Richard Strauss (Monaco di Baviera 1864 – Garmisch-Partenkirchen 1949)
“Elektra” op. 58, opera in un atto su libretto di Hugo von Hofmannsthal tratto dall’omonima tragedia di Sofocle.
Prima rappresentazione: Königliches Opernhaus di Dresda, 25 gennaio 1909
Dopo il successo di Salome, Strauss, il cui primo impatto con il teatro musicale avvenuto con la sua prima opera Guntram clamorosamente fischiata, non era stato dei migliori, cercò di sfruttare il mutato atteggiamento del pubblico nei suoi confronti scrivendo immediatamente una nuova opera. Egli, in realtà, avrebbe voluto confrontarsi con un soggetto leggero, comico, quasi mozartiano, come ebbe modo di affermare descrivendo il suo Rosenkavalier, ma la rappresentazione della tragedia Elektra, che Hugo von Hofmannsthal aveva liberamente tratta da Sofocle, messa in scena a Berlino con la regia di Max Reinhardt e la superba interpretazione di Gertrud Eysoldt, che aveva portato al successo la Salomè di Oscar Wilde, attirò fortemente la sua attenzione, per cui decise di mettere in musica questo soggetto. Nel 1906 Strauss chiese subito ad Hofmannsthal, con il quale era già entrato in contatto a Parigi nel 1900 per il progetto di un balletto intitolato Il trionfo del tempo, di poter musicare l’Elektra ottenendo un immediato quanto entusiastico consenso, come si apprende da una breve lettera inviata dal drammaturgo austriaco il 7 marzo 1906:
“Egregio e caro signore,
come va tra lei ed Elektra? È davvero la speranza di una non piccola gioia quella che Ella ha fatto nascere in me in modo tanto inatteso e vivo. La prego di farmi sapere in poche righe se questa speranza possa restar desta o debba mettersi a dormire.
Quanto più ci pensavo, tanto più attuabile mi appariva – ma forse a Lei accadeva il contrario”. (Hugo von Hofmannsthal-Richard Strauss, Epistolario, Adelphi, Milano, 1953, p. 14).
Strauss, in effetti, mostrava qualche perplessità sull’opportunità di mettere in musica questo soggetto a causa delle sue evidenti affinità con l’opera precedente soprattutto nella rappresentazione di un mondo psichico simile a quello di Salome. Nella lettera di risposta inviata l’11 marzo 1906, il compositore scrisse, infatti:
“Illustre signor Hofmannsthal!
Ho come sempre una grandissima passione per Elektra e l’ho anche già ridotta ottimamente per il mio uso personale. La domanda cui non ho ancora definitivamente risposto (questo si deciderà nell’estate, il periodo della mia attività produttiva) è solo se io, subito dopo Salome, ho l’energia per trattare con piena freschezza un altro soggetto per vari aspetti così simile, o se non faccio meglio ad accostarmi ad Elektra non prima di alcuni anni, quando mi sia molto più allontanato dallo stile di Salome.
Perciò mi sarebbe prezioso, in tutti i casi, sapere che cosa d’altro Lei abbia in serbo per me e se io possa forse intraprendere prima di Elektra un Suo soggetto più distante di Salome”. (ivi, pp. 14-15)
Hofmannsthal fu irremovibile nel rifiutare ogni discussione circa la possibile scelta di un altro soggetto e in una lettera del 27 aprile 1906 annullò tutte le perplessità, affermando perentoriamente:
“Devo dire però che, per quello che a mio vedere è lo stato delle cose, sarei lietissimo se per lei fosse possibile insistere prima di tutto con Elektra, le cui «somiglianze» con l’argomento di Salome dopo attenta riflessione mi sembrano ridursi a nulla. (Tutte e due sono in un atto, ognuna ha per titolo un nome di donna, entrambe si svolgono nel mondo antico, entrambe le ha recitate a Berlino per la prima volta la Eysoldt: credo che tutta la somiglianza stia in questo). L’impasto cromatico nei due lavori mi sembra sostanzialmente diverso: scarlatto e viola, direi, in Salome, in un’atmosfera rovente; invece in Elektra una mescolanza di notte e luce, nero e chiaro. Per di più quella concatenazione di motivi, legati a Oreste e alla sua azione, che con impeto crescente sbocca nella vittoria e nell’espiazione – e io me la immagino incomparabilmente più possente nella musica che nei versi – mi sembra che non solo non abbia un corrispettivo, ma neppure qualcosa di lontanamente somigliante in Salome” (ivi, pp. 16-17).
