A 170 anni dalla morte.
Fryderyk Chopin (Zelazowa Wola, Varsavia 1 marzo 1810 – Parigi, 17 ottobre 1849)
Composti tra il 1829 e 1830, i due concerti per pianoforte e orchestra di Fryderyk Chopin sono due opere giovanili influenzate dalla cultura musicale, per certi aspetti, un po’ provinciale che si respirava a Varsavia in quegli anni. Chopin, ancora diciannovenne, viveva ai margini delle grandi e importanti trasformazioni che stavano coinvolgendo la musica e, quindi, la sua conoscenza della produzione concertistica era alquanto limitata. Come tutti i compositori, anche Chopin ebbe suoi modelli di riferimento che a Varsavia, città solo sfiorata dalle grandi correnti culturali e musicali dell’epoca, erano rappresentati dalle opere di Hummel, Field, Steibelt e Gyrowetz, un compositore boemo, che, nei suoi lavori, non era rimasto estraneo ad una certa influenza haydniana. Con evidente riferimento a questi modelli nacquero i due Concerti per pianoforte e orchestra di Chopin nei quali è presente lo stile Biedermeier, nome attribuito a un personaggio immaginario uscito dalla penna di Adolf Kussmaul e Ludwig Eichrodt, con il quale s’identificò un’intera epoca i cui limiti temporali sono rappresentati indicativamente dal 1815, anno in cui in cui si celebrò la fine degli ideali rivoluzionari, e dal 1830, anno che vide l’affermazione della società borghese. In musica con questo termine vennero identificati tutti quei compositori, come Dussek, Cramer, Hummel, Field, Czerny e Ries, che in questo periodo cercarono tenacemente il successo, riuscendo ad ottenerlo grazie alle loro doti virtuosistiche. Lo stile Biedermeir trovò la sua realizzazione in questi due concerti, in particolar modo, nel trattamento della parte orchestrale, la cui funzione è limitata all’accompagnamento del solista, nel carattere militaresco del primo movimento del Primo concerto e nella scelta di concludere il lavoro con melodie tratte dal repertorio popolare.
Concerto n. 1 in mi minore per pianoforte e orchestra op. 11
Allegro maestoso – Romanza, larghetto –Rondò, Vivace
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Il Concerto n. 1 in mi minore per pianoforte e orchestra op. 11 di Chopin fu composto tra l’inverno e la primavera del 1830, un anno dopo la stesura del Concerto n. 2, nonostante sia catalogato con un numero d’opera inferiore, seguendo una prassi consolidata nell’Ottocento, in base alla quale la numerazione dell’opera era determinata dalla data di pubblicazione e non da quella di composizione. Questo concerto fu pubblicato a Parigi nel 1833 dalla Casa Editrice Schlesinger tre anni prima dell’altro concerto, sebbene fosse stato eseguito da Chopin, per la prima volta con l’orchestra, a casa sua, il 22 settembre e, in pubblico, l’11 ottobre del 1830 al Teatro Narodowy di Varsavia con un notevole successo testimoniato da una lettera del compositore stesso indirizzata al caro amico Titus Woyciechowski:
“Il Concerto ieri sera è stato un grande successo, e io mi premuro d’informarvene. Faccio sapere a vostra signoria ch’io non ero, assolutamente non ero, neppure un poco nervoso e che ho suonato nell’identico modo in cui mi accade di suonare quando sono da solo”.
Chopin, certamente, non sapeva che questo sarebbe stato l’ultimo suo concerto pubblico nella sua terra natale, in quanto, partito il 2 novembre per un viaggio d’istruzione, non avrebbe fatto più ritorno nella sua Polonia, dove stavano maturando quelle condizioni che avrebbero portato, a distanza di pochi mesi, alla gravissima insurrezione poi duramente repressa dallo zar. La grave situazione politica, in cui versava la Polonia in quell’anno, inoltre, era stata una delle cause del silenzio sull’esecuzione pubblica di questo concerto da parte della stampa che aveva preferito occuparsi dei fermenti insurrezionali dilaganti a Varsavia e preannunciati da una scritta apparsa, proprio nei giorni del concerto, sul muro della casa di Costantino, figlio dello zar Alessandro, in cui si poteva leggere: da affittare a partire dal prossimo anno.
Il Concerto n. 1, quindi, assume il significato di un addio alla Polonia da parte di Chopin che amò tanto intensamente la sua terra natia da donarle il suo cuore; alla sua morte, per suo esplicito desiderio, il suo cuore fu, infatti, raccolto in una teca e portato a Varsavia, dove adesso è custodito nella chiesa di Santa Croce. Dei due concerti, composti in gioventù come la maggior parte delle sue opere che si richiamano a forme classiche quali le sonate e gli scherzi, Chopin predilesse il secondo che eseguì con maggiore frequenza nelle sue rarissime apparizioni concertistiche; c’è da chiedersi se su questa preferenza pesò forse l’associazione psicologica tra il primo concerto, da lui eseguito prima della sua partenza dalla Polonia, e il senso doloroso di un distacco che si rivelò, suo malgrado, definitivo. La domanda è destinata a rimanere senza risposta anche perché questa scarsa predilezione per il primo concerto non potrebbe avere una spiegazione plausibile in una poco lusinghiera considerazione del livello artistico dell’opera da parte del compositore che, anzi, in una lettera sempre indirizzata a Titus, scrisse:
“Mi sento proprio come un novellino, come se fino a oggi non avessi saputo nulla di pianoforte. È forse troppo originale e potrebbe accadermi d’essere incapace d’imparare a suonarlo io stesso”.
