Genova, Teatro Carlo Felice: “Adriana Lecouvreur”

Fondazione  Carlo Felice di Genova, Stagione Lirica 2019-20
ADRIANA LECOUVREUR”
Opera in quattro atti. Libretto da Arturo Colautti dal dramma di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé

Musica di Francesco Cilea
Adriana Lecouvreur BARBARA FRITTOLI

Maurizio MARCELO ALVAREZ
il Principe di Bouillon FEDERICO BENETTI
la Principessa di Bouillon JUDIT KUTASI
Michonnet DEVID CECCONI
L’Abale di Chazeuil DIDIER PIERI

Poisson BLAGOJ NACOSKI
Quinault JOHN PAUL HUCKLE
Mad.lla Jouvenot MARTA CALCATERRA
Mad.lla Dangeville CARLOTTA VICHI
Un maggiordomo CLAUDIO ISOARDI
Danzatori Michele Albano, Ottavia Ancetti, Giancarla Malusardi

Orchestra e Coro dele Teatro  Carlo Felice di Genova
Direttore Valerio Galli
Maestro del coro Vito Lombardi

Regia, scene e costumi Ivan Stefanutti
Lighting Design Paolo Mazzon
Movimenti mimici Michele Cosentino
Allestimento del Teatro Sociale di Como – As.Li.Co.

