina, dando vita con lei a un tenero duetto d’amore in cui è disegnato, grazie anche all’orchestra che indulge in alcuni momenti su suoni acuti, un paesaggio da notturno che fa da sfondo all’acceso lirismo che anima i due amanti. La struttura tardo-romantica del testo di questo duetto, evidente soprattutto nel passo intonato a 2 (Andrem beati), è però risolta da Mascagni in modo originale e personale grazie ad un lirismo che anticipa le pagine più mature del Livornese.