Torino, Teatro Regio, stagione d’opera e balletto 2019-2020
“VIOLANTA”
Opera in un atto su libretto di Hans Müller
Musica di Erich Wolfgang Korngold
Violanta ANNEMARIE KREMER
Simone Trovai MICHAEL KUPFER-RADECKY
Alfonso NORMAN REINHARDT
Giovanni Bracca PETER SONN
Bice SUOLA PARASSIDIS
Barbara ANNA MARIA CHIURI
Matteo JOAN FOLQUÉ
Primo soldato CRISTIANO OLIVIERI
Secondo soldato GABRIEL-ALEXANDER WERNICK
Prima ancella EUGENIA BRAYNOVA
Seconda ancella CLAUDIA DE PIAN
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Pinchas Steinberg
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Luci Andrea Anfossi
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Torino, 25 gennaio 2020
Un risveglio di interesse nei confronti di Erich Wolfgang Korngold sembra finalmente attraversare i teatri italiani. Dopo la splendida edizione scaligera di “Die tote stadt” della scorsa primavera a meno di un anno di distanza il Teatro Regio di Torino propone la prima esecuzione italiana di “Violanta”, l’opera che nel 1916 rivelò pienamente le qualità del giovanissimo compositore.
Cresciuto in uno degli ambienti più colti dell’ultima Vienna imperiale – il padre Julius era l’onnipotente critico musicale della “Neue Freie Presse”, vero arbiter elegantiae della vita musicale viennese e strenuo difensione della tradizione mitteleruopea contro i primi fremiti delle avanguardie – il diciannovenne Korngold mostra qui di avere non solo una conoscenza impeccabile di tutta la musica fino al suo tempo ma di essere già capace di trarre dalla tradizione un linguaggio autenticamente personale. La cupa – e abbastanza inconsistente – vicenda di Hans Müller ambientata in una Venezia rinascimentale tutta di maniera si apparenta da presso alle coeve tematiche del verismo italiano. Dramma di passioni roventi e vendette esacerbate, questo lavoro ruota intorno a Violanta, moglie del capitano veneziano Simone Trovai e accecata dall’odio per Alfonso, figlio illegittimo del re di Napoli, che considera causa del suicidio della sorella Nerina. Dopo averlo invitato a tradimento nel palazzo di famiglia e aver convinto il riluttante marito a ucciderlo, si innamora del giovane dopo un rovente duetto fino al punto di gettarsi sulla spada dello sposo comprensibilmente alterato. Una trama quindi non troppo distante da tanto coevi esempi italiani se non per una minor coerenza logica di fondo. L’apparente verismo si carica però di più profonde ombre; gli atteggiamenti di Violanta si muovono sulla labile linea che separa ragione e psicosi, e il personaggio è un irrisolto coacervo di pulsioni e repressioni di matrice sostanzialmente psicanalitica e in cui non è difficile scorgere influenze di Freud – anche lui viennese, ebreo e protagonista dello stesso ambiente socio-culturale della famiglia Korngold – così che alla fine l’apparente dramma verista scivola progressivamente in una dimensione simbolista e proto-impressionista in cui tutto sembra farsi più labile e incerto fino al finale in cui la voluttà si sublima in una disincarnata estasi della morte che è quanto di più lontano possa esserci dell’autentico verismo.
La musica di Korngold esalta soprattutto queste ultime componenti. E’ palese come il modello di fondo per il giovane compositore sia Wagner e principalmente l’instabile universo cromatico del “Tristan und Isolde”. Il senso di sontuoso disfacimento che domina la partitura è sistematicamente attraversato da suggestioni tristaniane che, se si esprimono nel modo più esplicito nel duetto tra Violanta e Alfonso, sono sempre presenti come struttura portante della partitura. Wagner è sicuramente Nume tutelare del giovane Korngold ma non rappresenta la sola suggestione; si riconoscono echi del maestro Zemlinsky, di Richard Strauss, da cui sembra derivare un uso espressivo e modernizzante delle dissonanze capaci di dare a questa musica un esplicito sentore di modernità nonostante il rispetto della tradizione formale e in cui si può forse vedere una, seppur velata, volontà di rivolta del giovane compositore di fronte alle imposizioni estetiche paterne, fino a Puccini con cui Korngold si apparenta per una naturale vocazione melodica, una capacità di abbondarsi al canto e alla sua magia che appartiene solo a loro in quell’orizzonte cronologico e di cui qui troviamo già una perfetta realizzazione nel monologo di Alfonso “Der Sommer will sich neigen” in cui già traspare il futuro incanto del Marietta-Lied.
