Richard Strauss (Monaco di Baviera 1864 – Garmisch-Partenkirchen 1949)
Die ägyptische Helena (Elena egizia) op. 75, opera in due atti su libretto di Hugo von Hofmannsthal
Prima rappresentazione: Dresda, Staatsoper, 6 giugno 1928.
Dopo l’incursione nel teatro borghese con Intermezzo del quale Strauss aveva scritto il libretto interrompendo l’ormai consolidata collaborazione con Hofmannsthal, i due artisti ritornarono a lavorare insieme a un nuovo progetto nel 1923. In una lettera di Hofmannsthal del 4 febbraio di quell’anno si legge, infatti:
“Caro dr. Strauss
Ho trascorso in perfetta pace tutto gennaio qui in campagna, scendendo in città di quando in quando per non più di mezza giornata. Ora devo fare un breve viaggio in Germania, e a Garmisch leggerò la mia nuova commedia a Pallenberg.
Il pensiero di procurarLe un soggetto operistico nuovo ed efficace (da trovare è solo il soggetto, il resto viene da sé), di carattere leggero, qua e là in stile di conversazione, non l’ho accantonato per indifferenza o addirittura per disaffezione – La prego di credermi. Al contrario, caro amico, mi auguro di tutto cuore di portare a compimento questo lavoro – che dovrebbe essere – non appena sia trovato il filo – attraente e leggero. Oggi, infatti, più che mai saprei quello che conta, e sarei capace di trattare tutto con mezzi concisi e con agile eleganza. È però singolare che un tempo sapessi trovare con tanta facilità un soggetto appropriato – oggi mi è molto più difficile. Se a tarda sera Ella mi guardasse da fuori attraverso la finestra, mi vedrebbe tutto alacre e solerte: mentre sfoglio avanti e indietro le opere di Luciano, esamino vecchi racconti di Stendhal e Musset, scorro i libretti di Scribe – c’è da sperare che un impegno tanto umile e fermo sia compensato alla fine con una buona idea. Non che le idee mi manchino – ma tutte appartengono alla sfera del teatro recitato. In questo campo le trame e gli abbozzi si stanno accumulando fino a formare piccole torri” (Epistolario, cit., pp. 513-514).
Trovare un soggetto per una nuova opera non fu semplicissimo, anche perché i desiderata di Strauss erano particolarmente esigenti, come si evince da un’altra lettera di Hofmannsthal del 27 febbraio dello stesso anno, nella quale il poeta fa riferimento a una commedia di argomento tardo-antico, graziosa e anche un po’ spinta, con molto parlato, con qualche cerimonia allegra e graziosa, una festa o una cosa del genere (Ivi, p. 515). Strauss, inoltre, avrebbe voluto che questa nuova opera avesse alcuni elementi che si richiamassero all’operetta, come si può evincere sempre da un’altra lettera del 1° aprile del 1923:
“Escogitare per l’operina leggera un breve terzo atto fine e brillante (da collegare direttamente alla fine del II) non mi spaventa affatto – nel mio lavoro il difficile mi sembra solo l’invenzione dello stile – ma in ciò mi fanno da guida il Rosenkavalier da una parte e dall’altra l’Ariadne e il Bürger als Edelmann – e poi sono tutte cose da trattare con buon umore e con una certa spregiudicatezza.
Ciò che Ella mi ha detto di recente sull’abisso insuperabile che c’è tra la Sua musica, anche quando Ella scrive musica semplicissima, e l’operetta corrente –non c’era nemmeno bisogno di dirlo – si ha già torto a parlare insieme dell’una e dell’altra” (Ivi, pp. 515-516).
È nel mese di aprile che i due artisti definirono il soggetto dell’opera ed è sempre Hofmannsthal a rivelarcelo in un’altra importantissima lettera del 14 settembre 1923, nella quale si parla in modo dettagliato della nuova opera:
“Già da tempo pensavo di donarLe la gioia della Helena nell’anno in cui Ella fa sessant’anni e io cinquanta. Ma è incerto, si sa, tutto ciò che dipende dall’ispirazione. In aprile, quando Le ho raccontato il soggetto, con l’intuito giusto Ella ha detto: il primo atto è buono e mi piace – il resto ancora non è pronto. A quel soggetto ho sempre dedicato i miei pensieri nei momenti buoni – e ora possiedo dentro di me il testo completo; il secondo atto è buono, almeno quanto il primo – il terzo è cortissimo: lì si arriva alla piena conciliazione, nel mezzo di una festa. Ma è meglio che lo dica subito: più ci penso, più sento la necessità di fondere il terzo atto col secondo. È questo il finale solenne che ci vuole per il secondo e gli dà la giusta tensione – e poiché nella festa c’è anche un profondo significato per i personaggi – ecco che esso fornisce a tutto l’atto uno scopo intrinseco, lo scopo a cui tende – nella dinamica e nella psicologia. – Ne risulta la forma insolita di due atti molto densi e di durata pressoché uguale. Il tempo complessivo è inferiore a quello del Rosenkavalier ma supera l’Ariadne; ciò che ho in mente è più o meno la lunghezza di un’opera di Puccini.
