“Les Vêpres siciliennes” inaugurano la stagione dell’Opera di Roma

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2019/2020
“ LES VÊPRES SICILIENNES”
Opera in cinque atti,
libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Musica di Giuseppe Verdi
La Duchesse Hélène ROBERTA MANTEGNA
Ninetta IRIDE DRAGOTI
Henri  JOHN OSBORN
Guy de Montfort ROBERTO FRONTALI
Jean de Procida MICHELE PERTUSI
Thibault  SAVERIO FIORE
Daniéli FRANCESCO PITTARI
Mainfroid  DANIELE CENTRA
Robert ALESSIO VERNA
Le sire de Béthune DARIO RUSSO
Le Comte de Vaudemont ANDRII GANCHIUK*
*dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma con la partecipazione degli allievi della Scuola di Danza del Teatro del’Opera di Roma
Direttore Daniele Gatti
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Valentina Carrasco
Scene Richard Petruzzi
Costumi Luis F. Carvalho
Luci Peter van Praet
Coreografia  Valentina Carrasco, Massimiliano Volpini
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 10 dicembre 2019
Il Teatro dell’Opera di Roma inaugura la nuova stagione con i Vespri Siciliani di Verdi nella originale versione parigina in francese, Les Vêpres Siciliennes, analogamente a quanto fece, primo in Italia, già per l’apertura della stagione 1997/98. Il nuovo allestimento di questo titolo di non frequente ascolto così oneroso, lungo e complesso è affidato questa volta al maestro Daniele Gatti e, per la regia e le scene, rispettivamente a Valentina Carrasco e a Richard Petruzzi. L’opera viene eseguita in versione integrale, cinque atti con il balletto secondo la miglior tradizione del Grand Opéra. Sebbene abituati da sempre ad ascoltarla nella versione metrica italiana di Arnaldo Fusinato approntata per la ripresa alla Scala l’anno successivo alla prima parigina, l’ascolto in francese conferma l’interesse già suscitato nel corso della precedente ripresa alla quale assistemmo e l’idea che probabilmente la lingua per la quale la musica fu originalmente pensata, se proprio non si vuol arrivare a sostenere che si adatti meglio dell’italiano alla partitura, certo consente di mostrarne colori diversi e  di offrire nuovi percorsi di lettura musicale. Probabilmente sulla scorta di queste considerazioni il cast assemblato per la messa in scena  soprattutto per quanto riguarda le voci acute era squisitamente più in linea con i pesi vocali e le necessità di scrittura dei ruoli del Grand Opéra piuttosto che con le caratteristiche delle cosiddette voci verdiane alle quali siamo abituati da una  prassi esecutiva consolidata e gloriosa ma forse nel tempo suggerita e favorita anche dalla scansione della lingua italiana oltre che da un indubbio diverso gusto esecutivo. La regista colloca l’opera in una sorta di cava di pietra senza connotazione temporale in cui non vi sono francesi e siciliani, nobili e popolo  ma solo oppressori in divisa militare molto intenti ad abusare delle donne di oppressi armati di martello senza falce  in una atmosfera cupa, chiusa e buia che si protrae per tutti e cinque gli atti. Nulla compare in questa regia dei colori, delle luci e dei profumi della Sicilia evocati dal libretto e soprattutto dalla musica e la vicenda, immersa in questa opprimente monocromia per tutto il suo sviluppo, avrebbe potuto svolgersi ovunque se non lo si sapesse dal titolo. Brutte e prive di connotazione anche le scene costituite da elementi mobili che di volta in volta definiscono lo spazio dell’azione.  Interessante l’idea di far comparire in scena la figura della madre di Henri e il trasformare il balletto delle Quattro Stagioni in una sorta di pantomima che scava nell’intimo vissuto e psichico dei tre personaggi maschili anche se l’inserimento di risa, singulti e vocalizzazioni snatura secondi noi un’arte che dovrebbe esprimere solo attraverso il gesto, il movimento e la corporeità. Al di là di questo però l’impressione  che se ne cava è che si sia  voluto provare a cercare un qualche cosa che probabilmente non c’è in questo dramma storico che fa da cornice a vicende umane complesse, dolorose ma sostanzialmente lineari e comprensibili, appesantendolo ed incupendolo oltre il necessario. Molto brutto infine e poco adatto alla fisicità dell’interprete ed al rango del personaggio è parso il costume di Hélène, nero anche nel giorno delle nozze. E gratuitamente dura abbiamo trovato l’immagine finale di Henri che con una pietra della cava immola il padre sul patibolo.  Molto meglio invece è andata sul versante della recitazione nella quale si è cercato, sia pure con qualche ingenuità e qualche irrinunciabile stereotipo dei giorni nostri,  di trovare e stavolta con successo  una verità espressiva spontanea e autenticamente convincente.Magnifica e trascinante è apparsa la direzione  di Daniele Gatti, trionfatore della serata, alla guida di un’orchestra in gran forma, sempre attenta a trovare il giusto equilibrio nei volumi sonori, nel dipanare le belle melodie della partitura e nel mostrarne le infinite raffinatezze senza per questo perdere mai il filo della narrazione o far venire meno la giusta tensione drammatica. Molto buone sono risultate le prove del Coro diretto da Roberto Gabbiani e del Corpo di Ballo impegnati in modo significativo nella riuscita dello spettacolo.E veniamo agli interpreti vocali di questa serata inaugurale. Nel ruolo di Hélène ha riportato un ottimo successo il soprano Roberta Mantegna, vanto del progetto Fabbrica del teatro e non più giovane promessa ma artista sicura e completa che ha dato prova di saper affrontare con intelligenza e sensibilità musicale un ruolo così lungo ed oneroso. Henri era il tenore John Osborn che con bel timbro vocale, bel fraseggio e un registro acuto sicuro e squillante ha reso con sincera commozione sia l’impeto amoroso che la sofferta lacerazione interiore del suo personaggio. Roberto Frontali ha impersonato Guy de Montfort con convincente autorità e autentica tenerezza paterna sia pure con qualche episodico problema di intonazione. Caratterizzato da una linea di canto morbida e nobile è stato  il Procida di Michele Pertusi del quale possiede la figura fisica e le intenzioni interpretative ma forse non completamente il peso vocale della parte. Infine bello ed incisivo il colore vocale di Dario Russo nella parte di Béthune e bravissimi Saverio Fiore e Alessio Verna rispettivamente Thibault e Robert per spigliatezza scenica e precisione musicale nei numerosi brevi interventi delle loro parti. Corretta la Ninetta di Iride Dragoti e funzionali e ben inseriti nello spettacolo gli interpreti di Danièli, Manfroid e Vaudemont rispettivamente Francesco Pittari, Daniele Centra e Andrii Ganchiuk.Alla fine, secondo un copione già visto e che dovrebbe iniziare ad indurre una riflessione, applausi lunghi sinceri e convinti per gli interpreti vocali, grande e meritato successo per il maestro Gatti ma evidenti segni di dissenso  da parte del pubblico per la regia e la scenografia. Foto Yasuko Kageyama