Nonostante le perplessità, dovute alle innegabili ed evidenti somiglianze con Salomedi cui sembra ricalcare sia il sistema dei personaggi con la coppia perversa Clitemnestra-Egisto che non può non ricordare quella formata da Erode e da Erodiade, sia la presenza di un personaggio salvifico, Oreste, assimilabile a Jokanaan, sia, infine, la follia allucinatoria delle due eponime protagoniste, il soggetto di Elektra, in realtà, aveva già conquistato Strauss per il carattere violento, barbarico e passionale del mito, che dava della Grecia una rappresentazione diametralmente opposta a quella classica di aurea bellezza apollinea consegnata dalla tradizione risalente a Winckelmann e filtrata nella cultura tedesca da Goethe. Nella trasposizione teatrale di Hofmannsthal, inoltre, il mito classico si prestava molto bene ad una lettura integralmente moderna, resa possibile dalla recente scoperta della psicanalisi. Elektra, la protagonista, legata al padre Agamennone e al fratello Oreste da un amore che, in alcuni momenti, mostra aspetti morbosi per la ricerca ossessiva e quasi patologica della vendetta e per un linguaggio estremamente duro quando non addirittura animalesco per la presenza di verbi quali «ululare», «gemere», «urlare» e «gridare», potrebbe essere immaginata distesa sul lettino di Freud o di uno dei suoi allievi per le necessarie sedute terapeutiche psicanalitiche. Non solo per questi aspetti contenutistici ma anche per la struttura formale, il testo di Hofmannsthal si prestava ad essere facilmente messo in musica. Fatta eccezione per qualche piccolo taglio, sempre necessario per una trasposizione librettistica di un testo teatrale, Strauss chiese ad Hofmannsthal, allo scopo di ottenere una maggiore tensione drammatica, di limitarsi a modificare solo alcuni versi, in particolar modo nel duetto che ha come protagonisti Elektra e Crisotemide. Nella trasposizione librettistica fu, quindi, mantenuta intatta la struttura in un atto unico con un “prologo”, in cui sei ancelle, esercitando funzioni simili a quelle del coro greco, narrano l’antefatto della vicenda, e con un monologo in cui Elektra evidenzia subito il carattere quasi patologico della sua ossessione per l’insistenza su immagini di sangue e di morte che rendono con maggiore intensità drammatica il modello greco, nel quale erano pur presenti situazioni atroci, come il matricidio e il rapporto immorale fra Egisto e Clitemnestra.
Dopo l’adattamento del dramma alla forma librettistica, Strauss lavorò alla partitura musicale in meno di due anni e la completò il 22 settembre 1908; l’opera andò in scena per la prima volta il 25 gennaio 1909 al Königliches Opernhaus di Dresda sotto la direzione di Ernst von Schuch con Annie Krull (Elektra), Ernestine Schumann-Heink (Clitemnestra), Karl Perron (Oreste), Johannes Sembach (Aegisthus) riscuotendo un notevole successo, che, tuttavia, non convinse il compositore, il quale lo ritenne più un attestato di stima nei suoi confronti da parte del pubblico che un vero apprezzamento per il reale valore musicale dell’Elektra.
