Ann Hallenberg & Stile Galante, Stefano Aresi. “The Farinelli Manuscript”

The Farinelli Manuscript. “Son quale nave che agitata” (aria, di Anonimo, probabilmente Carlo Maria Broschi-Farinelli); “Vuoi per sempre abbandonarmi?” (aria, di Gaetano Latilla); “Ogni dì più modesto”, “Non sperar, non lusingarti” (recitativo e aria, di Niccolò Conforto); “Quell’usignolo” (aria, di Geminiamo Giacomelli); “Io sperai del porto in seno” (aria, di Giovanni Battista Mele); “Invan ti chiamo, invan ti cerco, amato”, “Al dolor che vo’ sfogando” (recitativo e aria, di Anonimo, probabilmente Geminiamo Giacomelli). Ann Hallenberg (mezzosoprano), Stile Galante, Stefano Aresi (direttore). Registrazione: Diemen (Schuilkerk De Hoop), the Netherlands, 9-12 aprile 2019. T.Time:72’04 1 CD Glossa GCD 923521
Nei saloni affrescati di Palazzo Nunziante di Napoli, si è tenuta la presentazione del disco The Farinelli Manuscript, interpretato dall’ensemble Stile Galante, diretto dal musicologo e musicista Stefano Aresi. Un progetto culturale svoltosi anche grazie al talento del mezzosoprano Ann Hallenberg, che ha cantato le sei arie (due delle quali precedute da brevi recitativi) che compongono il prezioso manoscritto inviato, verso la fine di marzo del 1753, dal cantore evirato Carlo Maria Broschi, detto Farinelli, all’Imperatrice d’Austria Maria Teresa, “coll’idea di rinnovare, forse, nella mente della Cesarea Maestà l’idea dell’estensione e dell’altre qualità della voce”. È il tentativo, la sfida del divo d’imprimere sulla carta il segno della sua vocalità, delle sue capacità vocali; il tentativo di bloccare e tramandare ciò che oggi potremmo considerare come testimonianza approssimativa di quella voce. Tale operazione c’appare come la trascrizione, la descrizione dell’indefinibile, dell’inavvicinabile chimera che è la vocalità dei castrati; l’ardua prescrizione di numeri musicali che non recano o dichiarano indicazioni di paternità, ricostruita da Aresi attraverso un lungo lavoro di ricerca sulle fonti e sulla prassi esecutiva barocca. Generalmente, non tutte le fonti musicali possono denunciare esplicitamente la paternità dei brani, è vero; però, in questo caso, l’assenza di tali indicazioni è particolarmente indicativa: Farinelli, residente a Madrid dal 1737, modifica le arie del catalogo aggiungendo ornamenti, abbellimenti, fioriture; elementi che non venivano mai scritti, ma che rientravano nella tipica formazione dei cantanti italiani del Settecento, e che eseguivano di norma. Due arie, “Son qual nave che agitata” (probabilmente, la rielaborazione effettuata dal castrato dell’aria dal Mitridate di Giovanni Antonio Giay) e “Quell’usignolo” (dalla Merope di Geminiamo Giacomelli) recano i da capo originali del Broschi. Stefano Aresi decide di riscrivere i da capo e le cadenze mancanti degli altri numeri, facendo riferimento a comuni meccanismi presenti in fonti coeve al catalogo del divo.
Il disco s’allontana fortemente dalle abituali esecuzioni di musica del XVIII secolo, da quelle operazioni leccate e patinate, e quasi c’impone l’agognato contatto con una vocalità solo apparentemente fuori dall’ordinario. Il lavoro di Aresi si concretizza nel tentativo d’avvicinare l’ascoltatore a quella verità, a quella autenticità che il cantore ha tentato di costringere nella carta, e che è enormemente distante dalla nostra percezione di Settecento, magari neoclassicheggiante, idilliaca, edulcorata. Ne consegue la restituzione d’un preciso linguaggio alla sua cornice temporale, fatto da una vocalità esagerata, spropositata, dall’enorme estensione, pleonastica, paga d’un edonistico virtuosismo fine a se stesso. Ma ciò che c’appare oggi di “cattivo gusto” non è altro che il vero gusto dell’epoca, e bisogna accettarlo, che piaccia o meno. Le difficoltà affrontate da Ann Hallenberg sono state notevoli: salti abnormi, cadenze eseguite tutte d’un fiato, l’impeccabile produzione di quantità di note a velocità impressionanti; voce imponente nel dominare le impervie variazioni dei da capo delle arie, e ferratissima nell’affrontare le asperità del canto e dei registri vocali, soprattutto quello grave, teatralmente e superbamente caratterizzati. Difficoltà tecniche affrontate mirabilmente, con una costante ed elettrizzante carica edonistica, non priva dell’essenziale senso di fraseggio nei recitativi; voce in piena relazione coll’accompagnamento, cesellato e scandagliato con maniacale precisione, quasi chirurgica, e caratterizzato da una significativa preponderanza dei fiati, soprattutto dei corni.
Attraverso questo affascinante lavoro, possiamo finalmente gettare lo “sguardo oltre la siepe”, forse per capire cosa sia stato veramente il Settecento, e ciò può avvenire solo se s’inserisce il manoscritto nel suo specifico contesto esecutivo: la corte spagnola, tendenzialmente dominata da una prassi esecutiva di tipo francese, e dal gusto squisitamente italiano imposto da Farinelli. Si tratta, quindi, della riedificazione di quella variegata realtà musicale che, attraverso lo studio di documenti, ha determinato anche la disposizione dei musicisti nello spazio, durante la concertazione e l’incisione discografica.
Un prodotto culturale che dev’essere capito, poiché presenta cose che non sentiamo altrove; cose che ora vengono avvertite come “eccezionali”, ma che sono elementi costitutivi del gusto dell’epoca. Difatti, la percezione della loro “straordinarietà” dipende dal fatto che nel frattempo il Settecento sia diventato altro. Foto Pierpaolo Russo & Valentina Anzani