Quanto mai saggia la scelta del Teatro Regio di affidare la bacchetta a Pinchas Steinberg. Il direttore israeliano ha con questo tipo di repertorio un rapporto particolare, una speciale sensibilità che ne fa interprete ideale. Alla guida dell’orchestra del Regio preparata alla perfezione – da qualche tempo non la si sentiva suonare con tanta ricchezza sonora e partecipazione emotiva –, il direttore fornisce una lettura sontuosa. Steinberg esalta i tratti più moderni, straussiani, della scrittura di Korngold dalla malata sontuosità cromatica dei momenti più drammatici o dei ripiegamenti lirici a un camerismo venato di brividi spettrali che pure non mancano nella partitura. Ne risulta un velluto sontuoso in cui l’oro dei braccati si alterna a ombre profonde e a sentori di disfacimento. Korngold e Steinberg riescono pienamente a rendere al riguardo il carattere autenticamente veneziano della vicenda, quel misto di meraviglia e repulsione che di Venezia, cadavere in disfacimento rivestito di porpora e oro, è la più autentica ragione di fascino. Il cast, pur non all’altezza della direzione, risulta nel complesso godibile. Nei panni della protagonista Annemarie Kremer è una Violanta scenicamente seducente e di buon materiale vocale. La voce è forse di natura più lirica che drammatica ma è decisamente piacevole come timbro e colore e di buona consistenza su tutta la gamma con centri ricchi di suono e acuti luminosi e sicuri. Fraseggio e accento sono curati così come la recitazione; ne risulta un’ottima caratterizzazione del personaggio nonostante un peso vocale forse un po’ limitato per la parte. Analogo limite ma purtroppo molto più evidente per l’Alfonso di Norman Reinhardt, tenore di ascendenza barocca e belcantista alle prese con una parte da autentico heldentenorer. Reinhardt canta molto bene, sfoggiando una tecnica raffinata, musicalità ammirevole, ottimo controllo sul fiato, eleganza nel porgere. Il suo Alfonso è più un elegante cavaliere che un incallito seduttore ma sulle qualità del canto vi è poco da discutere. Quella che manca purtroppo è una presenza vocale adatta alla parte, in quanto la scrittura di Korngold è spesso di natura fortemente sinfonica e le voci si trovano a doversi confrontare con un autentico oceano di suono in cui quella troppo delicata di Reinhardt tende a perdersi. Michael Kupfer-Radecky è baritono dalla voce sonora e potente anche se un po’ grezza che per altro non guasta per il personaggio di Simone e il suo tetragono militarismo. Molto bravo Peter Sonn che canta con voce squillante e luminosa la parte del pittore Giovanni Bracca. Splendida Barbara è Anna Maria Chiuri capace di malinconica nostalgia in “Und der Engel”. Nell’insieme adeguate le parti di fianco e ottima la prova del coro nei brevi ma suggestivi interventi cui è chiamato.
Elegantissimo lo spettacolo di Pier Luigi Pizzi. Il regista traspone la vicenda dal Rinascimento previsto dal libretto all’epoca della composizione. Il tutto si svolge all’interno dell’abitazione di Simone Trovai – elegantissimo nella sua uniforme da capitano di marina – rivestita da velluti rossi e decorata da damaschi antichi mentre sul fondo una grande finestra a oblò riflette la laguna e lascia vedere la vita che scorre fuori dal claustrofobico ambiente. L’ambientazione originaria è comunque presente per evocazione negli abiti della mascherata ma anche nei vestiti delle donne che richiamano le suggestioni neo-rinascimentali e neo-bizantine tornate in auge in quegli anni proprio a Venezia grazie all’attività di Mariano Fortuny. Ne risulta un clima di morbosa eleganza con atmosfere tra il D’Annunzio veneziano de “Il fuoco” e il Kubrick di “Eyes Wide Shut” perfettamente corrispondente al clima di morbosa sensualità della partitura. La recitazione è curata, i gesti ponderati e magniloquenti; la vicenda è svolta con mano sicura e rigorosa senza nessuna caduta.
Una piccola critica si può avanzare nei confronti della scelta di eseguire l’opera da sola, calcolata la brevità del titolo – circa un’ora e venti –. Non sarebbe stato inopportuno un abbinamento magari con qualche atto unico del tempo.