Verona, Teatro Filarmonico, Rassegna autunnale della Fondazione Arena
“IL MATRIMONIO SEGRETO”
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Giovanni Bertati, dalla commedia “The Clandestine Marriage” di George Colman Senior e David Garrick.
Musica di Domenico Cimarosa
Carolina VERONICA GRANATIERO
Il signor Geronimo SALVATORE SALVAGGIO
Paolino MATTEO MEZZARO
Il conte Robinson ALESSANDRO ABIS
Fidalma IRENE MOLINARI
Elisetta ROSANNA LO GRECO
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Alessandro Bonato
Regia Marco Castoldi, in arte Morgan
Scene Patrizia Bocconi
Costumi Giuseppe Magistro
Luci Paolo Mazzon
Verona, 27 ottobre 2019
Marco Castoldi, in arte Morgan, regista di questa attesa prima assieme a Catia Pongiluppi, afferma di aver immaginato una “barock opera” cimentandosi nel Matrimonio segreto (che opera barocca non è, evidentemente, essendo andato in scena un anno dopo la morte di Mozart, né tantomeno rock). In effetti, se il barocco è sinonimo di horror vacui, la regia è coerente con se stessa, perché, in evidente imbarazzo con la scarsa profondità psicologica che il libretto di Bertati offre, opta per una versione caricaturale. La partitura di Cimarosa è galante e senza troppi colpi di genio, congegno perfetto e privo di contrasti, e non si presta alle sovrastrutture registiche moderne: formalmente perfetta, non ha bisogno di aggiunte formali, quanto piuttosto, a voler osare, di un’interpretazione che, lucidati i dettagli, ne restituisca la sua innocente comicità originaria, talvolta perfino ingenua. Purtroppo, si tratta di una comicità sconosciuta allo spettacolo contemporaneo, e a quello televisivo in particolare, ove allusione ed ironia, tratti distintivi del teatro settecentesco, sono ormai elementi anacronistici e assenti, perché – ahinoi – chi le comprende più? E’ dunque arduo restituire oggigiorno la cifra comica di un’opera come il Matrimonio segreto, e ciò vale a prescindere dai luoghi e dai registi, perché nessuno si sposa più in segreto, almeno in Occidente, ed era qui tutto il pepe della trama. Tuttavia, a voler rendere giustizia a questa musica, andrebbe recuperato quanto è andato perduto, altrimenti, smarriti i significati e l’ironia, a noi moderni non rimane che scimmiottare l’atto coniugale, senza ombra di passione tantomeno clandestina, con un tenore che si abbassa i pantaloni per consumare (e manco se li toglie) mentre la mogliettina gli mima uno streap. La scena ambisce ad essere minimal, ma risulta triste e in dissonanza con la storiella brillante che ospita, Patrizia Bocconi ci versa su qualche barattolo di colori primari, piazza poltrone kitch a iosa (sulle quali, peraltro, ci si siede poco), Giuseppe Magistro veste i personaggi a quadretti bianchi e neri – aggiungi qualche zombie sullo sfondo e tutto a un tratto la sposa, da segreta, è divenuta cadavere. Le parrucche, esagerate e sporcate di colori acidi ricordano quella di Elio al Sanremo del 2008, quando cantava il Largo al Factotum, omettendo le ultime due lettere del nome Figaro. Numerosi mimi, vestiti di abiti e parrucche nere, popolano lo sfondo, muovendosi con una circospezione tale da far credere – chissà perché – che la casa di Geronimo nasconda segreti ben più lugubri d’un matrimonio. Al cast, vocalmente azzeccato e scenicamente affiatato, non è stata data la possibilità di esprimersi al cento per cento, essendo la tendenza registica macchiettistica, fino quasi al parossismo: cosicché la simpatica gelosia delle due sorelle è divenuta un astio senza ragioni, Elisetta si è trasformata in una civetta in autoreggenti allucinata, nessuna particolare complicità emerge dal rapporto tra Paolino e il Conte tale da giustificare il ripensamento finale di Robinson a favore dell’amico sposo, Fidalma, la zia invaghita di Paolino, ha strane passioni e va in giro per casa armata di frustino. Non siamo contrari agli esperimenti per principio, ma, diceva qualcuno, se si vogliono fare i baffi alla Gioconda bisogna farglieli bene: e non pare sia questo il caso. Voci e direzione riscattano la discutibilità della scena. Alessandro Bonato dirige con un controllato nervosismo che dà elettricità a tutta la partitura, accentua colori e ne aggiunge di suoi, dando impennate improvvise di crescendo alternate e piani improvvisi squisitamente buffi. Lo spirito generale, articolato e birichino, lieve come un riccio rococò, è ben colto sin dall’Ouverture, che dà la sensazione di una montagna russa, rapida e eccitante.La protagonista, Veronica Granatiero, mette in scena una Carolina grintosa, con voce smaltata e dizione catturante. Il Paolino di Matteo Mezzaro è meno volitivo, il colore della voce è bello ma, come talvolta gli abbiamo sentito fare, è un’altalena un po’ sui generis tra suoni bene in maschera ed altri meno, sì da rendere l’intelligibilità del canto vagamente alterna: lo gradiremmo più omogeneo, secondo le qualità di cui lo sappiamo capace.Gli altri personaggi risultano scenicamente meno credibili, costretti in una specie di domestica isteria, ma le voci sono omogeneamente adatte alle richieste della partitura. Salvatore Selvaggio mette in scena un signor Geronimo venale e un po’ strambo, e ci è simpatico, con la sua sordità ad orologeria, phisique du role perfetto e voce adeguatissima al ruolo buffo. Molto bene anche Alessandro Abis nei panni del conte Robinson, il personaggio pedante e imbranato, la voce è convincente pur non possedendo acuti particolarmente brillanti. Irene Molinari, arrivata in generale a sostituire l’ammalata Monica Bacelli, possiede un bel timbro, lo scarto tra registro di petto e quello di testa però è abbastanza drastico e risulta meno udibile nelle note gravi, tuttavia il personaggio è ben tratteggiato (sia pur nelle sue derive bondage). Elisetta è quella ad aver sofferto di più della manipolazione registica: Rosanna Lo Greco è ammirevole nell’interpretare la stralunata ma il significato del suo personaggio è irrimediabilmente compromesso. Peccato, perché la voce è suadente e si combina bene con quella più fresca della Granatiero. Ci hanno lasciato un po’ interdetti solo certe agilità: anche qui difficile stabilire se la loro stravaganza fosse corredo della maschera che le è stata assegnata. Nonostante le nostre perplessità, il pubblico sembra essersi divertito ed ha tributato applausi sinceri, in particolari al Maestro Bonato e alla protagonista Granatiero. Foto Ennevi per Fondazione Arena