Verona, Teatro Filarmonico, Accademia Filarmonica di Verona, XXVIII Settembre dell’Accademia
Chamber Orchestra of Europe
Direttore e pianoforte Sir András Schiff
Franz Joseph Haydn: “L’isola disabitata” Hob.XXVIII:9 (ouverture); Concerto per pianoforte e orchestra n. 11 in Re maggiore Hob.XVIII:11; Sinfonia n. 88 in sol maggiore Hob.I:88
Felix Mendelssohn Bartholdy: Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in sol minore Op. 25; Sinfonia n. 4 in la maggiore Op. 90 “Italiana”
Verona, 8 ottobre 2019
Il maestro András Schiff, ancora una volta, ci fa gustare la musica nella sua aurea purezza. La direzione del Sir è devota dello spartito, il gesto sobrio e sempre elegante. Schiff porge la musica ai suoi orchestrali come cibo prelibatissimo, e con le labbra un po’ all’infuori, sembra raccomandarsi “Sì, però con garbo!”. La sua forza d’attrazione è altra che quella dei sensi: la sua concezione del far musica è artigianale, antica (ma non antiquata), scevra di qualsiasi elemento d’apparenza (in controtendenza al mercato musicale d’oggi), aristocratica ma perfettamente decifrabile. La Chamber Orchestra of Europe, che ha svolto un magnifico lavoro, attacca l’Ouverture de l’Isola disabitata di Haydn con la solennità e la compostezza d’un oratorio sacro, e subito ci sentiamo convocati di fronte a qualcosa di sommamente serio e bello. Gli accenti sono tutti al posto giusto, espressi con vigore quasi beethoveniano, l’esecuzione è facile, i volumi sonori proporzionatissimi, si odono con eguale nitore il borbottio del timpano e lo squillo del flauto. Magnificenza e dettaglio sono ugualmente serviti e soddisfatti. L’ultimo tempo della Sinfonia è un congegno perfetto, di quelli tipici dell’autore, inarrestabili e contenti, con colpi di scena a non finire, e la resa è intrisa di quel senso dell’humor che sprizza da tutti i pori del genio Haydn. Nel Concerto, dal punto di vista timbrico, il suono del grancoda rimane un po’ scollato da quello orchestrale. Schiff, però, anche qui coglie perfettamente la cifra umoristica del pezzo (nemmeno a dirlo, senza mai gigionare). Nel primo movimento l’articolazione, vagamente rallentata, conferisce allo spartito pianistico un che di pensoso, mentre il finale è smagliante. L’orchestra accompagna in adorabile comunione di intenti, rispondendo con freschezza ad ogni proposta proveniente dalla tastiera. Nel primo tempo del Concerto in sol minore di Mendelssohn, abbiamo apprezzato molto quell’oncia di pedale in più sulle ottave iniziali del pianoforte (lo “staccato” che vi si trova nella maggior parte delle edizioni non è originale e non giova alla scura teatralità di questo inizio a dir poco clamoroso) e un’agogica del tutto particolare, sinuosa e rispettosa del linguaggio armonico. Anche qui, il pianismo di Schiff ha un che di meditativo, tanto che pare essere in ritardo rispetto al tempo dell’orchestra, per poi magicamente trovarsi sempre puntuale con questa. La personalità di Andras ben si addice a quella di Felix, entrambi sono gran signori, ma nel complesso in questo primo movimento manca un po’ di ruggito. L’Andante, al contrario, è decisamente troppo andante, tanto che risulta quasi semplificato nel suo pacato lirismo. Bellissimo invece è stato l’impasto quartettistico degli archi gravi sull’adorabile tema principale. Anche nell’ultimo movimento Schiff si accomoda, metronomicamente parlando, con grande nonchalance, laddove la scrittura non consentirebbe tregua (come in gran parte della musica di Mendelssohn, il brano pare un moto perpetuo), per poi ritrovarsi sempre e magicamente in orario col “tutti”. Mancano i fuochi d’artificio (d’altra parte, il pianismo di Schiff, evidentemente, non è atletico) ma il valore di questa fulgida composizione è reso con giustizia. Del Mendelssohn pianistico, frequentato – purtroppo – da pochi, Schiff ci regala ancora due perle: la Romanza senza parole Op. 19 N. 1, in cui stupendo è stato l’emergere della voce di basso nella ripresa, e l’opera 67 N. 4, “canto della filatura”, altro perpetuum mobile assai in voga tra i virtuosi del secolo scorso.Nella Sinfonia Italiana l’orchestra ha sfoggiato agilità e gusto in massimo grado. Al primo tempo, nitidissimo e perfettamente sincronizzato nella sua batteria di fiati (prova difficilissima) è seguito il “canto dei pellegrini”, suonato con estrema cura ma poco ardore popolare. Schiff ha giocato poi lo Scherzo in una chiave serena e sottovoce, rischiando una versione quasi sonnolenta, mentre la Tarantella è stata più corretta metronomicamente, ma osiamo dire che questo finale potrebbe essere suonato con ancor più fragore e strafottenza, ben consci che è difficile, se non impossibile, trasformare un Sir in un mariuolo.Gli entusiasti applausi hanno ottenuto dall’orchestra un’ultima prova di ottimo virtuosismo, con l’amato Scherzo dal Sogno di una notte di mezza estate, capolavoro nel suo genere, in cui il flauto ha avuto un meritatissimo momento di gloria. Foto Studio Brenzoni