Torino, Teatro Regio. Stagione d’opera e di balletto 2019/20
“CARMEN”
Opéra comique in quattro atti di Henry Meilhac e Ludovic Halévy dall’omonima novella di Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet
Carmen VARDUHI ABRAHAMYAN
Don José ANDREA CARÉ
Michaëla GIULIANA GIANFALDONI
Escamillo LUCAS MEACHEM
Frasquita SARAH BARATTA
Mercédès ALESSANDRA DELLA CROCE
Il Dancaïre GABRIEL ALEXANDER WERNICK
Il Remendado CRISTIANO OLIVIERI
Moralès COSTANTINO FINUCCI
Zuniga GIANLUCA BREDA
Lillas Pastias ALDO DOVO
Andrès MARCELLO SPINETTA
Una guida GIULIO CAVALLINI
Orchestra, coro del Teatro Regio, coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi” di Torino
Direttore Marcello Sagripanti
Maestro del coro Andrea Secchi
Maestro del coro di voci bianche Claudio Fenoglio
Regia Stephen Medcalf
Scene e costumi Jamie Vartan
Luci Simon Corder
Allestimento del Teatro Lirico di Cagliari
Torino, 15 dicembre 2019.
Dopo l’apertura di stagione con “Les Pecheurs des perles” è giunta l’ora di “Carmen” in quest’ autunno torinese nel segno di Bizet. Se per il titolo precedente si trattava della prima assoluta al Regio, la sorella maggiore è invece tra quelli più rappresentati sul palcoscenico torinese anche limitandosi agli ultimi anni. La sicurezza del legame esistente fra quest’opera e il pubblico ha spinto i responsabili artistici del Regio a una scelta coraggiosa e ammirevole: l’esecuzione integrale dell’opera senza tagli e con tutti i parlati originali. Scelta che non solo permette di godere l’opera come originariamente è stata concepita ma che dà allo svolgimento una logicità e una consequenzialità dei passaggi narrativi che tende a perdersi quando si attuano riduzioni della parte dialogata.Proveniente dal Teatro Lirico di Cagliari, lo spettacolo di Stephen Medcalf si fa apprezzare per rigore e pulizia. In un’opera già così ricca e quasi ridondante in sé è buona cosa per un regista non sovraccaricare ulteriormente la parte visiva di quel folklore di maniera che di “Carmen” rappresenta forse l’elemento più dotato per concentrarsi sulla scabra essenzialità delle relazioni umane che giustamente sono il centro del lavoro del regista inglese.
Sul piano cronologico la vicenda è trasposta agli anni della guerra civile spagnola, con atmosfere che ricordano quelle delle pagine di Hemingway. La trasposizione non stride assolutamente con la vicenda narrata – il libretto dell’opera manca di quei precisi dati d’inquadramento storico che ritroviamo nella novella di Merimée – e permette al regista di evitare facili bozzettismi. L’impianto scenico è essenziale: un grande muro curvilineo già chiude la scena all’apertura del sipario, muro che sarà quello della plaza de toros in cui si concluderà la vicenda. Questa prima struttura si apre lasciando spazio a un panorama spoglio e polveroso, con le calde luci del Mediterraneo che riflettono sui muri scalcinati della manifattura dei tabacchi mentre nel II atto le stesse strutture diverranno i bastioni su cui si appoggia la locanda di Lillas Pastias. Il III atto cambia registro: con un gran colpo di teatro la scena si trasforma in un’improvvista pista aeronautica fra le montagne dove un aereo militare inglese atterra per rifornire di armi i compagni di Carmen, più guerriglieri repubblicani che semplici contrabbandieri. Si ritorna all’essenzialità nel IV con pochi lampioni a evocare la piazza su cui tornano a chiudersi le mura già viste in apertura dietro alle quali si compirà il delitto, non visto e per questo ancor più presente come nella tragedia attica classica. Molto curata la recitazione tanto dei solisti quanto – cosa più rara – delle masse. I costumi sobri e pienamente funzionali di Jamie Vartan (autore anche delle scene) completano alla perfezione la parte visiva.
