Salisburgo, Grosser Saal, Salzburger Festspiele 2019
Camerata Salzburg
Direttore Roger Norrington
Wolfgang Amadeus Mozart: Danze dell’Idomeneo KV 367
Igor Stravinsky: “Apollon Musagète”
Franz Joseph Haydn: Sinfonia n°104 “London”
Salisburgo, 11 agosto 2019
Nel secondo concerto del dittico classico programmato nella Grosser Saal del Mozarteum era protagonista la Camerata Salzburg, il complesso orchestrale fondato da Bernhard Paumgartner nei primi anni 50, sotto la conduzione di Roger Norrington. Il direttore inglese, ben conosciuto per la sua attività di interprete specializzato nel repertorio classico e barocco, è stato per anni direttore principale della Camerata e l’assoluto affiatamento mostrato nel concerto è stata la principale evidenza emersa nel corso dell’esecuzione. Classicissimo e piuttosto originale anche il programma che, oltre a prevedere la rara versione KV 367 delle danze dall’Idomeneo di Mozart, prevedeva la bellissima Sinfonia 104 “London” di Haydn e la stimolante presenza dell’Apollon Musagète, il balletto forse più squisitamente neoclassico di Igor Stravinsky: un intelligente connubio tra il padre del classicismo storico, il padrone di casa e l’inventore del neo-classicismo moderno. Va subito detto che le danze dall’Idomeneo non sono un capolavoro, ma la lettura di Norrington è riuscita a rendere al meglio la convenzionalità della scrittura con gusto e anche qualche furbizia. Prima di tutto la generosa potatura di ritornelli, riprese e parti secondarie (simpaticamente spiegata al pubblico dal direttore stesso all’inizio del concerto) ha di fatto trasformato l’opera in una breve suite, dimezzandone praticamente la durata. In secondo luogo il vero merito di Norrington è stato proprio quello di trattare tale suite per quella che è, non certo grande musica ma ottima palestra per tutti gli effetti e i virtuosismi dell’epoca, ottimamente assecondato da un ensemble alle prese con un linguaggio che conosce alla perfezione sia nelle tecniche che nelle convenzioni stilistiche. Straordinaria l’energia dell’attacco iniziale e semplicemente stupefacenti i piani dinamici che sfruttano tutte le possibilità coloristiche, dal pianissimo quasi inudibile fino a sonorità impensabili per un ensemble relativamente ridotto. Ovviamente la meravigliosa acustica della Grosser Salle fa la sua parte: il suono ha sempre una riverberazione equilibrata e galleggia morbido e uguale in tutti i registri di ogni strumento, ma è presente anche stavolta l’enfatizzazione delle armoniche gravi per gli strumenti collocati al centro e in fondo al palcoscenico, in questo caso i contrabbassi, che avevamo già rilevato nel concerto del giorno prima. Sono apparse sempre perfettamente accentuate e differenziate le arcate metriche e ritmiche (indispensabili in una partitura comunque di derivazione coreutica) ed è stata evidente la cura nel fraseggio e nelle articolazioni tipiche della musica antica: dalle messe di voce evidenziate anche nei frequenti ribattuti, alla nitidezza e varietà delle legature, mai sporcate dal vibrato. A questo proposito, passate le corde di budello, lasciati gli archi curvi agli specialisti barocchi, semplificati i vari diapason antichi, accettati gli strumenti con chiavi moderne, è da notare come, per i complessi più aggiornati, l’interpretazione della musica del passato abbia ormai assorbito positivamente e comunemente le allora rivoluzionarie posizioni dell’interpretazione “filologica” che tra gli anni 60 e 70 portarono a ripensare completamente l’approccio con la musica preromantica. Solo l’uso delle trombe naturali (ma con i moderni corni doppi) mostra esteriormente l’attenzione della Camerata Salzburg allo stile sonoro: ma basta ascoltare la brillante scioltezza delle arcate, la cantabilità di ogni elemento, l’infinita varietà degli accenti, per non rimpiangere assolutamente le grevi sonorità afflitte da perpetuo tremolio di troppe orchestre di casa nostra. Sicuramente meno a proprio agio invece sono apparsi gli archi dell’orchestra e il direttore nell’Apollon Musagète che, sulla carta, rappresentava l’elemento di maggiore novità nel programma. Pur nell’ambito di un’esecuzione fondamentalmente corretta, ma fin troppo prudente, è stata evidente la fondamentale estraneità del brano a uno spirito esecutivo che non ha mai trovato il bandolo della matassa nella partitura. I singoli movimenti sono apparsi isolati e con pause eccessive tra i vari “passi” che, senza l’apporto coreografico, risultavano slargati e senza espressione. Anche la preparazione e risoluzione del bellissimo finale non sono stati opportunamente valorizzati, così come i vari e notevoli punti di tensione dei singoli movimenti: il tutto si è risolto in una lettura di routine, uniforme e piuttosto generica. Anche un paio di incomprensioni tra il direttore (che, a differenza degli altri brani, non ha diretto a memoria) e l’orchestra hanno testimoniato un certo impaccio generale dovuto forse a uno scarso approfondimento o semplicemente a una refrattarietà al repertorio. Dopo la pausa (ottimo il Riesling del buffet…) è stata di ben altra levatura l’interpretazione della Sinfonia London dove, a tutto ciò che si è detto prima per le danze dall’Idomeneo, va aggiunto il valore di un capolavoro assoluto del sinfonismo preromantico. La bellissima introduzione del primo tempo è resa alla perfezione, con la giusta tensione che sfocia naturalmente in un Allegro piuttosto rapido e ricco anche di velature drammatiche. Straordinari gli archi e perfetti gli strumentini, mentre le trombe e i timpani appaiono un esempio da manuale su come si crei la motricità ritmica in un brano di tale repertorio. Alla fine del movimento, sapientemente sollecitato dal direttore, il pubblico ha violato una delle sacre convenzioni dell’ascolto “colto”: l’applauso solo alla fine di tutto il brano. Un’autentica ovazione ha salutato la fine del primo tempo (e sarà così per tutti i movimenti) ristabilendo, per una volta, i reali rapporti tra pubblico ed esecutori all’epoca. D’altronde basterebbe leggere la lettera di Mozart al padre da Parigi, dove con soddisfazione sottolinea come il pubblico abbia applaudito fragorosamente una modulazione del primo tempo della sua sinfonia durante l’esecuzione, per capire come le convenzioni siano cosa assai diversa dalle tradizioni. Espressivo e scorrevole anche il secondo tempo ed è da segnalare un dettaglio apparentemente insignificante come il dialogo spiritoso ed espressivo tra oboe e fagotto nel trio, per capire la cura dei dettagli anche nelle parti secondarie, dove la cantabilità e la precisione del fraseggio sono assolute dal registro grave dei bassi fino alle parti più evidenti, con una coerenza che costituisce una delle qualità principali della buona esecuzione. È apparso giustamente accentuato anche il celebre aspetto popolaresco del finale che porta un’interpretazione da manuale verso la logica conclusione.Che si va a fare a Salisburgo? Se avete letto fin qui sapete la risposta… Foto Marco Borrelli