Madrid, Teatro Real, Temporada 2019-2020
“DIE WALKÜRE”
Prima giornata in tre atti del Festival scenico-sacro Der Ring des Nibelungen
Testo e musica di Richard Wagner
Siegmund STUART SKELTON
Hunding RENÉ PAPE
Wotan TOMASZ KONIECZNY
Siegliende ADRIANNE PIECZONKA
Brünhilde RICARDA MERBETH
Fricka DANIELA SINDRAM
Gerhilde JULIE DAVIS
Ortlinde SAMANTHA CRAWFORD
Waltraute SANDRA FERRÁNDEZ
Schwertleite BERNADETT FODOR
Helmwige DANIELA KÖHLER
Siegrune HEIKE GRÖTZINGER
Grimgerde MARIFÉ NOGALES
Rossweise ROSIE ALDRIDGE
Orquesta Titular del Teatro Real
Direttore Pablo Heras-Casado
Regia Robert Carsen
Scene e costumi Patrick Kinmonth
Luci Manfred Voss
Produzione Oper Köln
Madrid, 28 febbraio 2020
Quando, prima che si abbassino le luci, si scorgono nell’angolo destro del golfo mistico sei arpe allineate e scintillanti, è inevitabile che la memoria cominci a ripercorrere i capitoli e le rivisitazioni della Tetralogia, lasciandosi guidare dalla sonorità così peculiare di quello strumento, che collega con tanta forza evocativa Das Rheingold a Die Walküre. Quest’ultima è spesso definita l’opera più autonoma nel ciclo del Ring, ma le arpe, che continuano ad accordare placidamente, sembrano piuttosto avvertire di un’assenza, visto che la prima giornata è l’unica in cui l’oggetto magico più poderoso è soltanto evocato dalla parola e dalla musica, senza apparire in scena. Il regista contemporaneo, sempre ossessionato dalla presenza materiale degli oggetti richiesti dal testo, almeno in questo può essere tranquillo … Alcune produzioni invecchiano molto rapidamente, altre invece con il trascorrere degli anni possono addirittura presentarsi più attuali e sempre convincenti. È quest’ultimo il caso – almeno a giudizio unanime del pubblico – della Tetralogia wagneriana di Robert Carsen e Patrick Kinmonth, concepita per la Oper Köln vent’anni fa ma continuamente ripresa in tutto il mondo. Negli anni scorsi fu il Gran Teatro del Liceu di Barcelona, ora è il Teatro Real di Madrid a riproporla (ma diluita nel tempo: esattamente un anno fa si vide nella capitale spagnola Das Rheingold, e occorrerà un altro biennio perché la saga si completi). Due compagnie vocali di interpreti specialisti del genere si alternano in dodici rappresentazioni dell’opera, riscuotendo entrambe un buon successo, insieme al direttore Pablo Heras-Casado. Parrebbe che la direzione del Teatro Real non avesse intenzione di dare continuità anche alle voci, visto che nessuno dei cantanti di Das Rheingold del 2019 è oggi impegnato in questa Walküre. In ogni caso, va detto subito che il Wagner di Heras-Casado e Carsen è un esempio di ottima integrazione, giacché entrambi gli accostamenti, musicale e spettacolare, insistono su un messaggio sintetico (l’ipocrita menzogna del potere nel mondo contemporaneo), tralasciando in secondo piano la complessità della trama letteraria e filosofica che affiora in quasi ogni battuta dei personaggi. Il direttore sottolinea pertanto i massicci blocchi dei temi eroici con sonorità fragorose, a volte eccessive (specialmente quando in disequilibrio con le voci dei solisti), allo scopo di presentificare l’arroganza e il sopruso che sempre li determinano; dal canto suo, il regista dimentica il tema delle origini del mondo o del destino degli dèi, perché preferisce raccontare la dimensione tutta realistica di una vicenda concreta e squallida. In realtà, Heras-Casado compie un lavoro rifinito insieme alla Orquesta Titular del Teatro Real, specialmente con il complesso degli archi (mentre la sezione degli ottoni accusa momenti di stanchezza e cedimento). L’atto meglio riuscito è senza dubbio il primo, a cominciare dalla violenta tempesta dell’introduzione, in cui dinamiche e accenti sono mirabilmente sgranati e chiari. I tempi sono in genere equilibrati o appena dilatati, come nel duetto tra Siegmund e Brünhilde del II atto, tranne nel finale, in cui l’effetto dell’incantesimo del fuoco è un poco sciupato da un tintinnare rapido e meccanico; fretta davvero funesta, che guasta in parte il piacere della magia. Tenore protagonista è l’australiano Stuart Skelton, dalla cavata robusta e dall’emissione omogenea: il suo Siegmund è un personaggio oppresso dal ricordo e dalla nostalgia, come suggeriscono l’insistenza sulle mezze voci o le accorate invocazioni