Berlino, Sala Grande della Philharmonie
Berliner Philharmoniker, Damen des Rundfunkchor Berlin Knaben des Staats- und Domchors Berlin
Direttore Lorenzo Viotti
Mezzosoprano, Elīna Garanča
Gustav Mahler: Sinfonia No. 3 in Re minore
Berlino, 27 febbraio 2020
Affrontare l’intricata cosmologia della Sinfonia No. 3 di Gustav Mahler, a trent’anni, non è certo un modo semplice per debuttare alla testa della più blasonata orchestra al mondo. Si fa trovare pronto il trentenne Lorenzo Viotti, in pronta sostituzione del (forse malato, forse troppo impegnato) Yannick Nézet-Séguin, di fronte ai Berliner Philharmoniker schierati assieme alle Damen des Rundfunkchor Berlin e ai giovanissimi Knaben des Staats- und Domchors Berlin in quel capolavoro architettonico e acustico della sala grande della Philharmonie di Berlino. In attesa dell’inizio del concerto è palpabile quella sorta di eccitazione che spesso circonda le esecuzioni delle sinfonie di Mahler, come se chi si trova in sala avesse pagato il biglietto con l’aspettativa di vivere un’esperienza di trasformazione. Sarà rispettata?
L’approccio di Viotti al movimento di apertura (nella memoria dello scrivente il più lungo movimento di sinfonia mai scritto) è opportunamente vigoroso e marziale nelle numerose allusioni alla musica bandistica e popolare tedesca che animano questa ipertrofica marcia della durata di quasi quaranta minuti. Ciò che colpisce maggiormente è la capacità del giovane direttore di condurre l’esposizione di uno schema formale ormai massimamente deformato con estrema chiarezza, rendendo al meglio il concetto di una natura così caotica nella sua multiformità da divenire fin terribile e spaventosa, al cui cospetto l’uomo (spoglio di qualsiasi superomismo nonostante il riferimento nietzschiano del testo) non può che nutrire angosce e dubbi che solo nel finale troveranno definitiva risoluzione. Decisi e misurati gli interventi solistici del konzertmeister Daishin Kashimoto, e il celebre solo-recitativo del trombone reso da Olaf Ott, a ripercorrere con la giusta misura di calore e lirismo alcune delle idee tematiche sentite in precedenza.
Del rasserenante e infantile secondo movimento in forma strofica di minuetto, dove Viotti lascia il giusto spazio alle eccellenti personalità delle prime parti dei legni, riportiamo le parole di Mahler che ci mettono in guardia dall’indulgere troppo in un concetto di natura idilliaco e arcadico: “questa piccola e modesta composizione mi presenterà agli occhi del pubblico come il voluttuoso profumato cantore della natura. Che poi questa natura nasconda in se anche tutto ciò che è orribile, poi grande e anche amabile (questo è quello che ho voluto esprimere nell’intero lavoro, in una sorta di evoluzione) nessuno certo lo capirà mai”.
Evocativo e sognante anche al netto di qualche imprecisione il solo di posthorn fuori scena di Guillaume Jehl, forse il momento più emotivamente carico dell’intera sinfonia dove la dilatazione del tempo lascia il pubblico come sospeso in un ambiente sonoro rarefatto e nostalgico ad ascoltare la misteriosa voce proveniente “come da molto lontano” che sembra non essere altro che un’anticipazione delle parole che di lì a poco il pubblico sentirà pronunciare. Il mezzosoprano Elīna Garanča scandisce le prime battute del suo “O Mensch, Gib Acht!” con grande intensità drammatica e tono vellutato rimanendo seduta, espediente di interessante effetto che annullando così il peso di ogni presenza scenica contribuisce a dare ancor maggiore centralità al misterioso avvertimento con cui si apre il testo di Friedrich Nietzsche. Il Canto di Mezzanotte, reso dalla Garanča col giusto carattere introspettivo, ci lascia intravedere la soluzione che Mahler si prefigge di dare all’angosciosa condizione dell’uomo sprofondato (la parola “profondo” ritorna molte volte nel testo) nel dubbio esistenziale. Segue nel quinto movimento il cristallino intervento delle voci bianche dei Knaben des Staats- und Domchors Berlin (maestro del coro Kai-Uwe Jirka) e delle voci femminili del Rundfunkchor Berlin (preparate da Simon Halsey) su testo popolare tratto da Des Knaben Wunderhorn, in cui l’episodio biblico della disperazione di Pietro che viene invitato da Gesù Cristo ad affidarsi alla preghiera a Dio per raggiungere la gioia celeste (e qui vediamo all’orizzonte gli spunti per ciò che diventerà la quarta sinfonia) non può che preannunciare quindi una soluzione trascendentale in cui il panteismo e la consapevolezza che Dio è Natura e viceversa si affermano definitivamente. La sinfonia termina con un esteso Adagio che richiede concentrazione e dedizione quasi disumane da parte del direttore e dell’orchestra. E proprio qui si compie al meglio il percorso di Lorenzo Viotti alla guida dei Berliner Philharmoniker, come se nei primi cinque movimenti avesse voluto esporre quasi oggettivamente gli elementi della riflessione mahleriana per giungere ora finalmente alle proprie conclusioni. Non manca qui la giusta enfasi per gli elementi tematici (qui “sublimati” e trasformati tanto quanto è trasformato l’uomo alla fine di questo doloroso percorso di confronto con il mondo circostante) presentati all’inizio della sinfonia nella loro nuova veste, in un ciclico ritorno che ci ricorda le ragioni del contatto dell’opera col pensiero di Nietzsche.La risoluzione che Viotti conferisce alle tensioni accumulate nel primo movimento e nei seguenti, forte di una delle più straordinarie tavolozze orchestrali che un direttore possa desiderare, riscalda ed emoziona il numerosissimo pubblico berlinese che scoppia in fragoroso applauso e ripetute ovazioni per il giovane direttore, richiamato sul palco anche dopo l’uscita dell’orchestra. Aspettative rispettate!