Verona, Teatro Filarmonico, Stagione sinfonica 2020
Orchestra della Fondazione Arena
Direttore e pianista Alexander Lonquich
Wolfgang Amadeus Mozart:Ouverture da Le Nozze di Figaro, Concerto per pianoforte e orchestra N. 27 in Si bemolle maggiore K. 595, Sinfonia N. 41 in Do maggiore “Jupiter” K. 551
Verona, 10 gennaio 2020
Il “Viaggio in Italia nel tempo e negli stili”, rassegna autunnale conclusasi in segno positivo in termini di presenze e di critica, cede il posto ad un altro viaggio, o piuttosto alla sua rimembranza, quello che Wolfgang Mozart, allora quattordicenne, compì tra il 1769 e il 1773 e che vide la città di Verona teatro di memorabili esibizioni. Viaggio di consacrazione ma, considerata la precocità del soggetto, anche di celebrazione, come di un artista già conclamato, stando alle memorie del di lui padre Leopold: “l’esaltazione, la gioia, gli applausi, le urla che seguirono [l’esecuzione di Wolfgang] sono tali che non trovo parole per descriverli”. Ricordando quel famoso tour, è allo stesso tempo concerto di apertura della Stagione 2020, una serata indimenticabile, forse quanto quella che recensisce Leopold Mozart e che galvanizzò i signori veronesi 250 anni fa. D’altra parte, quando due geni come Mozart e Lonquich si incontrano, non può accadere altrimenti. Il pianista e direttore nativo della città di Treviri possiede una chiarezza di idee tale da rendere possibile a chi ascolta di visualizzare la partitura davanti ai propri occhi, e tuttavia l’esecuzione non risulta pedante, anzi: al pianoforte come sul podio sprigiona una freschezza e un impeto nuovi, con l’aria di chi si accosta agli stessi capolavori con cuore e mente di principiante. Impeto sorgivo, come nell’Ouverture dalle Nozze di Figaro, ma anche grazia sovrannaturale, come nel Concerto in Si bemolle K. 595, ultimo ed estremo omaggio, intriso di puro lirismo, a quel genere che fu fortunatissimo nella parabola mozartiana. Qui Lonquich dà prova di un cantabile estremamente intenso, sempre a fondo tasto, e di ornamentazioni nitide e brillanti, la melodia è scolpita e onnipresente, una cometa al di sopra del paesaggio orchestrale, in grado di guidare con fisso splendore attraverso le peregrinazioni armoniche, sempre sconvolgenti, della partitura. Ma è al termine della prima parte del programma che Lonquich sfodera i gioielli da sotto il pastrano: primo bis è il secondo Impromptu in fa diesis maggiore di Chopin, pagina che profuma di commovente innocenza. L’intepretazione di Lonquich è squisitamente poetica, giocata su un accompagnamento sofficissimo e su un jeu perlè d’altri tempi. Il secondo bis è il Minuetto K. 355 di Mozart, una manciata di battute a dir poco enigmatiche, e che nella sua oscillazione tra galanteria e durezza armonica pare la trasposizione dell’adagio “straziami ma di baci saziami”. Una scelta sopraffina, quella di Lonquich, che ci mostra ancora una volta un Mozart avanti anni luce sui suoi contemporanei. Il concerto si conclude con la grande Sinfonia “Jupiter” K. 551, una delle cime del sinfonismo di tutti i tempi. Considerato che quel viaggio in Italia fu anche (e soprattutto) occasione per Wolfgang di approfondire la somma arte del contrappunto (col francescano G. B. Martini), questa pagina sembra restituircene i frutti più maturi. Poche altre sinfonie mozartiane, infatti, possono vantare un intreccio di temi come quello del Finale della Jupiter, intreccio che gli orchestrali dipanano con grande energia e vitalità. Insolitamente rapido il secondo movimento, quell’Andante che Woodie Allen mette nella lista delle cose per cui vale la pena vivere, amabilmente scorrevole invece il Minuetto. Applausi estremamente generosi ripagano direttore ed orchestra delle rispettive fatiche e confermano, semmai ce ne fosse stato il bisogno, la natura d’artista a tutto tondo del Sig. Lonquich.