Torino, Teatro Regio, stagione lirica 2019/2020
“IL MATRIMONIO SEGRETO”
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Giovanni Bertati, dalla commedia The Clandestine Marriage di George Colman senior e David Garrick.
Musica di Domenico Cimarosa
Carolina CAROLINA LIPPO
Il signor Geronimo MARCO FILIPPO ROMANO
Paolino ALASDAIR KENT
Il conte Robinson MARKUS WERBA
Fidalma MONICA BACELLI
Elisetta ELEONORA BELLOCCI
Orchestra del Teatro Regio
Direttore Nikolas Nägele
Maestro al fortepiano Carlo Caputo
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Luci Andrea Anfossi
Allestimento Teatro Regio Torino. Produzione originale: Festival della Valle d’Itria – Martina Franca
Torino, 15 gennaio 2020 (prima rappresentazione)
Per rimpiazzare il Flauto magico inizialmente annunciato, il Teatro Regio ha inserito in cartellone alcune recite del Matrimonio segreto di Cimarosa, affidandone la regia allo stesso Pier Luigi Pizzi che in questi giorni sta curando in teatro l’allestimento di Violanta di Korngold. Si è perciò importata la produzione nata l’estate scorsa per il festival della Valle d’Itria, adattata con minimi accorgimenti al palcoscenico chiuso, sul quale, a dire il vero, pare ancor più concentrata ed efficace. Le scene e i costumi identificano l’abitazione di una famiglia contemporanea appartenente alla borghesia danarosa, con velleità intellettuali a cui non corrisponde una reale formazione culturale: questo, almeno, dicono l’arredamento di design e le opere d’arte dei grandi maestri del Novecento esposte alle pareti, contrapponendosi all’atteggiamento frivolo o meschino della maggior parte dei personaggi. Certo, qualche incoerenza inevitabilmente rimane (chi, oggi, scriverebbe una lettera per annunciare il proprio arrivo?); e non si vede perché si siano voluti eliminare pressoché tutti i riferimenti alla sordità di Geronimo ‒ con tagli ad hoc nei recitativi ‒, cancellando uno degli elementi della trama con cui si stimola l’ilarità degli spettatori, per poi suscitare un riso fin troppo sguaiato con pose sessualmente allusive e atteggiamenti da cabaret che meglio si addicono al teatro d’operetta. Ma non si può negare che l’azione sia nel complesso fresca e spigliata, e riesca a trasporre con coerenza ai nostri giorni la commedia borghese settecentesca, sbalzando con efficacia i caratteri dei personaggi, nei quali gli interpreti si sono calati con perspicuità. La naturalezza con cui i solisti hanno saputo rispondere alle richieste registiche, e a far proprio lo spirito del progetto di Pizzi, ha infatti garantito, al di là di qualche imperfezione vocale, la piena riuscita dello spettacolo e il successo di pubblico per tutti.Dal punto di vista più strettamente musicale, i personaggi meglio delineati sono stati Geronimo (Marco Filippo Romano) e il conte Robinson (Markus Werba), ai quali ha giovato la maturità interpretativa, poggiata su solida vocalità, raggiunta dai due baritoni. Il loro duetto, all’inizio del II atto, si è distinto per la vivida caratterizzazione delle figure (il mercante e il conte si disprezzano, e cercano d’approfittare l’uno dell’altro, ma sono in realtà molto simili) e la proprietà di un linguaggio buffo che non scade mai nella caricatura farsesca. Romano ha dato voce con efficacia, nell’aria d’ingresso, al parvenu che occupa con prosopopea la scena per negare, in primo luogo a sé stesso, di non essere preso sul serio nemmeno dalle figlie, e che riscatta la propria umanità nel finale ultimo, quando, rivestendo la voce di colori affettuosi, decide di perdonare Carolina e Paolino. Werba si è distinto per la brillantezza con cui ha tratteggiato Robinson come playboy compiaciuto, cesellando il fraseggio nei passi dialogici e negli assiemi, che sono risaltati più delle arie solistiche: ne sono esempio il quartetto con le donne, o il duetto con Paolino, dove l’assertività tronfia del conte ha fatto da contraltare alla trepidazione del giovane innamorato. Quest’ultimo ha trovato nel tenore Alasdair Kent una voce delicata, di grazia, elegante nel filare morbidamente in mezza voce, ma meno à l’aise nei passaggi più arditi. La matura Fidalma ha avuto nel mezzosoprano Monica Bacelli un’interprete appropriata, dotata di risonanze nel registro grave (adatte a tratteggiare le ancor vive pulsioni della sorella di Geronimo), che hanno compensato uno smalto non sempre lucente. Le due diversissime sorelle Carolina ed Elisetta sono state affidate a due soprani forse più simili di quanto si vorrebbe; ma Eleonora Bellocci (Elisetta) si è distinta per una più marcata punta d’acidità che si addice al carattere della sorella permalosa. Carolina Lippo (Carolina) sfoggia una vocalità spigliata e brillante, che sa dar voce a una ragazza sbarazzina ma sinceramente affettuosa, come mostrano, da un lato, la compiutezza dell’aria in cui prende in giro il Conte, e, dall’altro, il quintetto del II atto, dove il canto della sua interiorità prende il sopravvento sui moduli espressivi buffi degli altri personaggi; resta da ammorbidire il registro acuto, qua e là un tantino spigoloso. Il giovane direttore Nikolas Nägele ha concertato professionalmente, talvolta lasciandosi prendere un po’ la mano a danno di quella scaltra levità settecentesca che, specie nella sinfonia, è stata oscurata da un’eccessiva vorticosità. Un grande successo di pubblico, si diceva, è arriso a tutti. Il pubblico non era tuttavia particolarmente numeroso, poiché ‒ sarà che la rappresentazione non era inserita nei normali turni d’abbonamento, sarà che l’opera era già stata in scena al Regio non troppi anni or sono ‒ il teatro era mezzo vuoto. Un vero peccato.