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Louis Karchin (8 Settembre 1951) è un compositore, direttore d’orchestra ed educatore americano, autore di più di sessanta lavori fra cui musica senza accompagnamento e da camera, sinfonie e opere, fra le quali Jane Eyre. È stato così cortese da concederci un po’ del suo tempo per raccontarci qualcosa su questa sua creazione.
Ci può raccontare la genesi compositiva di Jan Eyre?
L’idea di mettere in musica Jane Eyre è venuta dalla mia librettista, Diane Osen. Conoscevo certamente il soggetto e avevo visto uno degli adattamenti cinematografici, quand’ero ancora ventenne. Ciò che mi ha sempre colpito di questa vicenda è il suo carattere operistico – c’è una grande storia d’amore, un misto di tragedia, felicità e orrore e, naturalmente, ci sono dei personaggi meravigliosamente vividi e altamente sviluppati che Charlotte Brontë, l’autrice del romanzo, ha creato.
Perché ha scelto un soggetto tanto famoso che è stato anche oggetto di trasposizioni cinematografiche?
I film sono molto diversi dalle opere. Sono più realistici ed esplorano i personaggi attraverso scelte recitative e sceniche insite nel copione e operate dal regista. Rendere in musica una storia è, per me, un’altra cosa — in quanto compositore, usi un linguaggio differente (astratto) per esplorare la dimensione interiore dei personaggi, e quindi ti sforzi di creare per loro una dimensione interamente nuova.
Dal punto di vista musicale il linguaggio da lei utilizzato è fondamentalmente atonale con prevalenza di “intervalli di seconda”, nonostante vi siano alcuni passi in “tonalità allargata” come il finale dell’opera. Può spiegarci se la scelta dei diversi linguaggi è legata alle situazioni drammatiche e ai personaggi?
Certo. Molti hanno commentato l’ampia gamma di espressioni musicali in Jane Eyre. Lo stesso è stato per altri miei lavori, inclusa la mia prima opera, Romulus, o altri cicli per voce e strumenti che ho scritto, come American Visions e Orpheus, e lavori strumentali come il mio Third String Quartet, e i duetti per pianoforte e violino Sonata da camara e Rhapsody. In Jane Eyre, la varietà di linguaggio armonico è più pronunciata semplicemente perché il lavoro è più complesso, anche nella durata. Due momenti dell’opera in cui penso che questo contrasto funzioni particolarmente bene sono la prima e la seconda scena del terzo atto. La prima scena illustra il lato “dolce” del personaggio di Saint John, quando salva Jane, la porta a casa sua e le fa avere un lavoro da insegnante in una scuola di campagna. Nella seconda scena, Saint John cerca senza successo di convincere Jane a sposarlo e diventa ostinato e rabbioso. La prima scena si poggia in maniera rilevante sulla tonalità (anche se non esclusivamente), mentre la seconda sull’atonalità (anche in questo caso, non esclusivamente). Si tratta di una correlazione uno-a-uno, come se un linguaggio possa esprimere una sola emozione, contrapposta alla possibilità dei linguaggi armonici di ampliare la gamma espressiva generale. Tutto ciò è importante in un lavoro musicale della durata di più di due ore.
Ci sono procedimenti tradizionali?
Normalmente, cerco di evitare le formule, ma di far riferimento a caratteristiche generali: il primo atto è più episodico e contiene due arie a testa per Jane e Rochester, i protagonisti dell’opera. Dopodiché, il secondo e il terzo atto si poggiano più su monologhi, duetti e movimento arioso e sono più diversificati dal punto di vista musicale.
Dal punto di vista vocale è possibile trovare intervalli a volte di non semplice intonazione e che superano l’ottava. Ci sono delle ragioni particolari per questa scrittura vocale che appare a tratti “impervia”?
Dal punto di vista vocale, le parti più difficili sono quelle di Jane e Rochester, ed è vero che nelle sezioni più atonali ci sono alcuni salti difficili per ottenere un effetto drammatico. Ma la cosa importante è che questa scrittura impegnativa non è una costante. Ci sono molti momenti in cui i cantanti possono rilassarsi. Spero che i cantanti (e il pubblico) trovino lirica la maggior parte del lavoro. Quindi, come già detto, l’idea del contrasto è estremamente importante.
Infine, sembra che la dichiarazione I love you di Jane Eyre su un accordo di do maggiore in secondo rivolto costituisca la ricomposizione e lo scioglimento musicale del dramma condotto tramite dissonanze che rappresentano gli ostacoli. È corretta questa interpretazione?
Si. Direi che il duetto finale degli amanti, molto tonale, in generale, rappresenti la risoluzione di molti degli ostacoli che Jane e Rochester affrontano. Ora possono sposarsi e, benché affronteranno altre difficoltà causate dai problemi fisici di Rochester, la maggior parte dei dilemmi insiti nell’opera sono stati affrontati. Qui la risoluzione dall’armonia alla tonalità rispecchia in tutto e per tutto la risoluzione di molti elementi della trama.
Quali sono le difficoltà che deve incontrare, soprattutto in rapporto con il pubblico, un compositore contemporaneo che scrive opere?