Nonostante il giudizio fin troppo severo di Strauss, l’opera si affermò immediatamente in tutta Europa e naturalmente anche in Italia, dove trionfò per la prima volta alla Scala di Milano il 6 aprile del 1909 sotto la direzione di Edoardo Vitale. Questo successo fu, però, momentaneamente offuscato dal Rosenkavalier (Il cavaliere della rosa) che, rappresentato a Dresda il 26 gennaio 1911, sostituì nei gradimenti del pubblico l’Elektra per un certo periodo; soltanto negli anni Trenta alcune rappresentazioni negli Stati Uniti determinarono il definitivo successo dell’opera e la sua stabile collocazione nei cartelloni dei maggiori teatri mondiali.
In quest’opera, strutturata, dal punto di vista formale, secondo i canoni del Wort-Ton-Drama (dramma di parole e musica) wagneriano dal momento che si presenta come un unico e continuo discorso musicale privo di forme chiuse, è perfettamente realizzata la concezione musicale di Strauss fondata sulla sorpresa, come Adorno ebbe modo di affermare:
“Il suo stile e la sua tecnica si basano sul principio della sorpresa… La possibilità della sorpresa ha bisogno dei resti dell’idioma tradizionale: solo sul loro sfondo e non all’interno di un tessuto linguistico nuovo essa può prosperare”.
Il carattere innovativo di quest’opera non risiede, quindi, nel linguaggio musicale mutuato dalla tradizione e caratterizzato dall’armonia cromatica di ascendenza wagneriana condotta alle estreme conseguenze, ma nella costruzione di una macchina perfetta fondata sulla sorpresa, rappresentata, in un mondo in cui tutto appare come la manifestazione del male, da personaggi quali Crisotemide dedita interamente alla sua aspirazione normale di crearsi una famiglia, e da situazioni positive che coinvolgono anche la problematica eponima protagonista quando si abbandona al sogno di una possibile e auspicata ricomposizione del proprio nucleo familiare. In questi e in altri momenti felici e di sogno, costituiti anche dal ritorno di Oreste o dalla rievocazione del padre Agamennone, la musica assume toni e movenze più dolci e gentili, quasi da valzer viennese, che anticipano alcuni esiti a cui Strauss sarebbe giunto nel Rosenkavalier, interamente pervaso da un’atmosfera e da uno spirito leggeri. Nell’Elektra questi momenti di distensione si alternano ad altri di alto contenuto drammatico in un equilibrato e, al tempo stesso, contrastante gioco di chiaroscuri, idoneo a tenere sempre desta l’attenzione del pubblico nella continua alternanza tra momenti di leggerezza quasi viennese ed altri di forte e commovente tragicità. Alla rappresentazione di questo effetto contribuisce in maniera determinante la musica che ora si snoda in un fluente e dissonante cromatismo di intensa drammaticità, ora trova attimi di quiete sull’accordo di quarta e sesta che, anticipando l’armonia della tonica, ne riproduce l’effetto complessivamente tranquillizzante. La tranquillità, però, è solamente sfiorata in quest’opera la cui musica rende perfettamente il precipitare dell’azione verso la tragica e delirante conclusione nella quale Elektra, felice per aver compiuto la sua vendetta, muore danzando in modo disumano, mentre la sorella Crisotemide, ormai preda di uno spavento grande e incontrollabile, percuote, come una forsennata, la porta del palazzo gridando con l’angoscia nel cuore il nome del fratello: «Orest, Orest!».
L’opera
La scena iniziale dell’opera, ambientata nel palazzo degli Atridi a Micene nel periodo immediatamente successivo alla Guerra di Troia, si apre musicalmente nel nome di Agamennone con un aforistico tema di quattro note sull’accordo di re minore, destinato ad accompagnare appunto il nome dell’eroe acheo quando questo sarà pronunciato da Elektra. Sin dalla prima battuta la presenza di Agamennone sembra aleggiare come un fantasma sulla vicenda e, se da una parte fomenta l’ossessione di vendetta di Elektra, dall’altra costituisce per i due scellerati amanti lo spettro della loro coscienza che incombe su di loro.