I personaggi principali del I atto li ricorda: la maga egizia Aithra, amante di Poseidone; Elena e Menelao. Il secondo atto si svolge in un’oasi del deserto vicino all’Egitto – lì la coppia degli sposi ringiovaniti è stata trasportata dalla maga per una breve luna di miele – è un angolo meraviglioso della terra, dove non è giunta ancora la notizia della guerra di Troia, diffusasi in tutta l’Europa, e neppure il nome di Elena: qui entrano in scena due personaggi: lo Sceicco (il principe) dell’oasi e il suo figlio più giovane. Entrambi si innamorano di Elena. Senza voler stabilire nessun impegno, e solo per chiarire la mia idea dei personaggi, trascrivo qui una distribuzione delle parti:
Elena – Jeritza.
Menelao (che è cavalleresco e attraente al massimo) – Oestvig: (Tauber?).
Aithra – Schöne.
Lo Sceicco anziano – Duhan.
Lo Sceicco giovane – Jerger.
Lo stile deve essere leggero; in certe parti vicino alla conversazione del Rosenkavalier; ma non arriva mai al tono serio di Ariadne (opera). Ci sono poi numerose occasioni per duetti e per terzetti. Se il testo non mi riesce male, queste pagine liriche saranno inconfondibilmente diverse dalla leggerezza e dall’eleganza psicologica della conversazione. Quanto più lieve, quanto più spensierato sarà il Suo animo, tanto meglio verrà il lavoro; in ogni lavoro un artista tedesco è già più pesante di quanto dovrebbe. […]
Quasi ogni giorno aggiungo qualcosa di apprezzabile al progetto” (Ivi, pp. 519-520).
Se non fu facile trovare il soggetto, non meno complesso appare ricostruire le diverse fonti d’ispirazione, tra le quali, oltre ai Dialoghi di Luciano, citati, in precedenza, dallo stesso Hofmannsthal, figurano certamente il Faust di Goethe, dove Elena è assunta a simbolo della classicità, e la sua “sorella maggiore” omerica che, nel IV libro dell’Odissea, appare a Telemaco in viaggio alla ricerca del padre Ulisse. Nel libretto di Hofmannsthal queste fonti sono sapientemente mescolate con una tradizione risalente a Erodoto, a Stesicoro e alla tragicommedia Elena di Euripide, in cui si immagina che la mitica moglie di Menelao sia stata nascosta da Ermes in Egitto e che al suo posto sia stata inviato a Troia un fantasma dotato di respiro, fatto con un pezzo di cielo, […] un vuoto miraggio, creato sempre dal dio. Tutto questo materiale è trattato da Hofmannsthal con un tono leggero che guarda all’operetta, La belle Hélène di Offenbach, trovando in Strauss una totale condivisione d’intenti, come si evince da questa richiesta avanzata dal compositore nella lettera dell’8 settembre 1923:
“Spero che a Garmisch mi aspetti Helena e spero che ci siano graziosi inserti di balletto; anche qualche coro elegante di elfi e di spiriti sarebbe benvenuto”. (Ivi, p. 518)
Hofmannsthal, in realtà, consegnò il libretto del primo atto solo il 15 ottobre 1923, ma Strauss non fu particolarmente rapido nel comporre la partitura che fu ultimata l’8 settembre 1927, ben quattro anni dopo l’inizio del lavoro. A contendersi la prima furono i teatri di due importanti città, Vienna e Dresda, con la seconda che alla fine ne ospitò il debutto il 6 giugno 1928 sotto la direzione di Fritz Busch e con la regia di Otto Erhardt, futuro biografo di Strauss; l’opera ebbe un grande successo e l’esecuzione fu particolarmente ammirata, nonostante il cast non corrispondesse a tutti i desiderata del compositore. Strauss, infatti, aveva scritto la parte di Helena per il soprano Maria Jeritza già protagonista di altre premières di sue opere, ma le elevate pretese economiche di quest’ultima indussero il teatro ad ingaggiare Elisabeth Rethberg che, in quest’occasione, fu affiancata da Curt Taucher (Menelao), Annelise Petrich (Ermione), Maia Rajdi (Aithra), Friedich Plaschke (Altair).
