97°Arena di Verona, Opera Festival 2019: “Tosca”

97°Arena di Verona, Opera Festival 2019
“TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Tosca SAIOA HERNÁNDEZ
Mario Cavaradossi MURAT KARAHAN
Scarpia CLAUDIO SGURA
Il sagrestano BIAGIO PIZZUTI
Cesare Angelotti ROMANO DAL ZOVO
Spoletta FRANCESCO PITTARI
Sciarrone NICOLÒ CERIANI
Un carceriere STEFANO RINALDI MILIANI
Un pastore VITTORA POZZANI
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Vito Lombardi
Coro di voci bianche A.LI.VE diretto da Paolo Facincani
Regia, scene, costumi Hugo de Ana
Allestimento della Fondazione Arena di Verona
Verona, 6 settembre 2019
Ci sono opere delle quali vi è poco da scrivere se non il rammarico per chi non c’era, e questa Tosca, ultimo titolo del festival areniano, è una di quelle. Nemmeno il senso di precarietà dovuto alla pioggia, che non ha concesso il tempo di montare tutte le scene ed ha ritardato lo spettacolo di quaranta minuti, ha potuto scalfirne il successo, che è stato dovuto alla congiunzione di un cast  prestigioso ed una regia potentemente evocativa.L’allestimento, uno dei più riusciti di Hugo de Ana, anche quando incompleto, è di grande impatto simbolico: non c’è il Castel Sant’Angelo, teatro della tragedia, ma solo i ruderi di una colossale statua dell’arcangelo Michele, segni della tetra e decadente solennità della Roma pontificia, cui culmine è la scena del Te Deum, visionaria e fastosa, col suo corteo di celebranti paludati d’oro, chierichetti e popolo in nero. De Ana gioca con gli elementi sulla scena e sfida perfino il kitsch, col colpo di cannone che fa sobbalzare tutti e cinquemila gli spettatori, il grande dipinto di Maria Maddalena che cadendo lascia apparire Scarpia, ed il fumo dei cannoni che diviene quello dei turiboli durante la processione liturgica. E ci crea anche un paio di quadretti deliziosi, come quello dei fraticelli bistrattati dal sagrestano o quello tipicamente romanesco dei due giovani pescatori che se ne vanno a piedi nudi sul lungotevere, cantando stornelli. Veniamo al cast. Murat Karahan mette in scena un Cavaradossi maturo, riflessivo, fiero ma non sfrontato. La voce è ricca e profonda, cattura l’ascolto e fa suo quello stile narrante tipicamente pucciniano. Gli acuti sono franchi e spettacolari, solo talvolta inanellati con un lieve ritardo. Se nella Carmen di appena due giorni prima non ci aveva del tutto convinti, qui Karahan ci ha dato prova di affrontare il ruolo con la confidenza e la sincerità dell’attore, del vero interprete disciolto nella parte. Nella prima romanza, “Recondita armonia”, dopo aver assestato un tempo troppo rapido, il tenore ha padroneggiato l’alta tessitura con facilità e ampio fraseggio. L’applauso è scattato subito, coprendo le prime battute del refrain orchestrale. Struggente ed ugualmente applaudita la romanza finale, “E lucevan le stelle”, giocata sul filo di un’emissione rotta dal pianto. Il soprano Saioa Hernández è un’artista di grandissima levatura. Fin dalle chiamate iniziali, quel “Mario, Mario!” fuori dalla scena, siamo stati catturati dal suo timbro. Si tratta di una voce carnosa e piena di fibra, sempre ben raccolta, un impasto brunito che la rende sensuale perché pudica, nobile. L’emissione non è mai forzata, sempre squisitamente artistica, cioè centrata ed esatta, eppure intensamente espressiva. Una gioia per gli orecchi, ma non solo. Saioa  Hernandez recita divinamente (non ci è sfuggito nemmeno quel sussultare del petto mentre era ghermita da Scarpia), e la sua figura è magnetica, peraltro valorizzata da costumi bellissimi. Ottima la prova di fraseggio e di chiaroscuro nel “Vissi d’arte”, a lungo applaudito. Claudio Sgura dal canto suo mette in scena uno Scarpia altero, forse poco cesellato psicologicamente, ma la voce è di ottimo spessore e ben si combina con le altre in campo, con le quali interagisce bene anche dal punto di vista scenico. Romano Dal Zovo propone un ottimo Angelotti, mentre Biagio Pizzuti ripulisce la figura del Sagrestano dai soliti tratti macchiettistici che gli si addossano. Completano il cast con merito ed onore Francesco Pittari nei panni di Spoletta, Nicolò Ceriani in quelli di Sciarrone, Stefano Rinaldi Miliani, un carceriere, e Vittoria Pozzani, il pastorello. Daniel Oren dirige un discorso musicale incalzante ed unitario, accentuando colori e contrasti di una partitura estremamente frastagliata, sempre con una tendenza verso i tempi scorrevoli se non addirittura rapidi. All’altezza della entusiasmante serata anche i due cori, quello adulto preparato da Vito Lombardi e l’A.LI.VE. di voci bianche diretto da Paolo Facincani. Foto Ennevi per Fondazione Arena