Bergamo, Teatro Sociale, Festival Donizetti Opera 2019
“LUCREZIA BORGIA”
Opera seria in un prologo e due atti di Felice Romani
Musica Gaetano Donizetti
Edizione critica a cura di Roger Parker e Rosie Ward
Don Alfonso MARKO MIMICA
Donna Lucrezia Borgia CARMELA REMIGIO
Gennaro XABIER ANDUAGA
Maffio Orsini VARDUHI ABRAHAMYAN
Jeppo Liverotto MANUEL PIERATTELLI
Don Apostolo Gazella ALEX MARTINI
Ascanio Petrucci ROBERTO MAIETTA
Oloferno Vitellozzo DANIELE LETTIERI
Gubetta ROCCO CAVALLUZZI
Rustighello EDOARDO MILLETTI
Astolfo FEDERICO BENETTI
Un usciere CLAUDIO CORRADI
Un coppiere ALESSANDRO YAGUE
La principessa Negroni FRANCESCA VERGA
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Banda di palcoscenico del Conservatorio Gaetano Donizetti di Bergamo
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del Coro Corrado Casati
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Luci Marco Alba
Coreografia Marta Negrini
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo in coproduzione con la Fondazione Teatri di Reggio Emilia, la Fondazione Teatri di Piacenza, la Fondazione Ravenna Manifestazioni e la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Bergamo, 22 novembre 2019
Un elemento scenico si abbassa verticalmente e spezza la culla vuota di un bambino rapito; anche la memoria della tragedia va in frantumi (quasi una citazione strehleriana: il sipario di ferro che distrugge il carretto dei Giganti della montagna), con i segni della violenza che restano a lungo visibili. La Lucrezia Borgia che il festival Donizetti Opera propone al Teatro Sociale di Bergamo è uno spettacolo velato di oscurità e marcato dalla violenza. Il giovane regista Andrea Bernard non ha voluto inserire alcuna suggestione rinascimentale, ma ha preferito ricostruire un incubo di colpevolezza per la protagonista. In effetti, già Felice Romani parlava della «nerezza del soggetto», rendendosi conto di «quanto scabrosa fosse l’impresa» di ridurre a melodramma italiano la tragedia francese di Victor Hugo. È singolare come tutti gli inconvenienti che l’opera dovette affrontare nel corso della sua tormentata storia esecutiva, dovuti alla censura, al gusto del pubblico, alle riprovazioni di critici e recensori, oggi si traducano in altrettanti problemi filologici; l’edizione critica appena ultimata da Roger Parker e Rosie Ward dà conto infatti dell’esistenza di nove versioni in cui Donizetti intervenne per modificare l’opera tra 1836 e 1842, dopo la prima scaligera del 1833. Sostituzioni, tagli, accorciamenti e numeri nuovi; e poi versioni francesi e cambi di titolo (Eustorgia da Romano, Elisa da Fosco, La rinnegata: tutti travestimenti di Lucrezia Borgia al fine di evitare i rifiuti della censura). Di fronte a una restituzione critica tanto ricca di varianti d’autore, il direttore Riccardo Frizza ha optato non per una versione in particolare, bensì per un assemblaggio di due: la prima milanese del 1833 e quella preparata per il Théâtre Italien di Parigi nel 1840. Così, nel prologo la seconda strofe del cantabile di Lucrezia è sostituita con la cabaletta «Si voli il primo a cogliere»; nel finale I si adotta la nuova versione della cabaletta del duetto tra Lucrezia e Don Alfonso «Oh! a te bada», scritta a Firenze nel 1836; è conservato il duetto tra Orsini e Gennaro del II atto (n. 7 della partitura), ma anche la romanza sostitutiva scritta per Mario, «Anch’io provai le tenere»; nel finale dell’opera il soprano canta soltanto una strofe della cabaletta, secondo quanto Donizetti propose a Luigia Boccabadati nella ripresa fiorentina del 1836. Dal momento che è impossibile ricostruire quale sarebbe stata l’ultima versione licenziata dall’autore, ogni scelta compiuta sulle fonti appare legittima; tuttavia, non è lo stesso optare per la versione ridotta della cabaletta finale (omessa nella ripresa scaligera del 1840, nella versione francese di Metz e nella ripresa romana dell’anno dopo) o porre in successione l’aria