del padre, dalla perfetta tenuta vocale; se l’arioso dei Winterstürme sgorga con naturalezza e fluidità, il finale eroico del duetto è invece inficiato da una goccia di muco in corrispondenza della puntatura. Ma poco importa: di questo tenore va ricordata la capacità di enunciare ogni frase lirica con un’introduzione, un crescendo d’intensità in corrispondenza dell’acuto e una smorzatura conclusiva, secondo una costruzione “a ventaglio” tecnicamente impeccabile. Da un cantante come René Pape non ci si può aspettare che una grande prova, e infatti il suo Hunding ha un porgere così nobile da non sembrare neppure un antagonista malvagio, ma un magnanimo pronto a perdonare. I pochi che hanno alluso al disfacimento della voce di Pape in occasione di questa Walkiria dovrebbero dedicarsi a una rassegna di tutti i bassi che hanno interpretato Fasolt, Fafner e Hunding negli ultimi due o tre anni e poi riformulare il giudizio … Il soprano canadese Adrianne Pieczonka dà voce a una Sieglinde musicalmente forte e determinata: è magnifico il passaggio del duetto del I atto in cui evoca e riflette sull’incanto della voce del fratello, al pari delle strazianti lamentazioni del II. Tomasz Konieczny è un basso-baritono polacco che debuttò nel 1997 e che, in effetti, si presenta nella fase centrale della carriera: sebbene la voce dal timbro chiaro non abbia particolare bellezza, non brilli per ricchezza di armonici e non sempre riesca a coprire senza sforzo tutte le note acute, la perfetta proiezione e il dosaggio dei fiati rendono il suo Wotan uno dei più gagliardi della scena attuale. Quasi mai il porgere è nobile o signorile, di modo che di tutte le sfaccettature del carattere di Wotan meglio si dipanano quelle che vanno dall’insolenza alla disperazione alla collera, in un crescendo di effetti che lo trasforma nel cantante più applaudito dal pubblico. Pochi Wotan riescono ad arrivare al termine del III atto con una pienezza di fiato e squillo come quella del basso-baritono polacco; egli lo sa bene, e forse eccede un po’ allo scopo di far risaltare la propria potenza. Ricarda Merbeth è una delle interpreti wagneriane più nota al mondo, celebre in particolare per le sue interpretazioni di Isolde o di Senta (nel dicembre 2016 la cantò proprio al Teatro Real). Brünhilde, però, non richiede soltanto una voce drammatica, ma anche squillo eroico e acuti solidamente sostenuti, che non sempre riescono naturali al soprano tedesco. La Merbeth si disimpegna molto bene nel meraviglioso duetto con Siegmund nel II atto e nelle preghiere al padre del III; i gridi di guerra non sono invece così nitidi e volitivi come si vorrebbe, ma parte della responsabilità va ascritta ai torrenziali volumi sonori del direttore d’orchestra. Brünhilde, del resto, è l’unico personaggio dell’opera a vivere una crescita intellettuale: perdendo la dimensione divina, diventa donna che già ha tematizzato la colpa e attende un’esistenza nuova e libera, anziché il mero compiersi del destino. Un cameo di eleganza, vocale e attoriale, la Fricka del soprano tedesco Daniela Sindram e tutte adeguate le otto walchirie sorelle di Brünhilde, che intervengono sullo sfondo della cavalcata e in dialogo con Wotan nella parte iniziale del III atto. Lo schema dialettico dei personaggi della prima giornata della Tetralogia è alquanto semplice, suddividendosi per coppie di alleati o amanti: Siegmund con Sieglinde, Wotan con Brünhilde, Hunding con Fricka. Siegmund è un guerrigliero che trova rifugio presso la casa di Hunding, bieco trafficante di armi al servizio di una oligarchia militare. Wotan è un generale ricchissimo e corrotto, Fricka un’elegante aristocratica interessata soltanto a conservare i privilegi della ristretta casta cui appartiene, Brünhilde una ragazza viziata che vive nel lusso ignara di tutto. La regia di Carsen evidenzia la forza di tali legami soprattutto per mezzo di affinità estetiche, ricorrendo a tipi bene identificabili in seno a conflitti e guerre di oggi, ma rifiutandosi di separare nettamente tra bene e male. Ed è giusto così: in mezzo a tanta menzogna e violenza l’unico sentimento meritevole di attenzione è l’amore compassionevole di Brünhilde per Sieglinde; la debolezza della dea è già diventata virtù della donna. Foto Javier del Real © Teatro Real