Pierre Gaveaux (1760 – 1825): “Léonore ou L’amour conjugal” (1798)

Opéra-cominque in due atti su libretto di Jean-Nicolas Bouilly. Kimi McLaren (Léonore), Jean-Michel Richer (Florestan), Tomislav Lavoie (Roc), Pascale Beaudin (Marceline), Dominique Côté (Pizare), Keven Geddes (Jacquino), Alexandre Sylvestre (Don Fernand). Choer er Orchestre de l’Opéra Lafayette, Ryan Brown (direttore), Oriol Tomas (regia, scene e costumi). Registrazione: New York 23 febbraio 2017. 1 DVD Naxos 2.110591
Pierre Gaveaux chi era costui? La domanda manzoniana potrebbe facilmente sorgere nella mente di qualunque appassionato di fronte al nome di questo compositore francese oggi praticamente sconosciuto. Eppure negli anni a cavallo tra la Rivoluzione francese e l’Impero napoleonico questo occitano trasferito a Parigi ha giocato un ruolo non secondario nella vita musicale della capitale francese. In primo luogo Gaveaux è stato fra i cantanti più apprezzati della sua generazione, nonostante la formazione abbastanza irregolare – destinato alla carriera ecclesiastica, dovette affiancare la preparazione teologico-letteraria a quella musicale – si fece apprezzare come tenore prima a Bordeaux e poi a Parigi dove ottenne la stima d’illustri compositore primo fra tutti Luigi Cherubini che lo volle come primo interprete prima del Floresky di “Lodoïska” (1791) poi del Jason di “Medée”(1797). A partire dal 1793 Gaveaux affiancò all’attività di cantante quella di compositore distinguendosi soprattutto come autore di opéra-cominque e facendo del nuovo Théâtre Feydeau – dove quell’anno la compagnia del Théâtre de Monsieur si trasferì dopo aver lasciato la precedente sede alle Tuilleries – il proprio regno nella triplice veste di autore, interprete e impresario. Gaveaux fu anche un intellettuale impegnato e politicamente attivo secondo un modello che andava affermandosi negli anni rivoluzionari. Favorevole alla Rivoluzione ma su posizioni moderate, critico degli eccessi del giacobinismo, nel 1795 compose l’inno “Le Réveil du peuple” in cui denunciava la stagione del Terrore e che godette di enorme fortuna tanto da contendere alla “Marsigliese” il ruolo di inno della nuova Francia Repubblicana. Il maggior successo del compositore fu Léonore ou L’amour conjugal su libretto di Jean-Nicolas Bouilly andata in scena nel 1798. L’opera ha già una sua rilevanza storica nel rappresentare il diretto precedente del “Fidelio” beethoveniano tratto dalla medesima piéce e sostanzialmente analogo come struttura. Ma l’opera non merita di essere conosciuta solo come primo tassello di una fortunata serie di titoli – oltre a Beethoven anche Paër e Mayr ne diedero una loro versione – ma in quanto meritevole in sé di giusta attenzione. In primo luogo una differenza essenziale è data dal contesto di nascita dell’opera: se il “Fidelio” è una grande riflessione sul valore universale della libertà quasi indipendente dal momento storico di creazione, l’opera di Gaveaux è strettamente legata alla realtà contingente, presentandosi quasi come il grido di liberazione dalla sanguinaria stagione appena conclusa. Musicalmente Gaveaux si dimostra un compositore perfettamente aggiornato, capace di muoversi fra linguaggi e stilemi differenti senza perdere un’unità di fondo. Se lo schema resta quello tradizionale dell’opéra comique – drammaturgia compresa, presenza di dialoghi parlati in luogo dei recitativi, arie lineari come struttura –, la ricchezza della scrittura e l’intensità drammatica di molti momenti superarono le costrizioni del genere. Nel corso della sua attività di cantante aveva infatti appreso a confrontarsi con stili diversi; al gusto leggero delle ariette tipiche dell’opéra-cominque – riviste però con una sensibilità melodica non comune nel genere – si affiancano la piena padronanza dei modi della tragedie lyrique com’era venuta definendosi da Gluck a Cherubini nonché almeno una generica conoscenza delle coeve esperienze italiane e tedesche, in primis della produzione matura di Mozart di cui sembrano scorgersi in qualche punto delle suggestioni. Le forme più proprie del genere rimangono riservate ai personaggi di carattere come Marceline, Jacquino e in parte Roc il cui linguaggio espressivo si avvicina sempre più a modi seri con lo svolgersi della vicenda. Di contro i ruoli seri di Léonore, Florestan – scritto da Gaveaux per se stesso – e Dom Fernand si esprimono con un linguaggio strettamente derivato dai modi della tragédie-lyrique seppur in parte semplificato. Questa ricchezza di stili si coniuga con un’ammirevole qualità di scrittura che connota Gaveaux tanto come raffinato orchestratore quando come melodista ispirato. In questo alto mestiere di fondo si leva in alcuni punti un colpo d’ala che li eleva a livello di alta ispirazione: l’intensa aria di Florestan che apre il II atto, lo splendido terzetto fra questi, Roc e Léonore colmo di intensa e commossa umanità e soprattutto lo splendido coro dei prigionieri che rappresenta il momento più alto dell’opera in modo quasi speculare a quanto accadrà nel futuro e immenso capolavoro beethoveniano.

A farci riscoprire questo interessante tassello della vita musicale francese di fine Settecento è l’Opéra Lafayette, piccola compagnia americana  fondata nel 1995 a Washington poi con una sede distaccata anche a New York  e specializzata nell’esecuzione del repertorio francese del XVII e XVIII secolo. Una compagine con mezzi limitati ma grande entusiasmo e accurata preparazione. Lo spettacolo firmato da Oriol Tomas è minimalista. La scena si riduce a pochi elementi che evocano grate e inferriate, i costumi richiamano l’epoca del libretto in forme più stilizzate. L’essenzialità dell’impianto scenico è ben sfruttata nel centrare lo sguardo sulle psicologie dei personaggi e sui rapporti che si creano fra di loro. Ryan Brown, fondatore della compagnia, guida l’orchestra con bel senso dello stile; la compagine strumentale si mostra di buon livello mentre più debole appare il fin troppo ridotto coro ed è un peccato essendo ad esso affidato il momento più alto dell’opera. Kimi McLaren (Léonore) e Jean-Michel Richer (Florestan) cantano con intensità e buone voci i due ruoli seri dell’opera; di buona presenza anche se un po’ troppo giovanile sia come timbro sia come figura il Roc di Tomislav Lavoie. Keven Geddes presta a Jacquino una piacevole voce da tenore di grazia mentre scenicamente spigliata ma poco brillante vocalmente la Marcelline di Pascale Beaudin. Alexandre Sylcestre è un funzionale Don Fernand mentre Dominique Côte affronta con la giusta energia il ruolo solo recitato di Pizare. I cantanti sono tutti canadesi – e in buon numero provenienti dal Quebec – il che garantisce un’impeccabile dizione francese tanto nel canto quanto nei lunghi dialoghi parlati.