composta per sostituire il duetto del n. 7 e il duetto stesso. In questo secondo caso, va ricordato che nessuna delle nove edizioni a cui prese parte il compositore contemplava la presenza di entrambi i numeri, per il semplice fatto che il più recente era nato per rimpiazzare l’altro; sul piano drammaturgico e musicale l’accostamento riesce più che plausibile, mentre su quello storico rasenta l’incongruenza (forse per questo, nel programma di sala si parla a p. 49 di «ricostruire le varie versioni storiche, o immaginarne altre come in questa occasione»?). Riccardo Frizza asseconda molto i cantanti nei momenti solistici, anche con tempi piuttosto rilassati, in una prima rappresentazione che avrebbe meritato qualche prova in più. Nel corso del prologo serpeggia un po’ di nervosismo da première, sia nell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini sia nei cantanti (mentre sono perfetti gli interventi della Banda del Conservatorio sul palco); poi l’atmosfera si distende e ogni artista riesce a qualificarsi positivamente, come dimostra il completo apprezzamento del pubblico alla fine. Carmela Remigio torna a Bergamo dopo un anno – nel 2018 fu una splendida Amelia nel Castello di Kenilworth – per interpretare un personaggio vocalmente e scenicamente difficile come Lucrezia. Il soprano affronta con sicurezza i punti più drammatici della parte, anche se la voce appare un po’ leggera rispetto alle richieste; a volte è costretta a semplificare l’emissione nelle agilità o a ricorrere all’inflessione parlata. Xabier Anduaga è un Gennaro squillante, dal timbro di delicato tenore rossiniano (anch’egli l’anno scorso fu molto apprezzato nel Castello di Kenilworth). Qualche piccolo difetto di dizione pregiudica il fraseggio, così come la linea di canto in alcune frasi discendenti pregiudica l’intonazione; comunque, nell’aria del II atto Anduaga dà il meglio di sé, soprattutto grazie alle mezze voci. Nella parte di Maffio Orsini il contralto Varduhi Abrahamyan non soddisfa pienamente le aspettative: dopo il ragguardevole Arsace nella Semiramide di Pesaro della scorsa estate, ora l’emissione si sente più affaticata, come ostacolata nella fluidità e peggiorata nella pronuncia; si risolleva però nel celebre brindisi del II atto. Ha un timbro molto bello il basso Marko Mimica, nella parte di Don Alfonso, e con la presenza scenica incarna perfettamente il personaggio antagonista, bramoso di vendetta. Tra i molti personaggi minori occorre segnalare il Rustighello di Edoardo Milletti, molto preciso nel porgere, e l’Astolfo di Federico Benetti (più a suo agio rispetto all’Ange de Nisida). Anche tutti gli altri comprimari hanno dimostrato grande professionalità, specialmente nei momenti d’insieme, in cui risalta il lavoro impeccabile di Corrado Casati, che ha preparato il Coro del Teatro Municipale di Piacenza. Il numero musicale più convincente è senza dubbio il terzetto del I atto con soprano, tenore e basso impegnati a difendere i propri sentimenti più istintivi: l’onore del giovane ribelle, la gelosia del marito oltraggiato, l’ansia di una madre che teme di perdere il figlio. In pratica sono le emozioni attorno alle quali si sviluppa tutto lo spettacolo di Andrea Bernard, in un susseguirsi di presenze animalesche e mostruose, un universo maschile e nereggiante in cui spicca, come macchia vivida e nemica di tutti, il vaporoso abito giallo di Lucrezia. Molto accurati i costumi di Elena Beccaro, funzionali alla resa di una dark age dominata dallo stupro e dalla volgarità. Rispetto a questo clima stride il cartiglio proiettato durante il preludio iniziale, una preziosa citazione letteraria della Didaché (II 2), di cui la storia a seguire costituisce l’esatto opposto: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non fornicherai, … non praticherai la magia, non userai veleni, non farai morire il figlio per l’aborto né lo ucciderai appena nato». Foto Gianfranco Rota © Festival Donizetti Opera