L’opera contemporanea negli USA – 5: “p r i s m” (2018) di Ellen Reid

p r i s m, music by Ellen Reid e libretto by Roxie Perkins. Anna Schubert (Bibi); Roxie Perkins (Lumee). The Choir of Trinity Wall Street. Julian Wachner (direttore). Registrazione: New York, PROTOTYPE Festival 2019, La MaMa, 10-12 gennaio 2019. 1 CD Decca Gold

Premiata con il Premio Pulitzer per la Musica 2019, p r i s m di Ellen Reid, su libretto di Roxie Perkins, affronta una tematica di drammatica e purtroppo stringente  attualità, consistente nelle ripercussioni psicologiche vissute da una donna che ha subito abusi di natura sessuale. In quest’opera, rappresentata per la prima volta a Los Angeles il 29 novembre 2018, le due artiste hanno affrontato il tema con grande sensibilità e lucidità. Protagoniste sono, infatti, due donne, Bibi, una ragazza malata, e la sua iperprotettiva madre di nome Lumee le quali, vivono, da recluse nella loro casa, da loro chiamata «sanctuary» (santuario). Le due donne cercano di proteggersi vicendevolmente da una malattia che incombe fuori dalla porta del loro incontaminato santuario e che ha già colpito le gambe di Bibi causandone la paralisi. Per guarire dalla malattia Lumee, infatti, dà ogni giorno a Bibi la medicina che la giovane, spaventata da una non ben precisata situazione esterna chiamata Outside (Esterno), non assume. Una notte, volendo compiacere la madre, cerca di ingoiare tutte le dosi non assunte in precedenza, ma viene fermata da una luce Blu che, opponendosi a quella gialla dell’interno, penetra dall’esterno nel santuario ed esercita un forte fascino su di lei, inducendola a ribellarsi alla madre. Quasi accecata da colori e memorie, Bibi, costretta a scegliere se abbandonare la madre per scoprire la verità sulla sua malattia o continuare a credere alle storie da lei raccontatele, alla fine, evade gettandosi fuori in un vuoto abbagliante e luminoso senza voltarsi indietro e lasciando sola Lumee.

Attraverso le simbologie dei colori, il giallo dell’interno e il blu dell’esterno, e la malattia che affligge Bibi, l’opera esplora, con lucidità, l’elasticità della memoria dopo il trauma di un abuso sessuale e soprattutto l’inconscio che inizialmente impedisce alla protagonista di muoversi. A tale proposito è certamente emblematica la metafora delle gambe affette da una malattia paralizzante. Durante l’opera si avverte una progressiva emersione dell’inconscio di Bibi che assume sempre più consapevolezza di sé. La musica di Ellen Reid riesce pienamente a rappresentare quest’evoluzione della coscienza attraverso una scrittura che fa ricorso a un caleidoscopio di linguaggi; si va, infatti, da una scrittura tonale che guarda all’impressionismo nel primo atto, fino ad una musica che non si serve del pentagramma e a volte è chiaramenre fuori dal tempo  per rappresentare una realtà franta in cui regna il rumore nel terzo atto. Non mancano incursioni nel trap e il ricorso a una scrittura che nel secondo atto richiama il gregoriano. Del resto ognuno dei tre atti presenta situazioni diverse e, se il primo che si svolge nel «Sanctuary» ha qualcosa di impressionistico, il secondo è realistico, mentre il terzo produce situazioni quasi di sospensione che si concludono con un richiamo del coro perentorio e in un certo qual modo allucinato (Run) a una Bibi incerta se abbandonare la madre o restare nel santuario. In effetti, il coro, chiamato nella partitura Chroma, costituisce un terzo personaggio invisibile che, quando si materializza sulla scena, assume la forma di ballerini e ballerine di diverse età, dal momento che esso incarna un qualcosa di indefinito, e precisamente, come si può leggere nel libretto, un’idra, al tempo stesso, maschile e femminile, vecchio e giovane, che si presenta come gli occhiali dell’interiorità repressa di Bibi.

Moderna e di particolare interesse è anche l’orchestrazione per l’uso di sonorità spesso allucinate che rappresentano bene il magma incandescente della memoria e dell’inconscio e per gli effetti ottenuti anche con strumenti particolari come il waterphone, impiegato soprattutto nelle colonne sonore dei film horror, e il flexatone il cui suono può dare delle sensazioni inquietanti. Infine anche la scrittura vocale segue l’evoluzione di Bibi che all’inizio presenta elementi di maggiore liricità per svilupparsi in forme molto più espressive che rappresentano il disagio del personaggio nel terzo dove anche Lumee canta dei suoni senza tempo o meglio come indicato in partitura Out of time (fuori dal tempo).
Ottima l’incisione, distribuita dalla Decca Gold, a partire dalla concertazione di Julian Wachner che riesce a far emergere tutte le caratteristiche di questa complessa partitura lavorando su ogni dettaglio ottenendo dall’orchestra delle sonorità adeguate ed effetti capaci di rendere l’atmosfera allucinata che, a volte, si crea attorno ai personaggi. Vocalmente solida e dotata di una voce omogenea con acuti squillanti, Anna Schubert è una Bibi particolarmente convincente dal punto di vista interpretativo. L’artista riesce a rendere bene la complessità del suo personaggio. Al suo fianco Rebecca Jo Loeb, voce dal timbro abbastanza chiaro e quasi sovrapponibile con quella della Schubert, nonostante sia un mezzosoprano, appare per questa ragione una Lumee pienamente convincente nel suo atteggiamento iperprotettivo nei confronti della donna e una forma di alter ego. Ottima infine la prova del Choir of Trinity Wall Street.