Possiamo pensare alla danza come a una raffinata relazione comunicativa che si viene a creare tra i parametri del corpo, dello spazio, della forma, dell’ energia e del tempo. Una forma di linguaggio gestuale, in cui il gesto diventa elemento strutturale e narrativo, dotato di una propria dignità espressiva.
Il gesto, nella danza, è concepito e “costruito” come veicolo di un’intenzione e usa il corpo per raccontare qualcosa che lo trascende. In altre parole, la danza ha la preziosa possibilità di usare il corpo per raccontare il “non corpo” , per raccontare un’idea, un pensiero, una forma. I gesti sono parole e in questo caso le parole non sono discorsi, ma fatti, perché più che raccontare, la danza si lascia raccontare attraverso la cernita di precisi gesti discriminati da una precisa organizzazione e intelligenza interna.Come nel linguaggio verbale la quantità di parole a disposizione determina anche la quantità e la qualità di pensiero critico, così nel linguaggio della danza si rende necessario conoscere esattamente il vocabolario gestuale, per essere “lettori” consapevoli e critici del prodotto artistico.
Nei balletti classici esiste, il più delle volte, un soggetto scritto, un libretto, a differenza di quella parte di danza che tende a emanciparsi dal soggetto letterario per ritrovare la purezza dell’espressione coreutica fine a se stessa.
Nel balletto il soggetto scritto costituisce un pre-testo, in senso letterale, una storia che trova poi nel gesto coreutico la propria intima struttura narratologica.
Nell’estetica della danza classica, il gesto come parola nasce come medium di precisi e raffinati significati: ogni port de bras, ogni posa arabesque, è concepita per esprimere e raccontare qualcosa, tant’è vero che uno stesso gesto, come un’arabesque, appunto, assume valenza diversa a seconda del balletto di repertorio in cui è calato. Se la prima arabesque, in Giselle, si fa veicolo della trascendenza dell’anima dal corpo, in Don Quixote, la stessa posa manifesta invece un senso di affermazione, stabilità e seduzione.
Non si spiegherebbe il fascino senza tempo del balletto classico se, al di là della mera esecuzione di passi accademici, non trasparisse chiaramente l’intenzione precisa che quei passi rappresentano: se cioè, dalla “perfezione della forma” dei gesti non emergesse la forma e il senso del pensiero che il coreografo ha deciso di raccontare.
Guardare un balletto, dunque, significa interpretare un linguaggio in cui ogni gesto possiede una propria “carta d’identità” all’interno della quale sono iscritti tutti quei connotati che rendono unico e particolare il vocabolo che il danzatore e il coreografo scelgono di utilizzare all’interno del discorso della rappresentazione scenica.
Nomenclatura, scuola di provenienza, funzione poetica, tempo, forma, luogo e durata dell’accadimento di ogni movimento rendono unici tutti i vocaboli del linguaggio della tecnica classica che consentono al danzatore di conoscere e manifestare ogni determinato movimento con rigore e specificità e allo spettatore di fruire di un discorso chiaro e pertinente.
Il percorso che compiremo attraverso questa rubrica sarà volto alla “traduzione” in parole di alcuni dei più noti gesti della danza classica, al fine di offrire un piccolo contributo nella lettura critica e consapevole di questo affascinante linguaggio. (foto Dave Morgan, John Ross)