Dopo questo violento quasi barbarico accordo l’eponima protagonista è presentata da sei ancelle (Wo bleibt Elektra?) che, se da una parte sembrano assumere in un certo qual modo la funzione del coro greco, dall’altra costituiscono una valida realizzazione di un io frammentato che non riesce a dare un giudizio unitario e coerente sul personaggio di Elektra. Esse ci presentano la protagonista secondo il loro punto di vista, per nulla oggettivo, frammentario, quando non addirittura contraddittorio; se una delle ancelle la definisce, infatti, in modo animalesco come una eine wilde Katze (una gatta selvaggia), la più giovane di esse prova una forma di compassione per la principessa micenea, la cui unica occupazione è quella di aggirarsi silenziosa per la reggia quasi come un fantasma che ricorda alla madre Clitemnestra l’orribile delitto commesso. La musica di questa scena iniziale appare frammentaria con l’introduzione di temi e motivi brevi che accompagnano le parole delle ancelle le quali non riescono quasi mai a librarsi in squarci melodici eccezion fatta per il passo in cui la quinta ancella descrive l’origine regale di Elektra. Anche l’armonia fluttuante non trova mai un momento di requie in questa scena al cui clima di agitazione contribuisce anche la scelta di Strauss di introdurre degli sfasamenti di accenti.
Introdotta dal tema che aveva accompagnato le parole pronunciate dalla quinta ancella, quasi ad esprimere l’intenzione di Strauss di porre l’accento sul carattere regale della donna, appare sulla scena Elektra (Allein!) che rievoca la morte del padre Agamennone in un lungo monologo in cui si susseguono immagini, piene di sangue, di forte valenza drammatica, rese da una musica di straordinaria violenza sia per la struttura armonica che melodica con un fascio di motivi diversi tra cui spicca, su un accordo di re minore, quello di Agamennone. Nel monologo di Elektra, aperto e chiuso nel segno di Agamennone con la rievocazione del tema iniziale che lo percorre tutto sia nella parte vocale che in quella orchestrale, si possono distinguere nitidamente tre momenti: la rievocazione dell’omicidio di Agamennone, la determinazione, da parte di Elektra, di vendicarsi e la visione della vittoria con un’esaltazione trionfale e allucinatoria. Il monologo, quindi, vive di un crescendo di emozioni, reso anche da una scrittura vocale franta con intervalli impervi e in una tessitura particolarmente tesa che giunge fino al do acuto. Solo nella fase conclusiva, quando Elektra pregusta il trionfo, si apre a scorci lirici sempre esaltati che, tuttavia, culminano in una morbida cadenza tradizionale sull’accordo della dominante di do maggiore.
La donna è interrotta dall’ingresso in scena di Crisotemide (Elektra!), preoccupata per le sorti della sorella. La fanciulla, che non nutre alcun sentimento di vendetta, ma desidera soltanto crearsi una famiglia, informa Elektra della decisione presa da Clitemnestra ed Egisto di chiuderla in una torre, dal momento che la madre la ritiene responsabile dell’atmosfera pesante che grava sulla reggia. Alla richiesta accorata di Crisotemide, che cerca di indurre la sorella ad abbandonare i suoi propositi di vendetta e a mutare atteggiamento, Elektra, destata dal sogno allucinatorio, risponde in modo scostante e violento e, alla fine, le lancia uno sguardo strano e inquietante, quasi folle. Musicalmente caratterizzata con temi già ascoltati in precedenza e rielaborati, la scena, che inizialmente non ha un momento di pace, trova il suo punto culminante nello splendido episodio lirico, scandito su un regolare ¾, a cui dà vita Crisotemide (Ich habs wie Feuer), nel quale la donna esprime le sue inquietudini e chiede alla sorella di desistere dai suoi propositi di vendetta.