Penso che il pubblico sia molto intrigato dalle nuove opere e sia anche deciso a dar loro una possibilità. Tuttavia, non vuole annoiarsi e molti degli elementi tradizionali dell’opera — una trama convincente, passaggi che sviluppino i pensieri più intimi dei personaggi, musica memorabile — sono cose che il pubblico si aspetta poiché sono ciò che fa’ amare agli spettatori le opere che già conoscono. Quindi il mio scopo era di partire da certe tradizioni e non di scardinarle. Ci sono dei “leitmotifs” in Jane Eyre, che rappresentano in particolare i personaggi più secondari, quali Bessie, Mrs. Fairfax, e anche Grace Poole (che viene citata, ma non compare mai sul palco). Ci sono delle vere arie, come già detto, per Jane e Rochester, e dei monologhi che conducono ai momenti culminanti. Ci sono degli intermezzi strumentali e una capolavoro orchestrale, l’Overture del terzo atto, che arriva inaspettatamente: subito dopo l’inchino che, come da tradizione, l’orchestra farebbe prima dell’inizio del terzo atto.
Quali sono, secondo lei, le caratteristiche che dovrebbe avere il teatro d’opera nel terzo millennio?
Direi che la caratteristica primaria in assoluto sia l’ampia gamma di sperimentazioni che attualmente caratterizza l’opera. Questa forma di espressione artistica sta cambiando e viene messa alla prova, ma un compositore può provare ad essere innovativo e, allo stesso tempo, non avere la fretta di abbandonare certe caratteristiche che hanno funzionato benissimo per secoli.
Louis Karchin (born September 8, 1951) is an American composer, conductor and educator who has composed over sixty works including unaccompanied and chamber music, symphonic works and operas, among which there is Jane Eyre. He has been so gracious to find some time to tell us about this opera.
Could you tell us how this opera originated?
The idea to set Jane Eyre came from my librettist, Diane Osen. But I had known the story for quite awhile, and had seen one of the original Jane Eyre movies when I was in my early 20’s. The story always struck me as operatic – there is a great love affair, a mixture of tragedy, happiness and horror, and of course, there are wonderfully vivid, highly developed characters that Charlotte Brontë, the author of the novel, created.
Why did you choose such a famous subject, which has been already used for movies?
Movies are very different from opera. They are more realistic, and probe the characters through the acting and scenic choices of the script writer and director. Expressing a story musically seems to me another world — as a composer, you use a different language (an abstract one) to probe the inner lives of the characters, and thus endeavor to create an entirely new dimension for them.
Music – wise, the language you used is fundamentally atonal with second intermissions prevailing, in spite of some passages in extended key like the finale. Can you explain us if the different choices are linked to the dramatic situations and the characters?
Certainly. Many people have commented on the wide range of musical expression in Jane Eyre. This is similar to other works of mine, including my first opera, Romulus, other vocal-instrumental song cycles I’ve written, American Visions, and Orpheus, and instrumental works such as my Third String Quartet, and violin and piano duos Sonata da camara and Rhapsody. In Jane Eyre, the variety of the harmonic language is more pronounced simply because the work is longer. One area of the opera in which I think this contrast works particularly well is in the first and second scenes of the third act. The first scene illustrates the “sweet” side of Saint John’s character, as he rescues Jane, takes her into his home, and sets her up in a teaching position in a country schoolhouse. In the second scene, Saint John tries without success to convince Jane to marry him, and he grows stubborn and angry. The first scene relies heavily on tonality (although not exclusively), and the second scene on atonality (again, not exclusively). It’s not a one-to-one correlation, or as if one language can express only one emotion, but rather that the contrast in harmonic languages can widen the range of expression overall. This is important in a work that encompasses over two hours of music.
Are there any standard procedures?
I try to avoid formulas in general, but to cite some overall characteristics: the first act is more episodic and contains two arias each for Jane and Rochester, the protagonists of the opera. After that, the second and third acts rely more on monologues, duets and arioso passages, and are more through-composed.
Voice – wise, we can find intermissions that sometimes don’t have an easy intonation and that exceed the octave. Are there any particular reasons for this vocal writing that seems demanding at times?
The most demanding parts vocally are those of Jane and Rochester, and it’s true that in the more atonal sections there are some difficult leaps for dramatic effect. But the important thing is that this challenging writing is not constant. There are many places where the singers can relax. I hope singers (and the audience) will find much of the work lyrical. So again, the idea of contrast is extremely important.
Finally, it seems as if Jane Eyre’s declaration I love you in C major in second inversion represents both the musical reconstruction and termination of the drama, through dissonances representing the obstacles: is this interpretation correct?
Yes. I would say that the very tonal love duet at the end, in general, represents the resolution of many of the obstacles facing Jane and Rochester. They can now be married, and even though they will face difficulties because of Rochester’s physical problems, most of the opera’s dilemmas now have been addressed. Here the resolution of harmony to tonality does mirror the resolution of various plot elements of the story.
Audience – wise, which difficulties does a contemporary operatic composer meet?
I thiink that audiences are very intrigued by, and willing to sample, new opera. They do not want to be bored, however, and many of the traditions of opera — a compelling plot, passages that develop the inner thoughts of the characters, memorable music — are things that opera audiences have come to expect because they have found and loved these features in operas they know already. So my aim was to build on certain traditions, not discard them. There are “leitmotifs” in Jane Eyre, representing particularly the more minor characters, such as Bessie, Mrs. Fairfax, and even Grace Poole (who is mentioned but never appears on stage). There are real arias, as mentioned above, for Jane and Rochester, and monologues that build to climaxes. There are orchestral interludes and an orchestral showpiece, the Overture to Act 3, which occurs at an expected moment: immediately following the bow that the orchestra would traditionally take before the beginning of the third act.
In your opinion, what are the features of the third millenium operatic theatre?
I would say that the primary characteristic is the wide range of experimentation in opera today. The art form is changing and being challenged, but one can try to be new and at the same time not so quick to abandon features that have worked so well for centuries.
photo credit: J. Henry Fair
Versione italiana a cura di Paolo Tancredi.