Gaetano Donizetti (1798 – 1848): “La Favorite” (1840)

Opera in quattro atti su libretto di Alphonse Royer, di Gustave Vaëz e di Eugène Scribe. Edizione critica di Rebecca Harris-Warrick con la collaborazione e il contributo del Comune di Bergamo e della F0ndazione Donizetti. Veronica Simeoni (Lèonor de Guzman). Celso Albelo (Fernand). Mattia Olivieri (Alphonse XI). Ugo Guagliardo (Balthazar). Manuel Amati (Don Gaspar). Francesca Longari (Inès). Leonardo Sgroi (Un seigneur). Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino. Fabio Luisi (direttore), Lorenzo Fratini (maestro del coro). Ariel García Valdés  (regia), Derek Gimpel (coregia), Jean-Piere Vergier (scene e costumi), Dominique Borrini (luci). Registrazione: Maggio Musicale Fiorentino, febbbraio 2018. T. Time: 156′. 2 DVD Dynamic 37822.

Autentico capolavoro di Donizetti, mai uscito dal repertorio, sebbene in Italia sia stato messo in scena purtroppo nella brutta traduzione di F. Jannetti e comunque in misura minore rispetto ad altri lavori del compositore bergamasco, La Favorite, negli ultimi anni, è ritornata a frequentare i teatri con maggiore assiduità fortunatamente nella versione originaria in francese. Ne sono testimonianza due DVD prodotti da due importanti case discografiche, Dynamic e Deutsche Grammophon, le quali hanno proposto due edizioni completamente diverse; la prima è, infatti, la registrazione di quella rappresentata nel mese di febbraio dello scorso anno al Maggio Musicale Fiorentino, mentre la seconda corrisponde a quella andata in scena a Monaco nel 2017.

Rappresentata per la prima volta in francese a Firenze dopo un’edizione storica (in italiano) con Krauss, Cossotto e Bruscantini nel 1965, quest’edizione de La Favorite si è avvalsa di un allestimento che, firmato, per quanto riguarda la regia, da Ariel García Valdés e da Derek Gimpel e già andato in scena nel 2002 al Liceu di Barcellona, si è mantenuto fedele alla tradizione; si tratta di una scelta che, se da un lato, evita le fastidiose forzature di regie troppo fantasiose e a volte cervellotiche, dall’altro, dà l’impressione di una certa staticità e povertà di idee. I cantanti, dal punto di vista scenico, sembrano quasi abbandonati a loro stessi, e, quindi, responsabili in prima persona dei propri movimenti allo stesso modo del coro, il più delle volte, schierato come se si trovasse in un concerto sinfonico. Molto semplici e gradevoli le scene di Jean-Piere Vergier, costitute da un’unica struttura centrale, che diventa, di volta in volta, una parete della chiesa del Monastero di San Giacomo, o uno scoglio dell’isola di Leon, arricchito da un piccolo molo al quale approda la barca che porta Fernand, o ancora i giardini di Alcazar. Coerenti con l’epoca in cui è ambientata l’opera sono i bei costumi sempre di Jean-Piere Vergier e calibrate con gusto le luci di Dominique Borrini.
Passando all’aspetto musicale si segnala la splendida concertazione di Fabio Luisi che non solo trova tempi e sonorità adeguate, ma sottolinea ed esalta tutte le sfumature della bella partitura donizettiana alla quale resta fedele fatta eccezione per il taglio, di prammatica, del balletto dell’atto secondo, il cui mantenimento sarebbe stato fuori luogo senza una corrispondente realizzazione coreografica. Nella concertazione di Luisi, l’attenzione alle dinamiche, la ricerca di un bel suono e il gusto con cui vengono gestite le variazioni agogiche portano a una valorizzazione degli elementi espressivi costruendo insieme con i cantanti e il coro, ben preparato e diretto da Lorenzo Fratini, un amalgama perfetto di rara bellezza ed eleganza, oltre che di forza drammatica. Anche il cast vocale è di buon livello a partire da Veronica Simeoni, una Léonor, pienamente convincente sul piano della linea del canto, particolarmente curata, la cui nobile bellezza può, talvolta, dare l’impressione di essere un po’ fine a se stessa e un po’ priva di approfondimento espressivo.  In realtà non è così, in quanto l’artista, dotata di un bella voce dal timbro chiaro, che trova i suoi suoni migliori nel settore medio-acuto, mentre appare un po’ debole sui gravi, può contare su una tecnica di altissimo livello che le consente comunque di essere particolarmente coinvolgente ed espressiva nell’aria O mon Fernand. Al suo fianco Celso Albelo è un Fernand dalla voce dal bel timbro chiaro che incanta sul piano espressivo attraverso un sapiente uso delle filature. Tra le tante è bellissima quella realizzata a conclusione della sua cavatina Un ange, une femme inconnue eseguita come è stata scritta da Donizetti. Convince sul piano interpretativo e vocale anche la prova di Mattia Olivieri, un Alphonse XI ora autorevole e ora appassionato, che fa buon uso della sua bella voce dal timbro scuro. Sostanzialmente corretto dal punto di vista del fraseggio e dell’intonazione Ugo Guagliardo nella parte di Balthazar, nonostante sul piano espressivo manchi di quell’autorevolezza che dovrebbe caratterizzare il suo personaggio soprattutto quando scaglia l’anatema contro il re. Più convincente è senza dubbio nei momenti in cui gli è richiesto di essere più paterno. Corrette le prove di Francesca Longari (Ines), dalla linea del canto elegante, di Manuel Amati (Don Gaspar) e di Leonardo Sgroi (Un Seigneur).