Crisotemide fugge via, dopo aver scongiurato invano Elektra di evitare l’incontro Clitemnestra che si stava avvicinando per recarsi al tempio dove avrebbe pregato gli dei affinché la liberassero dai suoi frequenti incubi notturni durante i quali le era apparso in sogno il figlio Oreste, da lei cacciato quando era ancora giovanissimo. Avvicinatasi ad Elektra e rimasta sola con lei dopo aver cacciato via il suo seguito, le chiede, in una scrittura vocale che indulge al parlato con significativi ribattuti, in che modo possa liberarsi definitivamente dagli incubi che la tormentano e in particolar modo quale bestia immolare come vittima agli dei. Finalmente Elektra si decide a parlarle rispondendo che soltanto un sacrificio umano avrebbe potuto ottenere il miracolo sperato e, in seguito alle pressanti richieste della madre che chiede maggiori particolari sul sacrificio, afferma in modo enigmatico che la vittima è una donna sposata destinata ad essere uccisa da un familiare. In realtà la musica continua a rivelare l’ossessione di Elektra che intona, quasi a ricordare a Clitemnestra il delitto di cui si è macchiata, sempre il tema iniziale di quattro note associato al nome di Agamennone. Clitemnestra rimane turbata, credendosi destinataria della profezia, ma la falsa notizia della morte di Oreste, sussurratale all’orecchio da una della ancelle appena rientrate in scena, sembra restituirle una certa serenità inducendola ad assumere un atteggiamento minaccioso verso la figlia. Qui Strauss dà vita ad un interludio orchestrale nel quale mostra tutto il suo virtuosismo nell’orchestrazione con passi dove emergono delle “voci” solistiche.
Con l’uscita di scena di Clitemnestra sembra, come è stato notato da Massimo Mila, che sia avvenuta una cesura, in quanto:
“è finita la parte statuaria della presentazione dei personaggi principali, ed inizia la parte d’azione e d’intrigo, se questi termini si possono usare per un’opera che della staticità fa una scelta deliberata e un partito preso” (M. Mila, Elettra: l’altalena della felicità e dell’orrore, in I costumi della Traviata, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1984, p. 213).
La falsa notizia sembra confermata da Crisotemide che, entrando in scena trafelata, informa la sorella, ancora ignara di quanto era accaduto e incredula. L’agitatissimo colloquio fra le due sorelle si caratterizza per la ripresa del tema di Agamennone in una forma rielaborata e con l’aggiunta di un disegno cromatico discendente quasi a marcare come la tragedia abbia colpito, almeno secondo le notizie riferite, anche Oreste, colui che avrebbe dovuto vendicare la morte del padre. La notizia è confermata anche dal servo (Platz da) che chiede, in una scrittura agitata, ma armonicamente condotta in modo tradizionale, un cavallo al palafreniere per riferire ad Egisto l’avvenuta morte di Oreste.
A questo punto Elektra, prendendo atto dell’accaduto, cerca di convincere la sorella che tocca a loro compiere la vendetta (Nun muss es hier). Crisotemide, assalita dall’orrore manifestato nella domanda Sprichst du von der Mutter? (Parli tu di nostra madre?, che resta in sospeso, senza alcuna risposta, come l’accordo dominantico su cui è intonata la parola «Mutter», oppone un rifiuto, ma Elektra la serra tra le sue braccia in un modo ambiguo. Mentre la protagonista esalta la verginea forza della sorella capace di compiere la vendetta (Wie stark du bist) su una scrittura insolitamente più stabile dal punto di vista armonico su un rassicurante pedale di mi bemolle maggiore, l’orchestra ricorda ancora una volta il nome di Agamennone quasi a rendere evidente l’inconscia ossessione che agita la donna. A nulla valgono i tentativi di Crisotemide di ricondurre a più miti consigli Elektra che, da parte sua, le promette suo aiuto nelle eventuali difficoltà e negli eventi dolorosi della vita. Alla fine Crisotemide fugge ed Elektra la maledice, mentre l’orchestra tace per esplodere subito dopo in una violenza quasi “barbarica”.
Distrutta, ma ferma nel suo proposito di vendetta Elektra decide di compierla da sola e va a scavare nei pressi del muro del palazzo alla ricerca della scure che Egisto aveva utilizzato per uccidere Agamennone e da lei nascosta per servirsene al momento opportuno. Qui Strauss introduce un nuovo breve brano sinfonico interamente costruito su un tema cromatico costruito su semitoni ora ascendenti ora discendenti che, sovrapposto al breve motivo marziale che annuncia l’ingresso di Oreste, costituirà il materiale melodico del successivo intervento di Elektra.