Queste sono parole che non esprimono un giudizio sull’opera in quanto tale, ma evidenziano, semmai, una difficoltà di esecuzione anche per lo stesso autore che, al contrario, sembra volerne esaltare, sia pure indirettamente, l’originalità. Tale originalità non sfuggì nemmeno ad alcuni tra i più grandi virtuosi del pianoforte tra i quali non possiamo non ricordare Franz Liszt, Carl Tausig e Louis Moreau Gottshalk, per i quali questo concerto costituì un vero e proprio cavallo di battaglia.
Nel primo movimento, Allegro maestoso, il difficile equilibrio tra orchestra e solista si presenta sbilanciato a favore di quest’ultimo, in quanto il pianoforte assume un ruolo di assoluto protagonista relegando l’orchestra a quello, sia pure lievemente subordinato, di comprimaria. Ciò è evidente sin dall’esposizione nella quale il pianoforte non riprende meccanicamente i temi già esposti dall’orchestra, ma li varia in una forma virtuosistica; così l’eroico primo tema, affidato inizialmente nella sua forma lineare ai violini primi, nell’esposizione solistica è limitato alla prima scultorea semifrase ed è immediatamente variato dal pianoforte con eleganti e virtuosistici disegni che coprono il registro medio-acuto. In questo contesto virtuosistico si insinua una vena lirica che, sperimentata nei Tre Notturni op. 9, quasi contemporanei stempera i toni eroici iniziali tipici dello stile Biedermeier imperante in quel periodo, e li sviluppa in modo da creare un’atmosfera spirituale di melanconica tristezza. Virtuosismo e lirismo si fronteggiano in questa esposizione in un contrasto che si ripete anche nel passaggio dalla transizione, di elevato valore tecnico, al secondo tema, la cui scrittura non può non richiamare alla memoria quella della seconda parte del primo Notturno dell’Op. 9. L’orchestra, in questo movimento, sembra fare da spettatrice sottolineando i passi più importanti e cedendo la scena ad un pianoforte protagonista assoluto anche nel secondo movimento, Romanza (Larghetto), dove lirismo e scrittura virtuosistica, ancora una volta, s’integrano in modo così perfetto, nella parte del solista, da lasciare all’orchestra solo il brevissimo spazio di un’introduzione. L’idea tematica principale si rinnova, tutte le volte che appare, con eleganti variazioni che fioriscono ed arricchiscono il tema principale concepito in modo da attuare pienamente il classico rubato di Chopin. Nel Rondò conclusivo (Vivace) il pianoforte, ancora una volta protagonista indiscusso, si esibisce, dopo una breve quanto fugace introduzione orchestrale, in un brillante Krakoviak, tradizionale danza popolare polacca. Gli equilibri tra solista e orchestra sembrano confermati in questo tema iniziale affidato al pianoforte, ma l’orchestra interviene con prepotenza assumendosi l’onere di esporre il primo episodio rispondendo, così, senza alcun timore reverenziale, al protagonista che si esibisce nella prima ripresa del tema del Krakoviak.
Concerto n. 2 in fa minore per pianoforte e orchestra op. 21
Maestoso –Larghetto – Finale, Allegro vivace
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I caratteri peculiari dello stile Biedermeier si riflettono anche nel Concerto n. 2 in fa minore op. 21, composto tra il 1829 e l’inizio del 1830 ed eseguito per la prima volta in privato il 3 marzo 1830 e in pubblico a Varsavia il 17 marzo dello stesso anno. Questo Concerto, nonostante sia stato il più amato da Chopin, che lo eseguì con maggiore frequenza rispetto all’altro, nell’Ottocento non godette della stessa fortuna in quanto esso fu ripreso raramente da altri pianisti, tra i quali, però, spicca il nome illustre di Clara Schumann che mostrò di preferirlo negli ultimi anni della sua fulgida e brillante carriera. Dedicato a Delphine Potocka, bellissima donna, con la quale si riteneva che Chopin abbia intrattenuto una relazione testimoniata da alcune lettere rivelatesi, poi, inattendibili, il Concerto fu invece ispirato da un altro amore del compositore per un’allieva di canto del Conservatorio di Varsavia, Konstancja Gladkowoska. Questo amore, che rimase solo platonico, è testimoniato da una lettera del 3 ottobre 1829 indirizzata al suo amico Titus Woychiechovski dove si legge:
“Forse, per mia fortuna, ho trovato il mio ideale, a cui sono rimasto fedele, sebbene senza dire a lei una parola, per sei mesi; quella che sogno ed a cui è dedicato l’adagio del mio Concerto”.
Il primo movimento, Maestoso, si apre con un’introduzione orchestrale in cui vengono enunciati tutti gli elementi tematici che ne sono alla base. Il primo tema, apparentemente marziale per l’utilizzo dei ritmi puntati, presenta un carattere fortemente espressivo nella dolcezza della melodia che contraddistingue anche il secondo, affidato alle delicate sonorità dei legni. Dopo l’esposizione orchestrale il pianoforte fa il suo ingresso con un passo di carattere improvvisativo e diventa assoluto protagonista lasciando all’orchestra solo la funzione di accompagnamento, secondo i canoni dello stile Biedermeier. Il secondo movimento, Larghetto, e non Adagio, come è stato chiamato nella lettera citata in precedenza, presenta un accentuato lirismo che non esprime soltanto l’amore tutto romantico di Chopin per Konstancja, ma riflette anche lo stile Biedermeier per la sua scrittura di ascendenza operistica. Di particolare suggestione è la parte centrale nella quale il pianoforte si esibisce su veloci gruppi irregolari. Come nel primo, anche nel secondo Concerto l’ultimo movimento attinge il suo materiale musicale dal repertorio popolare, rappresentato, in questo caso, da una mazurca di straordinaria leggerezza.