Al debutto sul podio del Teatro Regio Giacomo Sagripanti fornisce una prova bifronte. Il direttore si fa apprezzare per la capacità di far suonare molto bene l’orchestra, per un colore orchestrale molto bello, caldo e morbido e per un tocco elegante molto francese. I tempi sono ampi, distesi, ma mai troppo slentati, il canto ben sostenuto. Di contro a tanto mestiere si contrappone ben poca fantasia; il tutto appare fatto molto bene ma è mancato quel guizzo di personalità che avrebbe potuto illuminare la prestazione. L’orchestra del Regio suona con la ben nota qualità e come sempre ottima la prova sia del coro sia del coro di voci bianche molto impegnato anche sul piano scenico in questa produzione.
Varduhi Abrahamyan sveste per una volta i panni guerrieri con cui è solita cimentarsi nel repertorio belcantista per indossare quelli della seduttrice operistica per antonomasia anche se qualche cosa di una particolare vocazione ai ruoli en-travesti si riconosce in un gesto spesso quasi virile che però non risultava improprio nel taglio complessivo dello spettacolo. La voce è innegabilmente molto bella, essendo un autentico mezzosoprano dal timbro scuro e profondo e dall’emissione morbida e omogenea mentre la frequentazione belcantista si palesa nella qualità complessiva del canto. Perfette dizione e prosodia – tanto nel canto quanto nel parlato – e presenza scenica magnetica. Sul piano interpretativo è evidente l’idea che la cantante ha del ruolo; la sua è una Carmen meno femme-fatale del solito, molto più incarnazione selvaggia e quasi ferina della libertà (in questo pienamente in linea con i riferimenti storico-politici dello spettacolo) che archetipo erotico-seduttivo.
Don José è affidato al giovane torinese Andrea Caré, allievo di Raina Kabaiwanska. Il tenore dispone di un materiale vocale decisamente interessante. La natura della vocalità è più lirica che drammatica ma mostra una buona robustezza anche nel settore medio grave con suggestive bruniture timbriche. La preparazione tecnica è impeccabile e si apprezza un canto ottimamente sostenuto sul fiato e un’emissione omogenea ed elegante che ha come punto di maggior risultato un’impeccabile lettura della “Romanza del fiore” arricchita da suggestive mezze voci. Sul piano interpretativo manca ancora un po’ di maturità; certe intuizioni interpretative appaiono più abbozzate che compiute anche se l’idea complessiva del personaggio, un ingenuo sconvolto da un’esperienza talmente grande da risultargli incomprensibile, nell’insieme, funziona e con un po’ più di esperienza potrà essere ancor meglio centrata.
Giuliana Gianfadoni è una Micaëla virginale. Voce piccola ma luminosa e cristallina, ottimo controllo del fiato – molto bella la smorzatura con cui ha chiuso l’aria del III atto – accento accorato e partecipe. Imponente nel fisico e di buona baldanza vocale, l’Escamillo di Lucas Meachem è decisamente troppo carente sul piano della personalità e della qualità interpretativa rendendo il personaggio decisamente poco affascinante.Ben centrato il quartetto dei contrabbandieri composto da Sarah Baratta (Frasquita), Alessandra della Croce (Mercédès), Gabriel Alexandeer Wernick (Il Dancaïre) e Cristiano Olivieri (Il Remendado). Riuscito sia vocalmente che scenicamente lo Zuniga di Gianluca Breda, solido e con la giusta dose di simpatia il Moralès di Costantino Finucci e pienamente funzionali gli attori cui erano affidati i piccoli ruoli solamente parlati e che per una volta non hanno dovuto limitarsi alla parte mimica. Sala gremita e successo convinto per tutti gli interpreti; l’anno del Regio si chiude con un sincero successo in attesa delle interessanti proposte previste per i prossimi mesi.