A 170 anni dalla morte.
Fryderyk Chopin (Zelazowa Wola, Varsavia 1 marzo 1810 – Parigi, 17 ottobre 1849)
to a Zelazowa Wola, nei pressi di Varsavia, nel 1810, da un oriundo francese che lavorava come precettore dei figli del conte Skarbek, fin dalla tenera età, Fryderyk Chopin dimostrò grande talento musicale. Appena il padre si trasferì a Varsavia per insegnare francese in un liceo, Chopin cominciò a studiare pianoforte e composizione con il pianista Wojciech Żywny. A soli sette anni compose due polacche e una marcia, che furono subito pubblicate, e a 8 si esibì per la prima volta in un concerto pubblico. Dopo aver frequentato il Liceo, s’iscrisse al Conservatorio di Varsavia dove studiò con Józef Elsner e compose alcune opere tra cui un Rondò e delle Variazioni. Nel 1828 cominciò a viaggiare facendo delle tournée nelle principali città europee e nel 1830 lasciò per sempre la sua famiglia e la Polonia nella quale non sarebbe più ritornato a causa dello scoppio, a Varsavia, di una rivolta repressa nel sangue dallo zar Alessandro I, che, secondo Maurycy Karasowsk, avrebbe ispirato a Chopin il famoso Studio op. 10 n. 12 noto con il titolo La caduta di Varsavia. Si trasferì, quindi, a Parigi, dove si esibì in molti concerti con grande successo, svolse l’attività di insegnante e divenne amico di molti musicisti tra cui Liszt, Mendelssohn, Rossini, Berlioz, Bellini, ed ebbe anche la favorevole recensione delle sue composizioni da parte di Schumann. Intrecciò un’intensa e lunga relazione con la scrittrice francese George Sand, interrotta a causa di contrasti tra il musicista e figlio della donna. Morì nel 1849 forse per tisi polmonare, ebbe solenni funerali a Parigi nel cui cimitero di Père-Lachaise fu sepolto in una tomba accanto a quella, oggi vuota, di Bellini secondo un suo esplicito desiderio, ma il suo cuore, racchiuso in un’urna, si trova nella chiesa di Santa Croce a Varsavia.
Di tutta l’opera di Chopin ci sono varie edizioni, tra cui ricordiamo quella curata da Liszt e Brahms e pubblicata in 13 volumi da Breitkopf & Härtel, e quella polacca in 26 volumi, curata da Paderewski, Bronarski e Turczyński. Prevalentemente pianistica, la produzione di Chopin non è molto vasta e comprende Studi, Notturni, Improvvisi, Polacche, Mazurche e Valzer oltre alle tre sonate e ai due giovanili concerti per pianoforte e orchestra.
Fomatosi in ambiente romantico, Chopin rappresentò la temperie del suo tempo scrivendo per quello strumento che, proprio nell’Otto-cento, sarebbe stato perfezionato dal punto di vista costruttivo e avrebbe avuto una grande diffusione. Le forme utilizzate da Chopin sono varie e accanto a quelle classiche, come la sonata e il concerto, curate in gioventù, il compositore ne innalzò a dignità d’arte altre, come la mazurca, di origine popolare, mentre ne reinterpretò altre ancora, come i preludi, in una nuova chiave romantica. Utilizzati una volta come antecedenti di un’altra composizione, per esempio, nel Clavicembalo Bentemperato di Bach, quest’ultimi diventano pezzi autonomi dotati di un afflato lirico che risolve un’emozione nel giro di poche battute. Nell’opera di Chopin, che si segnala per un lirismo quasi di ascendenza operistica, si trova, inoltre, una modernità del linguaggio armonico attuato attraverso un sapiente gioco di settime legate tra di loro soltanto da suoni in comune che pone le basi di una nuova arte musicale in cui incominciano a perdersi i punti di riferimento della tonalità. Un esempio di tale modo di procedere è rappresentato dal Preludio n. 4 nel quale Chopin accompagna la melodia che si svolge attorno alla nota-perno si attraverso settime che non risolvono, ma si legano liberamente tra di loro. Del resto anche Liszt affermò a proposito della scrittura armonica adottata da Chopin:
“A lui dobbiamo questa estensione […]; le sinuosità cromatiche ed enarmoniche di cui gli Studi offrono esempi sorprendenti, i gruppetti di note sovrapposte che ricadono sulla figurazione melodica per screziarla come una rugiada e di cui non c’era altro modello che nelle fioriture della antica scuola di canto italiana […]. Inventò le ammirevoli progressioni armoniche che danno carattere di gravità anche a pagine, che per la levità del soggetto, non parrebbero pretendere tanta importanza”.
