Bayreuther Festspiele 2019: “Die Meistersinger von Nürnberg”. Trionfo di Barrie Kosky… vince la sfida con se stesso!

Bayreuther Festspiele 2019
“DIE MEISTERSINGER VON NÜRNBERG”
Opera in tre atti, libretto e musica di Richard Wagner
Hans Sachs, calzolaio MICHAEL VOLLE
Veit Pogner, orefice GÜNTHER GROISSBÖCK
Kunz Vogelgesang, pellicciaio TANSEL AKZEYBEK
Konrad Nachtigall, stagnaio ARMIN KOLARCZYK
Sixtus Beckmesser, scrivano JOHANNES MARTIN KRÄNZLE
Fritz Kothner, fornaio DANIEL SCHMUTZHARD
Balthasar Zorn, fonditore PAUL KAUFMANN
Ulrich Eisslinger, erborista e droghiere CHRISTOPHER KAPLAN Augustin Moser, sarto STEFAN HEIBACH
Hermann Ortel, saponaio RAIMUND NOLTE
Hans Schwarz, calzaiolo ANDREAS HÖRL
Hans Foltz, calderaio TIMO RIIHONEN
Walther von Stolzing, giovane cavaliere di Franconia KLAUS FLORIAN VOGT
David, apprendista di Sachs DANIEL BEHLE
Eva, figlia di Pogner CAMILLA NYLUND
Magdalene, nutrice di Eva WIEBKE LEHMKUHL
Un guardiano notturno WILHELM SCHWINGHAMMER
Orchestra e Coro del Bayreuther Festspiele
Direttore Philippe Jordan
Maestro del Coro Eberhard Friederich
Regia Barrie Kosky
Scene Rebecca Ringst
Costumi Klaus Bruns
Drammaturgia Ulrich Lenz
Luci Frank Evin
Bayreuth 10, agosto 2019
Nel 2017 per la prima volta a Bayreuth viene affidata la regia de I Maestri cantori di Norimberga ad un regista non tedesco. In realtà , da una nostra chiacchierata, apprendiamo che Barrie Kosky aveva una reale repulsione per questa opera: ha accettato (e vinto) la sfida con sé stesso e con Bayreuth, tanto che la sua regia del titolo è già annoverata tra le migliori degli ultimi cinquanta anni. La trovata provocatoria è considerare Norimberga uno sfondo, un richiamo alle note vicende del processo. Il vero grande imputato è proprio Richard Wagner/Hans Sachs. Il giudizio della storia (con un Levi, Beckmesser) è quello che riguarda il noto antisemitismo del compositore. Se da un lato abbiamo l’ombra di una Norimberga 1945, dall’ altro abbiamo la realtà visiva di Wahnfried, la casa di Wagner a Bayreuth, spettatrice -nella realtà storica- di note vicende e note frequentazioni: si sa che Hitler, Goebbles erano di casa con i Wagner. Il giudizio è implicito: non più i devoti di Santa Caterina, la casa del ciabattino, le strade di Norimberga ma un interno domestico in cui si ‘raccontano’ i Maestri cantori, e si allude a tutto quello che in quelle mura – prima e dopo- si è svolto. Il sipario si apre immediatamente sul preludio mostrando il famoso salone di Villa Wahnfried, dove Wagner e sua moglie Cosima intrattengono amici e ospiti in una “lettura” dei Meistersinger. Una scena, nella scena. Hans Sachs è Wagner, il suocero Liszt (che, ricordiamolo, è tuttora sepolto ‘fuori’) è Veit Pogner, Cosima è Eva e Hermann Levi si trasforma in Beckmesser. Mascheroni – peraltro non del tutto ignoti (cfr Meistersinger del 2011), fantocci di cartapesta che agiscono come burattini di una vicenda (quella storica) assai più grande di loro. Il pianoforte nel salone funge come botola del seminterrato : il coperchio si apre e ne fuoriescono molti piccoli Wagner che invadono la scena. Sembra una citazione del film I ragazzi del Brasile di Schaffner: lì sosia di Hitler, qui repliche di Wagner. La scenografia di Rebecca Ringst si cuce perfettamente alla regia, giustizia la oleografia di una Norimberga idealizza (dallo stesso