Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletta 2018/19
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave da “Le Roi s’amuse” di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Rigoletto LEO NUCCI
Gilda ENKELEDA KAMANI
Il Duca di Mantova CHUAN WANG
Sparafucile TONI NEŽIĆ
Maddalena DARIA CHERNIY
Giovanna VALERIA GIRARDELLO
Monterone GIORGI LOMISELI
Marullo RAMIRO MATURANA
Matteo Borsa KIM HUN
Il Conte di Ceprano LASHA SESITASHVILI
La Contessa di Ceprano MARIKA SPADAFINO
Uscire HWAN AN
Paggio FRANCESCA PIA VITALE
Orchestra e coro dell’Accademia del Teatro alla Scala
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Gilbert Deflo
Scene Ezio Frigerio
Costumi Franca Squarciapino
Luci Marco Filibeck
Milano, 11 settembre 2019
Riparte, dopo la pausa estiva, la stagione scaligera ancora nel segno dei giovani. Se per chiudere la prima parte di stagione gli studenti dell’Accademia si erano cimentati nell’insolito dittico “Prima la musica poi le parole” e “Gianni Schicchi” sotto l’ala di Ambrogio Maestri, ora è Leo Nucci a svolgere la funzione di chioccia nei confronti dei ragazzi. Il titolo scelto è “Rigoletto”, di sicura attrattiva per il pubblico (accorso infatti numeroso), oltre ad essere una delle opere affrontate con maggior regolarità da Nucci nel corso della sua ormai pluridecennale carriera. Nucci conosce il ruolo come pochi altri e ha del personaggio una sua lettura dalla quale non di discosta. Un Rigoletto affrontato soprattutto in virtù di una facilità di canto che non manca neppure sugli acuti e, anzi, trova in essi il suo naturale punto di forza, più che su un’autentica introspezione del ruolo. Un Rigoletto molto – forse troppo – tradizionale come impostazione, sostanzialmente refrattario alle conquiste filologiche che di quest’opera hanno mostrato un volto diverso, più sfumato e, a parere dello scrivente, più intenso. I tanti anni di carriera si sentono, ma non troppo: la voce di Nucci è – specie nel settore più acuto della gamma – ancora di una invidiabile freschezza; gli acuti estremi sono sicuri e imponenti, la tenuta del fiato ha quasi dell’inverosimile e ancora gli consente di tenere corone che toglierebbero il fiato a ben più giovani colleghi. Nel settore medio-grave e nei passi più declamati, invece, una certa usura è più evidente e il canto spesso sconfina in modo eccessivo nel parlato. Una lettura sicuramente d’effetto, ma che, a costo di sembrar blasfemi, è da considerarsi per più di un aspetto datata. Lo stesso si può dire dal punto di vista scenico: Nucci è attore di vaglia e del personaggio conosce ogni piega, ma il suo è il Rigoletto che tutti si aspettano; non c’è un gesto che arrivi a sorprendere, tutto appare troppo codificato in un cliché sempre uguale. In questa visione rigidamente tradizionale del ruolo Nucci trova sponda nella direzione di Daniel Oren, che dirige con piglio drammatico, prediligendo tinte corrusche e oscure, contrasti violenti e una tensione sempre pronta ad esplodere. Sul piano delle scelte vengono accettate tutte le varianti di tradizione, mentre qualche piccolo taglio sembra più dovuto a venir incontro ai giovani interpreti che a scelte espressive. Oren sa sempre guidare l’orchestra e i giovani strumenti dell’accademia scaligera suonano con grande professionalità, rispondendo a tutte le richieste del direttore, ottima anche la prova dei giovani del coro scaligero. Già apprezzata in “Prima la musica e poi le parole”, Enkeleda Kamani è stata forse la vera protagonista della serata, non potendosi attendere meno che un trionfo per Nucci, circondato da un affetto senza pari: voce piccola, ma musicalissima, timbro cristallino, musicalità impeccabile, la Kamani tratteggia una Gilda forse non originalissima – ovviamente, specie sul piano espressivo, molto bisognoso ancora di maturare – ma efficace nel suo luminoso candore che per una volta appariva autenticamente sincero. Corretto, ma senza suscitare particolari entusiasmi il Duca di Chuan Wang: il tenore sfoggia un bel timbro caldo e carezzevole e sa indubbiamente cantare; il gusto è raffinato, buono il controllo sul fiato che gli permette belle sfumature nei cantabili e suggestive prese di voce. Gli acuti mancano però di autentico squillo e l’interprete è fin troppo generico, privo di quella baldanza predatoria che invece dovrebbe naturalmente trasmettere.
Toni Nežić non è il basso profondo che la parte di Sparafucile richiederebbe, ma il materiale vocale – pur ancora per molti aspetti da maturare – è interessante: il timbro ha bei riflessi scuri e la linea di canto non manca di eleganza. L’imponente figura scenica non risultava disdicevole per il ruolo. Emissione un po’ ingolata, ma bel timbro caldo e brunito per la Maddalena di Daria Cherniy cui si unisce una rivelante presenza scenica, con la giusta avvenenza e sensualità, perfette per un ruolo da seduttrice.
Corretto, ma decisamente povero di autorevolezza il Monterone di Giorgi Lomiseli. Molto più convincente il Marullo di Ramiro Maturana e nell’insieme ben funzionali le parti di fianco.
Per la parte visiva ritroviamo lo storico allestimento di Gilbert Deflo. L’impianto scenico di Ezio Frigerio e i costumi di Franca Squarciapino sono – a una distanza di oltre trent’anni dal loro debutto – sempre di una bellezza abbagliante. I trionfi manieristi del palazzo del Duca, le prospettive palladiane, ma come corrose dallo stesso tarlo che rode le anime degli abitanti dei palazzi nobiliari che incombono minacciosi sulla più umile casa di Rigoletto; il vecchio palazzo, ormai in rovina, trasformato nel suo scheletro di mattoni da Sparafucile e Maddalena nel proprio covo; il sempre efficace colpo di teatro dell’autentica pioggia della tempesta: tutto contribuisce a definire uno spazio a un tempo realistico e astratto, un Rinascimento come luogo ideale e decontestualizzato dalla sua effettiva storicità – e nessun segno si trova che possa essere ricondotto alla Mantova gonzaghesca – per diventare l’evocazione immaginifica di quel tempo, creata dalla cultura romantica, in cui puntuali accenni – come il siparietto che all’inizio del II quadro scherma la casa di Rigoletto – svelano la natura tutta artificiosa e metateatrale di quella ricostruzione. Decisamente più banale la ripresa sul piano registico vero e proprio, con un certo senso di trascuratezza sul lavoro attoriale, cosa ancor più grave vista l’inesperienza di quasi tutti gli interpreti. Successo convinto per tutti, con autentiche ovazioni per Nucci.