Premesso che Chopin compose e suonò i suoi studi su pianoforti diversi da quelli moderni sui quali siamo abituati ad ascoltare le sue opere, il suo pianismo si configurava come una pura ricerca delle emozioni come si evince anche dall’autorevole recensione di Schumann apparsa sulla sua rivista «Neue Zeitschrift für Musik» nel 1837, nella quale si legge:
“Come potrebbe mancare nella nostra Rivista colui che così spesso, abbiamo indicato come- una stella rara nelle tarde ore della notte?
Dove vada e conduca la sua strada, quanto sia lunga e splendente, chi sa dire? Ogni volta si è mostrato sempre con lo stesso ardore profondo, con lo stesso centro di luce, con la stessa finezza, si che un bambino l’avrebbe potuto riconoscere. Ho avuto la fortuna di sentire questi studi per la maggior parte da Chopin stesso. “Li suona molto alla Chopin” mi bisbigliò Florestano nell’orecchio. S’immagini un’arpa eolia che abbia tutte le gamme sonore e che la mano d’un artista le mescoli in ogni sorta d’arabeschi fantastici, in modo però da udire sempre un suono grave fondamentale e una morbida nota alta; s’avrà cosi press’a poco un’immagine del modo di sonare di Chopin. Nessuna maraviglia perciò, se i pezzi che son piaciuti di più sian quelli che abbiamo udito da lui, e così sia citato sopra tutti quello in la bemolle maggiore, ch’è più una poesia che uno studio. Sbaglierebbe chi pensasse ch’egli facesse udire chiaramente ognuna delle piccole note; si sentiva piuttosto una ondulazione dell’accordo in la bemolle maggiore, rinnovato di tempo in tempo dal pedale, ma attraverso le armonie si distinguevano melodie dai suoni ampi, meravigliosi; una volta sola, a metà del pezzo, si sentiva chiara fra gli accordi una voce di tenore, insieme al canto principale. Finito lo studio, si prova l’impressione di chi si vede sfuggire una beata immagine apparsa in sogno e che, già mezzo sveglio, vorrebbe ancora trattenere; dopo di ciò si può dire ancora ben poco in fatto di lode. Chopin passò poi subito all’altro studio in fa minore, il secondo del volume: anche questo, per la sua caratteristica si scolpisce indimenticabilmente nella mente, così grazioso, fantastico e lieve, un po’ come il canto d’un bimbo nel sonno. Seguì poi lo studio in fa maggiore, bello ancora, ma meno nuovo nel carattere che non nel disegno; qui importava soprattutto di mostrare la bravura, la più amabile invero e dovemmo molto complimentare il maestro… Ma a che serve, descrivere colle parole”.
Come affermato da Schumann, Chopin suonava molto alla Chopin, badando, quindi, all’espressione delle emozioni e non tanto alla perfezione tecnica o a un puro esibizionismo. Nel famoso Studio op. 25 n. 1 Chopin, infatti, non si curava di far sentire tutte le note, ma di far emergere il canto da un’avvolgente armonia in modo da esaltare il carattere espressivo del brano. Il suo particolarissimo pianismo non sfuggì nemmeno a un altro grande pianista del tempo Ignaz Moscheles, con il quale Chopin suonava spesso a quattro mani, e che affermò:
“Il suo suonare ad libitum, che nei suoi interpreti diventa difetto di tempo, in lui è di un’originalità deliziosa. La durezza di certe modulazioni, che non riesco ad evitare quando le suono io stesso, non mi disturba più quando le sue dita d’avorio le eseguono scivolandovi sopra delicatamente. Usa i piani in modo tale che non ha bisogno di usare nessun forte violento per ottenere i contrasti desiderati. Non si avverte l’assenza di effetti orchestrali che la scuola tedesca chiede a un pianista, ma ci si lascia trascinare come da un cantante che, poco rigoroso verso l’accompagnamento, s’abbandona al proprio sentire”.
Quello di Chopin fu dunque un pianismo caratterizzato da una grande libertà agogica che aveva il solo scopo di creare pure emozioni senza strabiliare con fatui e inutili virtuosismi.