L’opera – Atto primo
Come l’Elektra si era aperta nel nome di Agamennone, l’Elena Egizia esplode nel segno di Menelao, la cui ansia viene rappresentata dalle angoscianti battute iniziali. La scena si svolge in una piccola isola di fronte all’Egitto, dove la ninfa Aithra (Etra), introdotta da un’orientaleggiante tema dell’oboe, si rivolge, in una scrittura intrisa anch’essa di elementi di ascendenza orientale, al suo compagno Poseidone che spera possa tornare presto da lei (Das Mahl ist gericht / Il banchetto è pronto). Subito dopo una Conchiglia onnisciente, accompagnata da una forma di moto perpetuo dei violoncelli e da un disegno ondeggiante che richiama appunto il moto ondoso del mare, informa la ninfa che Poseidone è trattenuto presso gli Etiopi e sarà inutile attenderlo (Drei Tauben / Tre colombe). Aithra è disperata e una sua inserviente le propone di bere il succo di loto, una pozione magica che serva a far dimenticare. Nel frattempo la Conchiglia racconta che sta vedendo su una nave Menelao sul punto di uccidere furtivamente la moglie Elena. Aithra, allora, animata dalla speranza di poter ospitare questi due illustri personaggi nella sua reggia, scatena, avvalendosi dei suoi poteri magici, una tempesta che possa farli naufragare sulla sua isola. La descrizione della tempesta, rappresentata da Strauss con una scrittura onomatopeica alla quale non è estranea nemmeno l’eco di elementi tematici che si richiamano all’agitazione di Menelao, non è un interludio sinfonico, come nelle opere precedenti, in quanto la ninfa Aithra sovrintende alla tempesta con il suo canto a volte spiegato a volte franto. Mentre gli echi della tempesta si spengono in solitari e lontani tuoni rappresentati dal cupo suono dei timpani, i due mitici coniugi spaesati fanno il loro ingresso nel palazzo della ninfa. Introdotto dal suono cupo e interrogativo del clarinetto basso a cui risponde il clarinetto “soprano” a cui è affidato un tema usato per accompagnare le parole (Bei jener Nacht / Da quella notte) cantate da Elena quasi ad evocare il passato che incombe sul loro rapporto, Menelao si chiede chi sia (Wo bin Ich? / Chi sono io?), certamente deluso perché tradito da quella moglie per la quale aveva scatenato la guerra di Troia col solo desiderio di riprenderla con sé dopo il rapimento perpetrato da Paride da lui ucciso. Nel lungo “duetto”, che si fa più concitato nella parte conclusiva, si apprende che Menelao non ha rinunciato al suo proposito di vendicare il tradimento della moglie e, quindi, alla sua intenzione di ucciderla, mentre Elena, ancora innamorata del marito, si libra in liriche dichiarazioni d’amore spesso accompagnate dai nobili archi che riprendono e sviluppano il tema di Bei jener Nacht. Menelao, invece, rimane freddo alle parole della donna come il colore algido dei legni che accompagna i suoi interventi più prosastici e tendenti al parlato. Senza farsi vedere Aithra ascolta la conversazione dei due coniugi e, irritata con il re di Sparta, decide di aizzargli contro i folletti affinché di notte lo perseguitino e lo deridano. Questi sembrano materializzarsi nei guizzanti disegni degli archi che accompagnano le parole della ninfa. La loro apparizione, scandita dall’intervento di un coro di Elfi, confonde Menelao al punto tale da indurlo a uscire fuori per inseguire due ombre che ai suoi occhi allucinati appaiono come Elena e Paride in fuga. Rimasta sola con Elena, Aithra si presenta svelandole anche dove si trovi (Du bist in Poseidons Haus / Tu sei nella reggia di Poseidone). Mentre Menelao è tormentato dai folletti, dei quali si sentono le risa in eco, la ninfa, che mostra una sconfinata ammirazione per la regina greca al cui lirismo sembra uniformarsi in molti passi di questo “duetto”, decide, facendo ricorso sempre ai suoi poteri magici, di ridonarle la primitiva bellezza. Subito dopo, sempre in una scrittura lirica di sapore orientaleggiante, le offre la pozione della Dimenticanza che la fa addormentare. Accompagnate da un brevissimo interludio sinfonico caratterizzato da alcuni temi precedentemente esposti tra cui quello guizzante dei folletti, alcune ancelle della ninfa pongono Elena sul letto di Aithra, dove viene vestita con uno splendido abito.
