97°Arena di Verona, Opera Festival 2019
“CARMEN”
Opéra-comique in quattro atti su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy
Musica di Georges Bizet
Carmen KSENIA DUDNIKOVA
Micaela MARIANGELA SICILIA
Mercédès MARIANGELA MARINI
Frasquita ELISABETTA ZIZZO
Don José MURAT KARAHAN
Escamillo ALBERTO GAZALE
Zuniga GIANLUCA BREDA
Moralès BIAGIO PIZZUTI
Remendado FRANCESCO PITTARI
Dancairo GIANFRANCO MONTRESOR
Orchestra, Coro, Ballo dell’Arena di Verona
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Vito Lombardi
Coro di Voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Coreografia Leda Lojodice
Luci Paolo Mazzon
Proiezioni Sergio Metalli
Verona, 4 settembre 2019
In tutta sincerità, questa regia di Hugo de Ana per la Carmen, con tutto il rispetto per il grande maestro argentino, non ci mancherà. In effetti, questo allestimento non aiuta granché il libretto a redimersi dalla sua povertà d’introspezione, che se non smaltata a dovere, rischia di far scadere questa partitura immortale nell’ovvietà del genere soap. De Ana imposta il suo lavoro sullo sfondo di uno scontro tra femminismo e militarismo al tempo di Franco. Lo scontro di sessi però è quasi pantomimico: i gesti, anche corali, sono spesso senza nesso ed armonia, gli ambienti sovraccarichi in cui uomini e donne sembrano piazzati approssimativamente, o anchilosati in pose improvvisate. Non che il cast della serata fosse cattivo, anzi, vocalmente era di altissimo livello. Il mezzosoprano Ksenia Dudnikova ha una voce sontuosa, degna dei volumi areniani, particolarmente avvolgente nel registro basso, una stoffa calda e piacevole in una serata frescolina di settembre. Purtroppo, canta il ruolo di Carmen senza fremito né sensualità, troppo domestica per essere una donna fatale. Discutibili poi certi fiati presi così avventurosamente da sembrare sciatti. E non basta un balletto qui e là per dare leggerezza al personaggio, anzi: qui è la svista! Quella di Carmen non è leggerezza, ma una febbre erotica che non dà scampo, che consuma e riduce in cenere amante e amato. Bisognerebbe guardar bene alle sorti di un personaggio per comprenderne l’anima, che nel caso di Carmen, secondo noi, non è quella della donna emancipata e politicamente impegnata alla de Ana, ma quella di una femmina sanguigna (che si tira i capelli con le sue compagne!), di una tigre torturata dalla sua stessa fame, inquieta e tragicamente sola, dopo tutto. Nemmeno Murat Karahan sembra proprio a suo agio con il ruolo di don José, tutto sommato scomodo dal punto di vista della tessitura per la voce del tenore turco. Karahan si muove sul palco un po’ impacciato, facendosi quasi tutto il primo atto con le braccia dietro la schiena, come uno scolaro che non sa bene la lezione. La voce la conosciamo: slanciata, mascolina, bella, timbricamente accattivante. L’interpretazione però in generale è piatta, manca di sfumature e manca la pena vibrante di questo bamboccione che, scoperto il turbamento dei sensi, si getta nel baratro di una donna narciso, sacrificando amore di mamma e di fidanzata. La Micaela di Mariangela Sicilia è stata molto più convincente, tanto che sarebbe stato bello averla in scena e in partitura più spesso. Voce di ragazza pura ma coraggiosa, venata di una profetica malinconia, ricca di sfumature e di pianissimi inaspettati e preziosi. L’ Escamillo di Alberto Gazale è stato poi una bella cartolina di Spagna in questo pastiche neofascista, recitativamente ruggente, anche se vocalmente non adattissimo: il timbro è piuttosto leggerino per il torero, ma ha compensato con una grande verve scenica e un copioso numero di colpi di suola sui tavoli (forse troppi). Ci siamo ritrovati con un sorriso stampato sulla faccia al termine del quintetto nell’osteria “Nous avons en tête une affaire”, segno che gli interpreti Gianfranco Montresor (Dencairo), Francesco Pittari (Remendado), Mariangela Marini (Mercédès) ed Elisabetta Zizzo (Frasquita), nonché Ksenia Dudnikova stessa, l’hanno interpretato bene, su di un tempo così vivace da sembrare uno scioglilingua. Bene gli altri ruoli, Biagio Pizzuti (Moralès) e Gianluca Breda, che mette in scena un temibile tenente Zuniga. Oren stacca tempi rapidi e guizzanti, che se da una parte esprimono bene la smania di seduzione e distruzione che penetra il libretto, dall’altra sono parsi sbrigativi: particolarmente scivoloso (in avanti) il celebre Intermezzo. Bene il coro adulto (seppur con la sua sezione sopranile tendenzialmente troppo vibrante) preparato da Vito Lombardi, e quello di voci bianche diretto da Paolo Facincani. Appropriate le proiezioni di Sergio Metalli, quando conferivano uno sfondo architettonico alla scena, strane e forse non indispensabili in altri momenti più propagandistici. Dimenticavamo. Un torso nudo è gradito alla vista se scolpito a suon di addominali, ma piazzarlo al centro della scena e lasciarlo lì per buona parte del secondo atto, sembra la mossa di chi non sapeva come riempire un vuoto, e risulta semplicemente fastidioso.Foto Ennevi per Fondazione Arena