Opera in quattro atti su libretto di Alphonse Royer, di Gustave Vaëz e di Eugène Scribe. Elīna Garanča (Lèonor de Guzman). Matthew Polenzani (Fernand). Mariusz Kwiecień (Alphonse XI). Mika Kares (Balthazar). Owen Mills (Don Gaspar). Elsa Benoit (Inès).  Bayerisches Staatsoperchester. Karel Mark Chichon (direttore). Chor der Bayerischen Staatsoper. Sören Eckhoff (maestro del coro). Amélie Niermeyer (regia), Alexander Müller-Elmau (scene), Kirsten Dephoff (costumi), Michael Bauer (luci). Registrazione: Monaco, 31 ottobre / 6 novembre 2016. T. Time: 157′. 2 DVD Deutsche Grammophon
Totalmente diversa per quanto riguarda l’allestimento si presenta La Favorite, andata in scena a Monaco nel mese di luglio del 2017 e prodotta in DVD dalla Deutsche Grammophon. Se quello fiorentino si distingueva per una sostanziale fedeltà al libretto, questo, invece, si distacca da esso per ambientare la scena non più nel regno di Castiglia nel 1340, ma in un imprecisato luogo e nel Novecento, snaturando così un’opera come La Favorite, particolarmente legata al contesto storico in cui la vicenda è ambientata. L’aspetto visivo, carico di simbologie non sempre facilmente comprensibili, dunque, convince poco e dà l’impressione di una scollatura tra ciò che si vede e ciò che si ascolta per non parlare del fatto che gli snodi della vicenda non sono del tutto chiari nonostante l’ingegnoso impianto generale di simbologie religiose legate al peccato della Maddalena con la quale viene identificata Léonor sia nel complesso condivisibile. Funzionali a questa visione sono le scene, disegnate da Alexander Müller-Elmau e costituite da tre gabbie metalliche dietro le quali si vedono un crocifisso e figure femminili che alludono al peccato della Maddalena e al suo pentimento e riscatto. Le pareti, assimilabili alle grate di un confessionale, assolvono perfettamente a questa funzione quando dietro di esse si trova inizialmente Balthazar al quale Fernand confessa il suo amore per la bella Léonor. Se l’impianto generale appare sostanzialmente accettabile, non tutte le scelte registiche di Amélie Niermeyer sono condivisibili e soprattutto comprensibili; non si capisce, infatti, perché alla fine della sua aria, Léonor salga su una sedia o il re diventi improvvisamente un cowboy che mima un lancio del lazo sulle musiche del balletto dell’atto secondo dove insieme con Léonor sembra che assista ad una proiezione cinematografica. Forse sarebbe stato meglio tagliare il balletto e aprire gli altri tagli che sono stati fatti alla partitura. Coerenti con questa visione per nulla storicizzata gli eleganti e borghesi costumi di Kirsten Dephoff e le luci di Michael Bauer.

Di buon livello l’aspetto musicale a partire dalla concertazione di Karel Mark Chichon, il quale, sul podio della Bayerisches Staatsoperchester, trova tempi e sonorità sostanzialmente corretti, anche se destano perplessità i numerosi tagli che servono a compensare, sul piano della durata complessiva, la reintegrazione di parti del balletto realizzate scenicamente nel modo poco ortodosso di cui si è parlato in precedenza.  Di altissimo livello la prova di Elīna Garanča, una Léonor coinvolgente sul piano espressivo, che sfrutta nel modo migliore la sua bella ed omogenea voce in ogni parte del suo registro dai suoni gravi intensi fino agli acuti squillanti. L’artista, grazie ad una linea del canto particolarmente curata e a una ricerca espressiva di indubbio valore, restituisce sulla scena una Léonor di grande umanità, dal momento che ne scandaglia tutti gli stati d’animo. Al suo fianco Matthew Polenzani è un Fernand del pari convincente grazie a una bella voce, ben estesa sugli acuti (raggiunge il do diesis della sua cavatina con grande facilità), e a un’ottima tecnica grazie alla quale crea una grande varietà di dinamiche. Desta, però, qualche perplessità la scelta di non eseguire la poetica filatura scritta da Donizetti sul la acuto nel finale della stessa cavatina. Buona la prova di Mariusz Kwiecień, un Alphonse XI dalla linea del canto particolarmente curata, che, poco aiutato dalla regia, non sempre appare l’uomo autoritario che richiederebbe il suo ruolo in certi momenti. Corretti, infine, Mika Kares (Balthazar), basso dal timbro un po’ chiaro per la parte che richiederebbe in certi passi maggiore autorevolezza, Elsa Benoit (Inès) e Joshua Owen Mills (Don Gaspar) e buona la prova del Chor der Bayerischen Staatsoper, ben diretto e preparato da Sören Eckhoff.