Ancora in stato confusionale, Menelao rientra nella sala del palazzo (Im weissen Gewand / In bianchi abiti), dove Aithra lo informa che è suo ospite (Fürst von Sparta, du bist mein Gast / Principe di Sparta, tu sei mio ospite). Subito dopo la ninfa fa bere al suo illustre ospite un succo di loto, aggiungendo che sua moglie giace addormentata nel suo letto. Menelao, tormentato ancora dai folletti guizzanti e adirato, viene placato da Aithra che gli racconta la falsa storia secondo la quale Elena non era mai stata a Troia con Paride, dal momento che era stata ospitata nel castello di suo padre dove aveva dormito sognando Menelao. L’eroe acheo, però, non è convinto nonostante la pozione e non crede ai suoi occhi, quando, dopo un breve interludio sinfonico che accompagna il raggiante ingresso di Elena, vede la moglie. Non sa, infatti, se si trova di fronte alla moglie o a un fantasma. L’ingresso di Elena è marcato quasi da un’aura di sacralità con la presenza solenne dell’organo e degli elfi che l’accolgono intonando un coro (O Engel / O angelo) dalla ieratica scrittura omoritmica, mentre Aithra, per convincere Menelao, non ancora del tutto persuaso, ripete la storia della sostituzione facendo, nel contempo, capire ad Elena cosa aveva raccontato al marito. Questo terzetto, all’interno del quale appaiono anche gli Elfi, si caratterizza per una scrittura contrappuntistica estremamente raffinata. Nonostante il tema iniziale dell’ira di Menelao riecheggi più volte in orchestra, l’eroe acheo si lascia convincere e alla fine i due coniugi si riappacificano. La donna, tuttavia, appare preoccupata perché teme che Menelao, una volta solo con lei nella reggia di Sparta, possa essere di nuovo aggredito dai fantasmi del passato. Aithra, allora, trova una nuova soluzione: decide, infatti, di far trascorrere ai due coniugi una seconda luna di miele in una tenda incantata ai piedi delle montagne dell’Atlante e, per far ciò, li addormenta dopo aver raccomandato ad Elena di bere lei stessa e di far bere al marito la pozione della dimenticanza. La scena assume contorni wagneriani con momenti d’intenso cromatismo e una scrittura orchestrale particolarmente curata dal punto di vista contrappuntistico. L’atto si chiude in un’atmosfera magica su un rassicurante accordo di mi maggiore.
Atto secondo
Il tema, che aveva caratterizzato il primo duetto tra Elena e Menelao, qui riproposto in una forma eroica grazie alla perorazione orchestrale, apre il secondo atto che si svolge in una tenda incantata. Qui Elena è raggiante per questa seconda luna di miele che il fato le ha concesso di vivere (Zweite Brautnacht / Seconda luna di miele). Questo momento solistico, caratterizzato dai temi già uditi nel primo atto, segna quasi l’apoteosi di Elena attraverso anche una scrittura orchestrale particolarmente raffinata con la celesta che evoca le stelle della notte e il violino che sottolinea le parole mi ha trasformato in una fanciulla. Un tema contorto, già udito nel primo atto a marcare i dubbi di Menelao e qui affidato al corno inglese, segna il risveglio dell’eroe che appare spaesato (Wo ist das Haus? / Dov’è la casa?). In realtà Menelao crede di vivere una realtà diversa da quella di cui è protagonista; crede, infatti, di aver ucciso Elena e di avere accanto una specie d’illusione con la quale non vuole intrattenere alcun rapporto. A nulla valgono le parole di Elena che vengono sopraffatte dal tema dell’ira di Menelao il quale, da parte sua, vorrebbe andarsene, ma è fermato da Altair, principe delle montagne, inviato da Aithra per rendere omaggio all’illustre coppia (Mir ist befollen).
