M.García:”Hernando desventurado Cara gitana del alma mia” (Le gitano por amor); “Yo que soy contrabandista” Caballo (El poeta calculista); G.Rossini: “Sì, ritrovarla io giuro” (La Cenerentola);M.García:“Mais que vois-je? Une lyre…Vous dont l’image toujours chère” (La Mort du Tasse);N.Zingarelli:”Più dubitar mi fan questi suoi detti…Là dai regni dell’ ombra e di morte” (Giulietta e Romeo);G.Rossini:“Principessa, sei tu..Amor…Possente nome (Armida);M.García:”Dieu!…pour venger un père, faut-il devenir assassin?…O ciel! De ma juste furie” (Florestan): G.Rossini: “Cessa di più resistere” (Il barbiere di Siviglia);M.García;”Formarè mi plan con cuidado” (El poeta calculista); G.Rossini: “”S’ella mi è ognor fedele Qual sarà mai la gioia” (Ricciardo e Zoraide).Javier Camarena (tenore) Cecilia Bartoli (Mezzosoprano), Les Musiciens du Prince – Monaco, Gianluca Capuano (direttore). T.Time: 71’15. 1 CD Decca 483 3958
Vera Cruz è stata per secoli la vera porta delle Americhe per i viaggiatori in arrivo dal Vecchio Mondo nei nuovi domini coloniali oltreatlantici ed è qui che nel 1827 sbarca in cerca di rivalsa uno dei più grandi miti della vocalità di ogni tempo. Manuel García giungeva in Messico dopo una non fortunatissima esperienza a New York dove, se aveva avuto la gloria di partecipare alla prima americana del “Don Giovanni” di Mozart (23 maggio 1826) alla presenza di Lorenzo da Ponte, si era anche scontrato con una realtà in cui la diffusione dell’opera era un fatto recente e ancor poco diffuso. Nonostante le difficoltà logistiche degli spostamenti il Messico rappresentava invece un mondo totalmente diverso; nella Nuova Spagna i legami con la madre patria e con i domini spagnoli in Italia avevano fatto conoscere e amare l’opera fin da epoca barocca tanto che già nel 1711 veniva rappresentata la prima opera di un compositore messicano, “Partenope” di Manuel de Zumaya su libretto dell’arcade Silvio Stampiglia tradotto per l’occasione in spagnolo.
Ora un figlio di Vera Cruz omaggia quello storico viaggio. Javier Camarena è sicuramento uno dei vertici mondiali dell’attuale vocalità tenorile con un repertorio che per epoca e stile è affine a quello affrontato da García. Certo, se la vocalità di base sembra essere molto diversa fra i due, essendo quella dell’antico spagnolo probabilmente di baritenore considerati soprattutto la tessitura della parte di Otello per lui scritta da Rossini o i ruoli prettamente baritonali, da lui affrontati, quali Don Giovanni e il Conte de “Le nozze di Figaro”, mentre decisamente di tenore acuto è quella del giovane messicano, tratti comuni dovevano esserci. García era, infatti, famoso anche per la facilità degli acuti e la spettacolarità del canto di coloratura elementi che rappresentano tra le migliori frecce nella faretra di Camarena.
Il presente recital Decca rappresenta anche il primo capitolo di un nuovo progetto editoriale posto sotto la supervisione artistica di Cecilia Bartoli – la serie ha come titolo “Mentored by Bartoli” – e non è difficile scorgere la mano della cantante romana nella composizione di un programma così intelligentemente costruito, raffinato nelle scelte musicali e storicamente attendibile, tratti così rari nella discografia attuale ma che sempre sono stati tipici dei recital discografici della Bartoli. L’unica critica da avanzare a un programma così interessante, soprattutto considerato che Les musiciens du Prince suonano splendidamente e Gianluca Capuano presenta una direzione esemplare per eleganza e senso stilistico, è la scelta di mutilare alcuni brani dagli interventi del coro e di eventuali altri solisti. Scelta dovuta verosimilmente a ragioni economiche ma che non fa onore a una casa discografica del prestigio e delle possibilità della Decca.
Il programma si divide in due parti, un primo lotto di composizioni dello stesso Garcia e una seconda parte di opere per lui composte o da lui affrontate. Nel primo gruppo rientrano brani da opere spagnole caratterizzate da un’originale fusione di stile italiano e di elementi della tradizione iberica; questi sono particolarmente evidenti in “Yo que soy contrabandista” arietta d’irresistibile simpatia da “El poeta calculista” (1805) mentre “Formarè mi plan con cuidado” mostra la piena conoscenza dei modi dell’opera buffa italiana del tempo dove il gusto quasi cimarosiano del cantabile si evolve nell’allegro in un virtuosismo che quasi anticipa Rossini mentre è proprio quest’ultimo a rappresentare il diretto modello per la successiva “El Gitano por Amor” (1828) da cui è proposta l’aria “Hernando desventurado Cara gitana del alma mia”, splendido esempio di fusione di elementi nazionali in un modello formale perfettamente sostenuto.
Passando alle composizioni francesi dello stesso García si apprezza la capacità di far proprio lo stile di quel paese. “Mais que vois-je? Une lyre…Vous dont l’image toujours chère” da “La mort du Tasse” è tutta giocata sul controllo del fiato e sul canto a fior di labbro e offre a Camarena la possibilità di dare un’autentica lezione al riguardo mentre l’aria del “Florestan” “Dieu!…pour venger un père, faut-il devenir assassin?…O ciel! De ma juste furie” mostra la perfetta conoscenza del tardo classicismo francese e di tutte le sue potenzialità drammatiche.
Sempre nell’ambito della più pura tradizione neoclassica ma questa volta sul versante italiano si colloca “Più dubitar mi fan questi suoi detti…Là dai regni dell’ ombra e di morte” da “Giulietta e Romeo” di Zingarelli in cui la coloratura si fa strumento di perfetta astrazione formale in cui il gioco degli affetti si sublima nella perfezione del canto. Unico dei ruoli scritti da Rossini per Garcia – troppo lontano Otello dalle attuali caratteristiche vocali di Camarena – il Conte di Almaviva è rappresentato da un’esecuzione magistrale di “Cessa di più resistere”.
Ovviamente non poteva mancare il Ramiro di “La Cenerentola” di cui Camarena è fra i massimi interpreti contemporanei. La sua “Sì, ritrovarla io giuro” è cesellata in modo squisito ma soffre del taglio del coro.
Un concerto londinese del 1824 fornisce il pretesto per due dei brani più riusciti del programma. Il duetto dell’”Armida” “Principessa, sei tu…Amor…Possente nome!” permette la partecipazione di Cecilia Bartoli al programma. La perfetta intesa tra i due cantanti si percepisce anche solo con questo ascolto. Camarena è un Rinaldo ideale per il timbro luminosamente eroico e per la nobiltà d’accento; La Bartoli è forse vocalmente un po’ povera per Armida ma la qualità del fraseggio e l’intensità espressiva compensano ampiamente.
Chiude il programma “S’ella mi è ognor fedele Qual sarà mai la gioia” da “Ricciardo e Zoraide” in cui Camarena dà un’autentica lezione di canto rossiniano. Voce radiosa, acuti facilissimi e squillanti, assoluto aplomb anche nei più impervi passaggi di coloratura, perfezione formale che non sacrifica l’intensità espressiva. Un vero peccato il taglio degli interventi di Ernesto che comprometttono la perfetta geometria di un brano la cui esecuzione sarebbe stata altrimenti da antologia.