“SuMemArt” è la Memoria dell’Arte, l’idea progettuale del fotografo Luigi Bilancio. Rappresentare l’arte nell’arte, le linee estetiche della danza immerse nella maestosità della storia dell’arte campana, al fine di creare maggiore consapevolezza e sensibilità verso i nostri patrimoni materiali e immateriali. Usare la danza come linguaggio di comunicazione e raccontare, attraverso la costruzione di immagini composite, la grande cultura campana ricca di storia non sempre conosciuta, se non addirittura dimenticata da molti. L’idea fotografica è sollecitare interesse e curiosità per la memoria dell’arte e della storia. Protagonisti sono i corpi dei danzatori del Teatro di San Carlo di Napoli, punto di riferimento storico per l’arte della danza, nell’intento di avvicinare, attraverso un linguaggio visivo moderno, le persone alla antica cultura italiana meridionale dei complessi storici monumentali. L’anfiteatro Campano, il secondo più grande d’Italia dopo il Colosseo, è uno dei luoghi storici e poco conosciuti della Campania in cui Bilancio ha condotto i danzatori sancarliani Danilo Notaro, Tommaso Palladino e Sara Gison, che rappresentano l’arte in una fusione artistico-storico-culturale destinata a un pubblico di giovanissimi che amano la danza, ma che spesso trascurano il grande patrimonio della nostra terra, e a un pubblico ben più ampio amante dell’arte. La dimostrazione ulteriore che la Campania è uno dei luoghi del pianeta a maggior densità di risorse culturali e monumenti. L’anfiteatro campano sarà il primo testimone di una serie di scatti. Per ogni complesso monumentale saranno coinvolti alcuni danzatori e quelli scelti avranno una funzione rappresentativa. La dottoressa Ida Gennarelli, direttrice del Museo Archeologico dell’ Antica Capua, è stato il fulcro politico di questo progetto ed ha aperto alla danza l’importante complesso monumentale dell’antica Capua.
Luigi Bilancio (Dance Photographer) si racconta
Mi ritrovo davanti alla tastiera a raccontarmi e questa è la cosa più difficile per me. Sono un appassionato dell’arte della fotografia e ho iniziato a fotografare la danza per “necessità”, o meglio per amore. L’amore della mia vita è una tersicorea: all’età di diciotto anni ho conosciuto la mia attuale moglie, oggi insegnante di danza. Pur di starle vicino, all’epoca, sono stato per mesi dietro uno specchio segreto di una sala di danza a vederla studiare. Lì ho potuto ammirare quel mondo fatto di sacrificio e dedizione, una dimensione fuori dal tempo, ma che nei secoli non è mai completamente mutata sia nella sostanza che nella forma. Dico sempre che mia moglie mi ha dato la possibilità di affacciarmi a questo mondo e ammirarne la bellezza, ma anche i sacrifici. Nel 2014 ho elaborato il mio primo progetto fotografico Outre la Danse – il bello è solo l’inizio del tremendo, nato dal desiderio personale di raccontare il ‘dietro le quinte’ della danza, evidenziandone il sacrificio, la passione, il dolore, la solitudine e, a volte, anche la ‘pazzia’. Ho voluto la danzatrice in un manicomio abbandonato, perché quel luogo – di abbandono e abbandonato – venivano lasciate morire dalla società persone malate, persone definite pazze o semplicemente diverse. Per anni ho visto applaudire il pubblico a fine spettacolo solo per elogiare l’esecuzione dei danzatori, ma se il pubblico sapesse quanto sacrificio, quanta passione, quanta devozione e dedizione serve per arrivare sul palcoscenico, allora questa società dovrebbe alzarsi in piedi in un interminabile applauso per onorare quei sacrifici. Nel 2016 ho voluto raccontare un altro aspetto della danza con Cover – Radicata al corpo come albero al terreno: è la maschera, ovvero la sovrastruttura con la quale ci presentiamo, ci relazioniamo alle persone e che spesso dimentichiamo di avere e a volte non permette di mostrarci per quello che siamo. Ma se la maschera, all’improvviso, si sgretolasse e mostrasse l’essenza e la purezza, cosa succederebbe? Ho giocato con continue contrapposizioni di colore e sesso per suscitare nell’osservatore continue domande e altrettante curiosità. Nel 2018 è stata la volta di AQVA – L’istante infinito di un momento, un progetto che ha visto il coinvolgimento di alcuni danzatori del Teatro di San Carlo, ai quali ho chiesto di realizzare con l’acqua una serie di immagini fotografiche che riproducessero, attraverso le gocce d’acqua, la dinamica della danza al di là della stasi di una immagine. Dal marzo del 2019 il progetto è in mostra presso il Teatro San Carlo.