Parma Teatro Regio, Stagione lirica 2020
“TURANDOT”
Dramma lirico in tre atti, libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, dalla fiaba omonima di Carlo Gozzi.
Musica di Giacomo Puccini
Turandot FRANCE DARIZ
Altoum PAOLO ANTOGNETTI
Timur GEORGE ANDGULADZE
Calaf SAMUELE SIMONCINI
Liù MARTA TORBIDONI
Ping FABIO PREVIATI
Pang ROBERTO COVATTA
Pong MATTEO MEZZARO
Un mandarino BENJAMIN CHO
Principe di Persia DONGMIN SHIN
Prima ancella ALESSANDRA MANICCIA
Seconda ancella GIULIA ZANIBONI
Danzatrici Carlotta Bruni, Marina Frigeni, Laura Gagliardi
Orchestra Filarmonica dell’Opera Italiana “Bruno Bartoletti”
Coro del Teatro Regio di Parma
Coro di Voci bianche Ars Canto Giuseppe Verdi
Direttore Valerio Galli
Maestro del Coro Martino Faggiani
Voci bianche dirette da Eugenio Maria De Giacomi
Regia, coreografia, scene e luci Giuseppe Frigeni
Costumi Amélie Haas
Allestimento del Teatro Comunale di Modena
Sabato 18 gennaio 2020
S’alza il sipario su una scena funebre, con salma in sudario, sullo sfondo. L’ultimo dei pretendenti decapitati. Le teste, delle precedenti mattanze, sono ben allineate, nel centro della scena, in una piattaforma a scomparsa, rosso sangue. Tutto l’allestimento di Giuseppe Frigeri è un “dimenticare Zeffirelli”. La sua Pechino è una spoglia scatola dalle nere pareti, in cui macchie drammatizzanti di colore sono: il rosso tappeto di sangue delle teste mozzate e la cella bianca accecante, nicchia dell’imperatore. La regia di Frigeri impone, in questa desolazione, una visione alquanto cerebrale: fisica e psichica. Nessun contatto fisico tra i protagonisti, né per amore né per violenza. La povera Liù, neppur viene sfiorata da torturatori. Un “arrivista” Calaf se ne guarda bene dall’abbracciare, dopo averla “sgelata”, l’ammansita principessa; corre direttamente verso il trono per assicurarsi i successivi centomila anni di impero. I mimi e i figuranti si muovono in una sorte di teatro Kabuki, movimenti a scatto, pose “alla Bob Wilson”. Il coro rimane invisibile, mimetizzato dalle nere quinte laterali: “nessuno” piange e o inneggia!.
I costumi di Hamélie Haas e le luci, dello stesso regista, sono coerenti con l’impostazione generale: essenziali, anonimi e freddi. Gli elementi decorativi sono rigorosamente banditi.Ma veniamo al cast:la Liù di Marta Torbidoni, spicca per la bella voce di soprano lirico. Le sue due arie sono state, e così volle il compositore, le uniche oasi amorevoli ed amorose della serata. Se il pubblico non le ha gratificate di applausi immediati è solo per rispettare la strepitosa enfasi della coda orchestrale. Nei saluti finali, lo stesso pubblico si è però ben ricordato dello splendido si bemolle filato di “perché un dì nella reggia m’hai sorriso” e dello slancio del “Tu che di gel”, e gli applausi sono stati pieni e convinti. Il Calaf di Samuele Simoncini, ha il luminoso timbro del tenore-tenore italian-style, merce rara in questi tempi. La sua è una voce chiara ed eroica che incanta quando si intenerisce nei “non piangere Liù” sfoderando dei magnifici centri e convince quando si spinge, senza sforzi, oltre il pentagramma. La dizione, rende giustizia ai versi di Adami/Simoni. Il Simoncini, come da tradizione consolidatissima, atteso al varco del “Nessun dorma”, la vince con acuti sfoggiati in tutta la loro luminosa bellezza. La Turandot di France Dariz, dalla figura slanciatissima, ha voce robusta ma una parca offerta di armonici. Le note le escono tutte e anche il livore del secondo atto. Ben diversa la resa nello scioglimento amoroso del finale Alfano (qui nella versione tagliuzzata per più di 2 terzi). In questa situazioni i panni della ex-gelida principessa stanno alquanto strettini. Il trio delle maschere, inevitabile omaggio all’originale gozziano e alle mode floreal-orientali belle époque, è sostenuto dai vivaci, frizzanti: Ping – Fabio Previati; Pang – Roberto Covatta; Pong – Matteo Mezzaro. Spersi tra “case nell’Honan”, bei “laghetti blu” e “Chiù”, i due tenori e un baritono, con gusto raffinatissimo, ricamano il pentagramma. Oasi di puro piacere auditivo. Il resto del cast vede l’Altoum “senile”, come richiesto dalla parte e dalla tradizione, di Paolo Antognetti; come Timur il valente basso profondo georgiano George Andguladze. Corretti gli interventi di Benjamin Cho (Un mandarino), Alessandra Maniccia, Giulia Zaniboni (le due ancelle) e Dongmin Shin (il principe di Persia). Il direttore Valerio Galli, alla testa della Filarmonica dell’Opera italiana Bruno Bartoletti, ha fornito, coerentemente con l’impostazione del regista, una lettura precisa ed essenziale. Bando a trionfalismi e a svenevolezze. Gli accompagnamenti flessibili e discreti hanno lasciato spazio e libertà alle voci. Non è mancato il deciso sostegno ai cori e il peso sonoro nei topici momenti solenni e cerimoniali.
I cori di voci bianche e del teatro Regio, condotti rispettivamente da Eugenio Maria Digiacomi e da Martino Faggiani, sono formidabili nell’assicurare un coerente e convincente clima sonoro all’opera. Nel “là sui monti dell’est”, del primo atto, le voci bianche hanno dispiegato tutto il fascino paesaggistico che la pagina richiede. Un teatro esaurito in tutti i settori ha salutato con calore e cortesia tutti gli interpreti (anche al Regio di Parma le stagioni degli improperi e degli entusiasmi sono estinte?…Antichi riti e miti), più convinti e vivaci per la Torbidoni, Simoncini e Galli.