Genova, 16 febbraio 2020
Cilea, calabrese di Palmi, musicalmente di scuola napoletana, prodotto del Conservatorio di San Pietro a Majella, ha legato il suo nome e la sua fama a due arie una per tenore “Il lamento di Federico”, l’altra per mezzosoprano “Esser Madre è un inferno”, dell’Arlesiana, opera scomparsa da decenni dai cartelloni dei teatri italiani e ad Adriana Lecouvreur che di tanto in tanto ricompare. L’opera per data, 1902, ed editore, Sonzogno, dovrebbe collocarsi tra quelle “veriste”, ma ha veramente poco della truculenza e della prosaicità delle composizioni veriste. Più le si adatta un’etichetta di manierismo tardo romantico. I chiacchiericci di attrici, abati e nobiltà varia richiamano la settecentesca scuola napoletana e il secondo atto della Manon Pucciniana e certi passi della Manon di Massenet. Il contrasto e lo scontro tra le rivali in amore hanno la temperie di scene equivalenti di Gioconda ed Aida. La festa del terzo atto, a casa del principe e la morte di Adriana paiono modellate sulle circostanze simili di Traviata. Adriana continua ad avere un gran pubblico di affezionati del dramma e soprattutto delle voci che qui hanno ampio spazio di esibizione. Se conferma se ne volesse avere, l’affollamento del Carlo Felice ne ha fornito la dimostrazione. La pomeridiana di Domenica 16, di cui qui si parla, è stata pressoché col tutto esaurito.
Con l’ausilio delle azzeccate luci di Paolo Mazzon, la parte visiva, regia scene e costumi, è interamente sulle spalle di Ivan Stefanutti. L’ambientazione scelta non è il 700 della vicenda narrata ma il primo 900, coevo agli autori di musica e libretto. Le pareti nere dell’unica scena, variante nei 4 atti per dettagli se pur di peso, sono movimentate sulle quinte da 6 grandi colonne, a morbide volute, nere lucenti. Gli arredi, nouveau-deco, essenziali in numero e in forma, sono bianchi. Elegantissimi poi i costumi, anch’essi giocati sul bianco-nero. Il regista sa ben caratterizzare ed allacciare il chiacchiericcio burlesco, quasi comico degli attori della comédie, e della coppia principe abate, con il drammatico scontro delle protagoniste e il patetismo affettuoso di Michonnet. Michele Cosentino imposta la parentesi ballettistica del terzo atto nel ricordo del faune di Debussy e di Nijinskii, qui impersonato dal bravo e prestante Michele Albano, efficacemente affiancato da Ottavia Ancetti e Giancarla Malusardi. La cornice musicale, con un’orchestra protagonista indiscussa, in grane spolvero, è nelle sensibili ed efficaci mani di Valerio Galli. Il giovane direttore viareggino, da annoverarsi ormai tra i massimi non solo della sua generazione, domina con consapevolezza il panorama dell’opera italiana post-verdiana. L’orchestra commuove col convincente melodismo patetico, ravviva le scene d’insieme, supporta e soccorre le debolezze del canto e del palcoscenico. Dà inoltre la nota più verista della recita col sottolinearne ed evidenziarne i tratti più passionali.Il Teatro Carlo Felice, come da prassi che inspiegabilmente si sta consolidando in molti teatri, costringe le recite del medesimo titolo, 5 nel nostro caso, in un pugno di giorni anche immediatamente consecutivi. Di qui la necessità di più cast di livello comparabile, almeno sulla carta, per non avere una produzione  di qualità altalenante.Il trascorrere degli anni e l’accumularsi delle recite, se certamente arricchiscono l’artista di esperienza, scaltrezza interpretativa e consapevole appropriazione del personaggio, non ne favoriscono certamente le prestazioni “atletiche” fisiche e di canto. È naturale ed inevitabile. Anche il pubblico deve apprezzare i risultati raggiunti e dimenticare, evitando comparazioni, quanto visto ed ascoltato in passato. Barbara Frittoli è una encomiabile Adriana. Più attrice che amante. I melologhi recitati, ridicole pietre d’inciampo per molte interpreti, sono di alta qualità. Il canto di conversazione è sempre convincente. Nel duetto con la principessa del secondo atto e nell’invettiva del terzo, esibisce la sicurezza e la protervia che necessitano alla compiutezza del dramma. Il vibrato in io son l’umile ancella e in poveri fiori limita l’espansione lirica delle due arie. La scena della morte è  pregevole. Marcelo Alvarez, ha timbro tenorile tra i più belli ed ammaliatori mai sentiti. E questo potrebbe bastare per un indimenticabile Maurizio. Le mezze voci, i fiati, hanno forse un po’ sofferto del tempo che passa. L’interprete no. Prepotente è il fascino che immette in questo fascinoso ma infido e infimo personaggio che le dame e il pubblico (solo femminile?) ama appassionatamente. L’anima ho stanca e la dolcissima effigie hanno lo smalto e l’aura suadente che sempre si vorrebbero trovare nel personaggio. Judit Kutasi, è un giovane mezzosoprano rumeno, ancora poco conosciuto ma dalle molte doti. Sfodera una vocalità lussureggiante, una dizione inappuntabile e una sicurezza da cantante navigata. La sua Principessa è gretta, bada al sodo, l’incertezza non le appartiene. La voce bella e piena della Kutasi offre un’ acerba voluttà tutta da godere, e degli approcci amorosi tutti da temere. Nei duetti con Adriana e Maurizio mantiene il punto e non teme il confronto con i più noti colleghi. Devid Cecconi,  un Michonnet che canta con timbro autenticmanete baritonale è una piacevole sorpresa. A Cecconi sta bene il personaggio del burbero capocomico dal buon cuore, sa farlo suo con convinzione. Senza esagerare in nuances, il taci mio vecchio cor del quart’atto ha la correttezza in corpo. Il brillante duo Principe ed Abate si avvale rispettivamente della figura prestante del basso Federico Benetti e della sagacia interpretativa e vocale del tenore Didier Pieri. Completano il cast appropriatamente con vivacità ed eleganza: gli attori dellaComédie-Française, Marta Calcaterra, Carlotta Vichi, John Paul Huckle, Blagoj Nakoski ;Claudio Isoardi è il maggiordomo. Il Coro del Carlo Felice, guidato da Francesco Aliberti, per quanto con poco impiego nello spettacolo, ha professionalmente espletato il suo compito scenico e vocale contribuendo al successo dello spettacolo. Caloroso e intenso l’omaggio finale del pubblico, che già aveva interrotto più volte con applausi la recita. Tutti gli interpreti hanno ottenuto un calorosissimo apprezzamento. Forse la sorpresa per la scoperta di una voce nuova e l’incoraggiamento per il prosieguo della carriera ha particolarmente gratificato il mezzosoprano. Il maestro Galli, beniamino del pubblico genovese, dal calore degli applausi ne ha anche potuto misurarne l’affetto. Foto Marcello Orselli