Wagner) del XVI secolo e, dall’ esterno, volge lo sguardo all’interno. Dentro una casa /tribunale che assiste allo volgersi dei fatti e richiama visivamente alle responsabilità storiche ad essi connesse. Nell’ aula del processo dietro il giudice sono appese le bandiere delle quattro potenze (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica), lateralmente al palco si materializza il soldato americano MP e nel banco dei testimoni, in piedi, i solisti. È nella stessa aula che si festeggia con canti e danze il Johannisfest. La gente è allegra, come se non si accorgesse del luogo. Esattamente come il popolo tedesco che non si accorge, per meglio dire gli imputati, che nelle requisitorie ammettono di non aver mai saputo, non sapere cosa realmente succedesse. E poi la scena dello scontro alla fine del secondo atto. Koski allude a un pestaggio antisemita un pogrom. Un pallone enorme che si gonfia la caricatura tipica dell’ ebreo nella propaganda antisemita: naso ad uncino, capelli neri, occhi astuti, un ghigno e kippa. E’ Beckmesser il nemico di Sachs, come per Wagner il compositore ebreo – il pamphlet Das Judenthum in der Musik è del 1850 – che sia Meyerbeer, prima (gli insuccessi parigini) o Mendelssohn poi (Wagner indossa ostentatamente i grandi quando dirige la sua musica). Le tre epoche storiche si intrecciano, il Cinquecento originario, il tardo Ottocento (il Salonspiele di Casa Wagner) e la fine della Seconda Guerra mondiale. Ottima la direzione musicale di Philippe Jordan, Orchestra e Coro in stato di grazia e un poker di solisti di eccellenza a cominciare da Michael Volle, Hans Sachs di assoluto riferimento (la scena del secondo atto da brividi!) e il perfido Beckmesser del baritono Johannes Martin Kränzle: ovazione meritatatissime. Perfetta la vocalità di Klaus Florian Vogt che non non è solo “bella”: è piena di una espressività profondamente sentita e di una dolcezza naturale che trasporta in un altro mondo. Il mondo dei sentimenti e della bellezza dell’amore. Il suo “Morgendlich leuchtend im rosigen Schein” del terzo atto rimane uno degli interventi più sublimi di questo Festival. Bravo il massiccio basso Günther Groissböck come Pogner. Agile Daniel Behle come David, adatto nella parte dell’apprendista di Hans Sachs, propone una interpretazione corretta, forse appena sottotono. Anche i ruoli femminili sono perfettamente collocati. Eva è interpretata dal soprano finlandese Camilla Nylund, che mai si fa prendere la mano dal suggestivo lirismo della parte, galleggia sulla tessitura forte di un fraseggio dolce e delicato. Al suo fianco nel ruolo della balia Magdalene protettiva e affettuosa, il mezzosoprano Wieble Lehmkuhl, brillante nelle note acute, uso sapiente del registro medio basso e timbro piacevolissimo. Anche se è molto breve la parte del guardiano notturno colpisce la voce del basso bavarese Wilhelm Schwinghammer. Bene anche il baritono Daniel Schmutzhard nel ruolo di Fritz Kothner. Quando Walther vince la competizione e la mano di Eva, scompaiono le bandiere delle potenze vittoriose, e il tribunale militare. Alla fine, Sachs/Wagner canta un inno di lode alla vittoria dell’amore e alla sublimità dell’arte tedesca. E’ questa la vera vittoria. Foto Enrico Nawrath

“Zerging in Dunst
das Heil’ge Röm’sche Reich (sic!),
uns bliebe gleich
die heil’ge deutsche Kunst!”