Introdotto da un’icastica e onomatopeica cavalcata orchestrale, l’uomo, come del resto tutti i suoi guerrieri, s’innamora di Elena al cui fascino non resiste nemmeno il figlio Da-ud, quasi incantato come l’accompagnamento orchestrale che sottolinea le sue parole che si librano in un episodio lirico. Strauss avrebbe voluto affidare questo personaggio a un mezzosoprano en travesti, ma Hofmannsthal s’impuntò perché il compositore scrivesse una parte maschile. Menelao, sempre in stato confusionale, crede di vedere Paride nel giovane (Paris ist da / Ecco Paride).
Perdutamente innamorato di Elena, Altair, desiderando di restare solo con la donna, organizza una caccia in onore di Menelao al quale dà, come compagno, il figlio Da-ud che, pur innamorato di Elena, è trattato dalla donna come un fanciullo; la caccia, però, risveglia brutti ricordi nell’animo di Menelao che, proprio al suo ritorno da una caccia, non aveva più trovato la moglie. Rimasta sola, la donna viene raggiunta subito da Aithra (Schweig! / Taci!) per avvertirla dell’errore commesso dalla sua serva la quale non le aveva dato solo il filtro dell’oblio, ma anche quello della memoria. Tagliato nella parte conclusiva nell’edizione in ascolto, il dialogo tra le due donne, piuttosto frammentario dal punto di vista musicale, non mostra particolari spunti se non la ripresa di elementi cromatici utilizzati in precedenza dal compositore ma qui non trattati in modo tale da conferire unità all’insieme. Approfittando dell’assenza di Menelao, Altair si presenta da Elena e, per conquistarla, le offre un banchetto in suo onore, ma trova il netto rifiuto della donna; anche questo passo, che, tuttavia, si distingue per una raffinata scrittura sinfonica, non brilla per unità e soprattutto per aperture liriche (uno dei rari momenti è, infatti, lo squarcio lirico affidato alle due donne), nonostante la perizia contrappuntistica del compositore nel riproporre molti dei temi ascoltati in precedenza.
Un breve interludio sinfonico, costruito interamente sul tema utilizzato nel primo duetto conduce a un nuovo confronto tra i due coniugi. Elena accoglie il marito dolcemente (Mein Gelibeter! Menelas! / Mio amato! Menelao!), ma questi, su un misterioso tremolo degli archi, appare spaesato per la sovrapposizione nella sua mente di realtà diverse. Alla fine di questo passo, nel quale Strauss sembra abbandonare la sua vena sinfonica a favore di una scrittura più intimistica con ampi squarci lirici, giungono i servi di Altair per annunciare in modo solenne e marziale che durante la caccia al falco e alla gazzella, simboli rispettivamente del maschile e del femminile, Menelao ha ucciso Da-ud avendolo creduto Paride. Elena, allora, cerca di far capire a Menelao ciò che ha fatto e alla fine gli offre la pozione del ricordo che l’eroe accetta nella speranza che sia un veleno ritenendo che solo la morte possa ricongiungerlo alla moglie ritenuta morta per sua mano. La bevanda fa risvegliare nell’eroe i sentimenti di vendetta che l’orchestra rappresenta icasticamente con la ripresa del tema iniziale dell’opera, ma è fermato dall’abbagliante bellezza di Elena che musicalmente si esprime con il lirico tema che aveva contraddistinto il loro primo “duetto”. Menelao non riesce a resistere alla bellezza della moglie della quale l’orchestra sembra rappresentarne l’apoteosi grazie alla ripresa di temi già esposti nel duetto del primo atto qui rielaborati in una scrittura cromatica di ascendenza wagneriana. Annunciato da una breve ripresa dell’onomatopeica cavalcata che aveva introdotto il suo primo ingresso nel secondo atto, Altair entra in scena per tentare ancora una volta di separare i due coniugi con la forza (Zu mir das Weib! A me quella donna!). Questo suo tentativo risulta vano sempre per l’intervento di Aithra che si avvale dell’aiuto dei guerrieri di Poseidone. Nel frattempo sempre Aithra conduce al cospetto dei due coniugi la loro figlioletta Ermione su un etereo e puro accompagnamento degli archi che sembra rappresentare il candore della famiglia appena ricomposta. Ormai la serenità coniugale è raggiunta e i due coniugi possono cantare omoritmicamente e all’ottava un inno all’amore, per la verità piuttosto convenzionale, con il quale l’opera si conclude.