In questo momento si produce un vero e proprio colpo di scena. Annunciato da marziali ottoni che introducono il brevissimo tema di carattere eroico già udito in precedenza, entra Oreste, il quale, inizialmente, non si fa riconoscere dalla sorella; questa, dopo aver chiesto all’uomo il motivo della sua presenza in quel luogo (Was willst du, fremder Mensch?), comincia a lamentarsi della sua solitudine. L’uomo, inizialmente, si qualifica come un compagno di Oreste del quale narra la morte causata dai suoi stessi cavalli che lo avrebbero travolto, ma, dopo aver riconosciuto nella donna che ha di fronte Elektra, rivela che egli è vivo. Un vecchio servitore, tuttavia, riconosce Oreste e in segno di rispetto gli bacia, insieme ad altri servitori, i piedi e le mani, mentre Elektra, riconosciuto il fratello, grida con sorpresa Orest! La tensione accumulata fino a questo punto si scioglie prima in un breve passo sinfonico costruito sul tema cromatico precedentemente ascoltato che qui assume toni trionfali, e, poi, in una delle pagine più famose e più serene dell’opera, in cui è espressa, attraverso un lirismo quasi estatico, tutta la felicità di Elektra per il ritorno del fratello con il quale evoca le gioie della famiglia riunita (Es rührt sich niemad). Alla fine, dopo un lungo dialogo, Oreste promette ad Elektra che si sarebbe vendicato alla prima occasione; questa si presenta immediatamente con l’annuncio, da parte del suo vecchio mentore, che non ci sono uomini in casa. Oreste va a compiere la sua vendetta, mentre Elektra, preoccupata per non aver potuto dare la scure ad Oreste, rimane sola in un’attesa ansiosa, creata con una nuova pagina orchestrale di cui assoluto protagonista è il tema armonico e dissonante già udito nella scena iniziale dell’opera. Questo clima d’ansia raggiunge il suo punto culminante quando si ode l’urlo di Clitemnestra nel momento in cui viene assassinata dal figlio.
Richiamate dall’urlo accorrono sia le ancelle sia Crisotemide sgomente quando si sentono i passi di Egisto che inducono le donne a fuggire nel timore che possa ucciderle ritenendole responsabili di qualche fatto orribile commesso all’interno del palazzo. L’uomo, che chiede inutilmente di fargli luce (He! Lichter!), incontra fuori Elektra la quale dissimula una forma di gentilezza, confermando nel frattempo la falsa notizia della morte di Oreste; l’atteggiamento falsamente cortese della donna, sottolineato da una musica ammiccante che fa tesoro dei temi precedenti esposti, desta una certa sorpresa nell’uomo che, del tutto ignaro di ciò che sta avvenendo, entra nel palazzo subendo la stessa sorte di Clitemnestra sulle raggelanti sonorità dei violini primi, mentre Elektra urla ancora una volta il nome del padre intonando il tema che lo ha caratterizzato per tutta l’opera.
Alla morte di Egisto si scatena la lotta tra i suoi partigiani e quelli di Oreste che risultano vincitori; la musica sottolinea questi momenti con una scrittura estremamente moderna nella quale si nota anche la perizia contrappuntistica di Strauss. Elektra, felice per la compiuta vendetta, incomincia a danzare un folle e trionfale valzer di morte ordinando alla sorella di fare lo stesso, ma, nel momento culminante sottolineato da un lancinante accordo di mi bemolle minore, cade morta inebriata da questa gioia che rasenta la follia. Mentre il tema di Agamennone risuona ancora una volta in orchestra sancendo la compiuta vendetta, Crisotemide, quasi presaga della dura sorte che attenderà Oreste proprio a causa del duplice omicidio commesso, grida il suo nome in una forma lancinante e interrogativa fermandosi su un enigmatico e inquietante fa diesis, quarto grado alterato di do maggiore, tonalità in cui si conclude l’opera.